
di Giancarlo Sacrestano
Ricordare il passato, ma soprattutto comprenderlo, ci aiuta a mettere a fuoco correttamente gli eventi attuali, nella convinzione che il futuro sarà tanto migliore, quanto meno si dimenticheranno le lezioni del passato. In un tempo, il nostro, che pare aver perso la rotta di un orizzonte condiviso, che fa della connessione col presente, l’unico strumento di dialogo in un corpo sociale sfibrato, la data del 17 marzo 1861, sazia il nostro bisogno di sicurezza come pane per l’affamato; guida per il cieco; bastone per lo zoppo.
Il 17 marzo celebriamo il 156° anniversario dell’unità nazionale, ma anche il nostro inno – “Il Canto degli Italiani” -, la nostra bandiera, la nostra Costituzione. In una data, un intero percorso storico le cui tappe corrispondono ad altrettanti valori fondativi della comunità nazionale. Una data simbolo pertanto, scelta non a caso, ma sintesi più intensa, che più intensa non si può, della nostra convivenza civile. In quel giorno, il 17 marzo 1861, la Camera dei Deputati, per la prima volta liberamente eletta dal popolo italiano, approvava l’ordine del giorno con cui Vittorio Emanuele II assumeva «per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia».
A dire il vero l’elettorato fu esercitato solamente dai maschi in possesso di una serie di requisiti: età non inferiore ai 25 anni, saper leggere e scrivere e il pagamento di un censo di 40 lire. Al voto erano ammessi comunque magistrati, professori, ufficiali. I deputati furono eletti in altrettanti collegi uninominali a doppio turno. La legge elettorale, basata sul censo e sul grado di istruzione, oltre al fatto che votavano solo i maschi, penalizzò però fortemente il nostro Mezzogiorno per le manifeste ragioni di povertà e analfabetismo diffusi. Anche Brindisi ebbe il suo deputato, si chiamava Cesare, Giuseppe, Vincenzo Braico, gli elettori iscritti “nel collegio erano 1091; votarono in 856; fu il signor Cesare Braico eletto con voti 609. Le operazioni furono tutte regolarissime, né fu sporto reclamo o protesta”.
Così si legge nel verbale della Commissione elettorale della Camera. Sul ricordo del brindisino Cesare Braico mi permetto di sollecitare qualche riflessione rispetto al profondo significato delle celebrazioni legate al 17 marzo. Patriota, incarnava lo spirito liberale del risorgimento. La sua esperienza di vita, oltre ad averlo portato alla laurea in medicina, lo avvicinò al movimento antiborbonico per l’Unità d’Italia, il tricolore, l’inno di Mameli che clandestino si faceva voce tra i rivoluzionari. Patì per venti anni torture e segregazioni nelle peggiori carceri del regno di Napoli. Ritornato libero, si unì alla spedizione garibaldina, sbarcando con altri mille in Sicilia. Rimase deputato per soli tre anni, quando fu nominato con il decreto del Re, presidente del Consiglio superiore di sanità in Napoli con uno stipendio annuo di lire 6120, (un usciere ne aveva uno di 1000 lire).
Qualche anno dopo però, ancora spinto dallo spirito patriotico partecipò alla terza guerra d’indipendenza, perché il sogno di un’Italia unita ancora era lontano dal realizzarsi. A Brindisi, sua città natale, una via, un parco cittadino, un busto e una lapide sul prospetto della casa natale, lo ricordano.
Peccato che a noi, suoi posteri, il suo nome, le sue gesta, i suoi valori, restino ignoti e se all’errore della sua data di nascita sulla lapide marmorea non è più il caso di porre rimedio, divenuta essa stessa un monumento è il caso che la memoria dei brindisini si educhi al ricordo, al rispetto e la promozione di Cesare Braico che qui nasceva duecento anni fa. E’ grazie anche a lui se oggi celebriamo i segni ed i simboli della nostra terra patria.