Viaggio a Oria città di Federico, ma anche di Cosma e Damiano

Oria è la città che concorre al primato dell’eccellenza del territorio salentino. Situata a metà strada tra Taranto e Brindisi, rappresentava, per chi percorreva la via Appia “Regina Viarum” da Roma a Brindisi, l’ultima importante sosta.
Fondata da espatriati della civiltà Cretese, 30 secoli fa, ha sempre rappresentato il luogo privilegiato della storia. L’alto colle, alla cui sommità è posto il castello, che volle edificare l’imperatore Federico II, non più maniero militarmente inespugnabile, rappresenta invece oggi, un baluardo di bellezza e di maturità culturale.
Scelgo di raggiungerla, partendo da Brindisi, percorrendo la moderna statale Appia, comoda e veloce, su cui è sempre bene non perdere mai la concentrazione, vuoi perchè la velocità massima è di 90km/h e vuoi perché, con un pizzico di astuzia, le sue immissioni, ancorchè agevoli dalle complanari, sono spesso luogo attenzionato dalle pattuglie della polizia locale munita di autovelox.
L’uscita per Oria è una bretella di appena 3mila metri che offre il mai scontato biglietto da visita di una campagna coltivata ad oliveti ed una lieve nuvoletta di fumo di ramaglie potate, lasciate ardere, conferisce all’aria un antico profumo.
Le moderne tecniche agrarie e le legittime stringenti normative sul lavoro, impongono molta attenzione ai rischi per infortunio, molto meno può fare la legge, contro la volontà pervicace di chi il lavoro lo sfrutta. Non è un caso che appena entrato in città, chiedo a chi siede al posto di guida di pazientare, ma essere molto cauto perché ci fermeremo dinanzi a due testimonianze che omaggiano il sacrificio dei lavoratori. Così dinanzi al bronzo che onora le vittime sul lavoro ed ancora qualche metro dopo, dinanzi al superbo gruppo monumentale delle vittime di caporalato realizzato dal Maestro Carmelo Conte.
La Oria moderna si adagia ai piedi del colle sovrastato dal castello di Federano ed è riconoscibilissimo il diverso connotato urbano tra il centro storico e ciò che ieri era il contado, divenuto area abitata.
Il centro storico è un vero dedalo di viuzze che si incatenano e si avviluppano per formare come un intestino di tradizioni e culture che fanno di questo luogo un patrimonio senza pari ma che ancora non è del tutto conosciuto.
Prima di avventurarmi, faccio tappa dinanzi alla nuova sede del palazzo di città, una moderna costruzione che approfitta di una grande piazza per aprirsi come abbraccio, con i suoi uffici, alla cittadinanza. Troneggia, sul lato principale della piazza, assiso al trono, Federico II di Svevia, un opera del Maestro Cosimo Marinò che firma pure le formelle laterali con i simboli de due municipi, Lorch in Germania ed Oria uniti da Federico II originari di Lorch i suoi avi Hohenstaufen. Da oltre 50 anni i due municipi sono gemellati ed è occasione che spesso vede le due comunità collaborare e celebrarsi vicendevolmente.
Si può ben sperare che nell’attesa del matrimonio con Jolanda di Brienne, regina di Gerusalemme, che si sarebbe tenuto a Brindisi, il 9 novembre 1225, Federico II fermatoso proprio ad Oria, nel castello presiedesse un susseguirsi di giornate all’insegna dell’allegra attesa, con giochi e giostre.
Una tradizione, che a partire dal 1967 la pro-loco ha voluto raccogliere in una rievocazione che ha preso il nome di “Torneo dei Rioni” col suo palio ed i suoi suggestivi rituali medievali, che vivificano una radice, le cui tracce sono visibili quotidianamente traversando ognuno dei 4 rioni storici del centro antico della città.
Tra questi, parte storico-culturale evidente, è richiamata dal rione degli Ebrei, volgarmente detti “giudei”, che si stabilirono in Oria e dettero vita ad una numerosa e fiorentissima colonia, che ben presto eccelse sulle altre, sparse in terra di Puglia, per la sua molteplice e feconda attività religiosa e filosofica, scientifica, economica e commerciale.
La colonia ebraica, che cominciò a costituirsi già nel II sec. d.C., brillò di luce vivissima, costituendo il centro più famoso della civiltà ebraica dell’Italia meridionale. La sinagoga, centro religioso e culturale assai rinomato, doveva sorgere in prossimità del Pozzo della Maddalena, all’imbocco della via di Francavilla, nelle immediate vicinanze delle dimore degli Ebrei, cioè vicino al “quartiere ebraico” o “giudea” tuttora ben riconoscibile per la presenza di una “Menorah” il candelabro a sette bracci appena fuori la porta delle mura cittadine, detta, appunto, ebraica.
Se la presenza ebraica è parte costitutiva della comunità oritana, altrettanto forte è quella cristiana che qui trova nel vescovado l’emblema di una dignità che l’ha vista primeggiare con le altre sedi vescovili di Puglia da circa mille anni.
Testiomonanaza della importanza della diocesi cattolica di Oria è il palazzo vescovile, costruito dall’arcivescovo Gian Carlo Bovio tra il 1564 e il 1570 ed è una delle dimore vescovili più belle della Puglia. A pochi metri, la bellissima Cattedrale dedicata a Maria Santissima Assunta in Cielo, posta a pochi passi dal è la riedificazione di una precedente, in stile romanico, andata distrutta col terremoto del 20 febbraio 1743. Nel suo interno trova sede l’arciconfraternita della morte, una istituzione che da secoli riunisce gli oritani e rappresenta un vero primo esempio di parlamentino democratico e laico. La cripta annessa alla cappella dell’arciconfraternita, custodisce, rarità, tra le rarità, le mummie dei priori.
Ad Oria il culto per la memoria diventa persino santuario, che primeggia tra i luoghi di venerazione più frequentati della provincia.
A pochi chilometri dal centro abitato, sorge la imponente opera che sorge attorno alla venerazione dei Santi Medici Cosma e Damiano, noto e frequentato, negli anni ’60 divenne centro di aggregazione anche perché sede di un giardino zoologico, che rappresentò per molti anni l’unico approccio al mondo degli animali esotici. Da qualche anno il giardino zoologico è stato chiuso.
A ridosso del castello, il parco di Montalbano voluto nel ‘700 dai padri celestini, rappresenta un polmone verse suggestivo ed inatteso nel cuore cittadino. Nel 2013, durante i lavori per la sua riqualificazione, sono state rinvenute una serie di testimonianze archeologiche, comprese fra l’età ellenistica e l’età medievale. Gli scavi hanno permesso di documentare l’esistenza di almeno tre strutture abitative a carattere residenziale e produttivo di età medievale, un cimitero (che ha restituito i resti di una dozzina di persone vissute probabilmente fra il X e il XII secolo dopo Cristo, oltre a numerosi resti di scheletri attribuibili a bambini morti dopo pochissimi mesi di vita).
Camminando lentamente per le salite e curiosando tra i palazzi ho ascoltato una storia che mi pare, fare sintesi della città e dei suoi mutevoli aspetti, non ultimo quello che la vede spesso, avvolta dalla nebbia.
Una voce della tradizione popolare, tramanda di una madre disperata – alla quale era stata strappata la figlia, immolata per bagnare con il suo sangue (così come avevano consigliato gli oracoli) le mura del castello o della città ed evitare così che crollassero – imprecò contro il territorio: “Possa tu fumare Oria, come fuma il mio cuore esasperato”, urlò a squarciagola la povera donna.
Nacque così la leggenda che ancora oggi gli anziani ricordano con una struggente nenia: “A Oria fumosa ‘ccitera ‘nna carosa, tant’era picciredda, ca si la mintera ‘mposcia”.
(Ad Oria fumosa, uccisero una bambina così piccola che potevano metterla in una tasca).
Nonostante la bellissima giornata di sole che fa spaziare lo sguardo verso un orizzonte lontano e seduto ad una panca di piazza Lorch, grande soleggiata, ma tanto sola da ricordare le atmosfere metafisiche di De Chirico, quasi nei pressi del monumento ai caduti, mi accorgo della quantità notevole di testimonianze storiche e culturali, a cui non corrisponde una piena confortevole consapevolezza.
Pare come se una nebbia offuschi non il panorama ma la visione d’assieme d’una comunità che risente di forze che ne sottraggono energia e la presenza a pochi chilometri di centri abitati ed economicamente molto concorrenziali, certamente, svolge la propria azione, a danno di un luogo che per unicità e per qualità del suo patrimonio, dovrebbe pretendere molto di più dalla propria medesima voglia di osare.
Lascio la bella Oria con la voglia di tornare e perdermi ancora tra i mille e mille particolari, i medesimi che hanno spinto maestri d’arte a misurarsi con la testimonianza civile, perché la memoria può anche vestire i panni di una statua, di un monumento ed oria, vista da lontano, affascina ed attrae.
(il prossimo viaggio a Ceglie Messapica)