Editoriale di Gianmarco Di Napoli
La sanità brindisina è in codice rosso e la questione sembra essere trattata al pari di una qualsiasi vertenza sindacale in cui si misurano posti e orari di lavoro, compensi e bonus, dimenticando che gli ospedali e gli ambulatori pubblici si occupano della salute dei cittadini. Sul servizio sanitario nazionale in provincia di Brindisi parrebbe essersi abbattuta una maledizione proprio nel momento in cui la fine dell’emergenza Covid avrebbe dovuto segnare il punto di ripartenza, puntellato dal contributo straordinario che medici, infermieri e operatori sanitari avevano fornito alla popolazione nei tre anni in cui il Coronavirus ha costretto a una improvvisa riorganizzazione dei reparti, a un serrate le fila che aveva riabilitato la centralità degli ospedali e riportato i camici bianchi in auge dopo che la sindrome della malasanità ne aveva fortemente ridimensionato l’immagine per decenni.
I sanitari di tutti i reparti, di ogni ospedale della provincia di Brindisi avevano dato il massimo, risolvendo a costo di grandi sacrifici anche le sbavature di un’organizzazione logistica tutt’altro che perfetta, sottoponendosi a turni massacranti e dimostrando il loro valore assoluto.
Sarebbe stato sufficiente ripartire da questa inerzia, e dalle criticità emerse in quel periodo, per costruire finalmente un sistema sanitario adeguato a una provincia in cui l’ospedale Perrino aveva confermato una centralità regionale e le altre strutture (Ostuni, Francavilla, Mesagne, San Pietro Vernotico, Ceglie Messapica, Cisternino) ne erano divenuti legittimamente le diramazioni esterne ma altamente qualificata.
E invece nel giro dei pochi mesi c’è stato un collasso totale che è stato ratificato dalle dimissioni dall’incarico (un caso mai verificatosi finora) del direttore generale Flavio Roseto, drammaticamente cristallizzato dalla morte di Viviana Delego, la donna morta al Perrino dopo aver dato alla luce due gemelli e la cui tragedia ha portato alla luce gravissime falle nell’organizzazione dei reparti, la possibile responsabilità di alcuni medici (ma questo saranno le inchieste penali e amministrative ad appurarlo), la pessima gestione nella comunicazione di tutto ciò che emerso nei giorni successivi.
Il risultato di questa implosione del sistema è la progressiva chiusura di reparti fondamentali negli ospedali brindisini: quello di Ortopedia e Ostetricia a Francavilla Fontana, quello di Chirurgia a Ostuni, lo stop ai ricoveri programmati al Perrino di Brindisi, problemi anche in un reparto delicatissimo come l’Utin. Per non parlare della situazione paurosa nel Pronto soccorso di Brindisi, in emergenza dallo scorso anno. E, dulcis in fundo, la necessità di accorpare i reparti per “fronteggiare” l’estate, come se le patologie dovessero andare in ferie insieme ai medici.
La soluzione pensata dalla Regione Puglia è stata di spedire a Brindisi medici e di spedire a Brindisi (guardacaso) pediatri del Policlinico di Bari strapagati (fino a 1.500 – 1.600 euro per un turno di 12 ore), invece di utilizzare i sette pediatri dell’ospedale Camberlingo di Francavilla Fontana considerato che il reparto di Ginecologia dello stesso nosocomio è chiuso da tempo e che i medici svolgono solo attività ambulatoriale.
Viene da sorridere se si pensa che quattro anni fa, poco prima dell’inizio dell’epidemia Covid, il governatore Michele Emiliano presentò in pompa magna a San Pietro Vernotico un progetto da 15 milioni di euro che avrebbe dovuto far diventare il Melli in una struttura di riferimento regionale per la riabilitazione.
Nell’ultima riunione, svoltasi a Bari, il commissario straordinario della Asl di Brindisi nominato dal governatore Michele Emiliano, Giovanni Gorgoni, ha proposto all’assessore regionale alla Sanità Rocco Palese persino la chiusura del reparto di Terapia Intensiva Neonatale dell’ospedale Perrino di Brindisi (un altro straordinario fiore all’occhiello della nostra sanità), del reparto di Pediatria di Francavilla Fontana e dei tre Punti di Primo Intervento a Ceglie, Cisternino e San Pietro Vernotico. Accorpamento è la parola d’ordine per la sanità nella provincia di Brindisi.
A fronte di un sistema sanitario in ginocchio, in maniera inversamente proporzionale, aumentano le strutture private che ormai sorgono come funghi, che attraggono sempre più i medici del SSN e soprattutto che diventano inevitabilmente l’unica soluzione per i pazienti che, a volte sfruttando le convenzioni ma molto più spesso pagando di tasca propria, ottengono servizi che la sanità pubblica non garantisce più o lo fa in tempi non compatibili con le esigenze di cure.
L’ultimo annuario statistico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) italiano su strutture sanitarie pubbliche e private accreditate sentenzia che nel 2021 l’assistenza ospedaliera in Italia si è avvalsa di 995 istituti di cura, di cui il 51,4% pubblici e il rimanente 48,6% privati accreditati. La ricerca è stata realizzata dall’Ufficio di statistica del ministero della Salute e si sofferma anche sull’entità dell’offerta delle strutture sanitarie private accreditate, ovvero rimborsate con il denaro pubblico. Dall’Annuario statistico del Ssn emerge che nel 2021 le strutture sanitarie private accreditate erano: il 48,6% delle strutture ospedaliere (n. 995); il 60,4% di quelle di specialistica ambulatoriale (n. 8.778); l’84% di quelle deputate all’assistenza residenziale (n.7.984) e il 71,3% di quelle semiresidenziali (n. 3.005), ovvero le due tipologie di RSA; il 78,2% di quelle riabilitative (n. 1.154).
A proposito dei posti letto, il report afferma che il Ssn ne ha a disposizione oltre 214 mila per degenza ordinaria, di cui il 20,5% nelle strutture private accreditate.
La sanità in provincia di Brindisi non solo si inquadra perfettamente in questa tendenza, ma rischia di radicalizzarla ulteriormente, strozzata com’è da un lato dal disinteresse dimostrato dalle Regione Puglia nel risollevarla, tentando di trasformarla ulteriormente in un’appendice di quella barese, dall’altro sempre più condizionata dall’esubero di strutture private, dove miracolosamente i problemi dei pazienti vengono risolti. Con guadagni esorbitanti.