La mela gialla – Racconti al balcone

Quel mattino di gennaio la panchina era più fredda del solito. La sua preferita era una larga striscia di marmo senza spalliera, l’unica non protetta dalla pensilina come un piede lasciato scoperto da un plaid troppo corto. D’inverno era gelida come un blocco di ghiaccio e d’estate così bollente da bruciarle quasi la pelle dietro le ginocchia. Era sempre libera perché bisognava camminare un po’ per raggiungerla e poi si era costretti a correre per salire sul vagone, se il treno la superava prima di fermarsi. Per questo era la sua preferita. Anna si strinse nel cappotto e coprì meglio la gola con la sciarpa. La tramontana le scompigliava i capelli, portando il profumo del mare. Respirava profondamente poi espirava la malinconia soffiando fra le labbra, come le insegnavano al corso di yoga. Anna colse un lampo d’argento con la coda dell’occhio, un attimo prima di alzarsi per salire sul treno. Quello fu il primo.
Il tragitto quotidiano per Brindisi prevedeva sempre una corsa al mattino, un treno preso al volo insieme ad altri pendolari assonnati e un ritorno con la stessa compagnia. Quella sosta di un quarto d’ora alla stazione di Brindisi, fra la fine del turno e l’arrivo del Regionale che la riportava a casa, era l’unico momento della giornata tutto suo senza dovere di conversazione. Dopo il Liceo aveva avuto la fortuna di vincere un concorso in banca ed aveva cominciato subito a lavorare allo sportello. La sua giornata trascorreva con un sorriso costante sulle labbra, prima nella monotona gestione delle richieste altrui e poi, tornata a casa, per evitare la santa inquisizione dei genitori a ogni minimo accenno di turbamento. Anna era la classica bellezza bruna, occhi neri, naso un po’ largo, bocca carnosa, capelli ribelli che solo con grande fatica riusciva a rendere lisci e ordinati. Nonostante la presenza in famiglia di cugini biondi, frutto genetico di invasioni nordiche, a lei era toccata una ascendenza contaminata dalle scorribande turche che le aveva tramandato un colorito olivastro e un fisico snello e armonioso ancora degno di sguardi ammirati. Era figlia unica in un paese piccolo e questo l’aveva condannata alla convivenza con papà e mamma: l’unica timida richiesta di vivere da sola era stata liquidata in maniera categorica dal paterno: “Perché? Non stai bene con noi?” e dalle lacrime materne per l’audacia e la sconvenienza di una simile proposta. Così si era adattata a una vita tranquilla, occasionalmente interrotta da serate al teatro o al cinema e rari weekend per visitare una mostra, mentre le amiche si erano diradate nel tempo per sopraggiunti matrimoni e prole. Aveva rinunciato all’amore dopo che il giovane avvocato col quale avrebbe dovuto sposarsi si era trasferito a Londra scomparendo fra le nebbie inglesi, lasciandola percossa e attonita come la terra alla morte di Napoleone. Anna aveva reagito con stile ed aveva continuato la sua vita, nella convinzione che il tempo avrebbe mitigato quel nodo di sconforto, ma non si era più concessa cedimenti, convincendosi a poco a poco che essere sereni non richiedeva per forza un compagno.
Il giorno dopo si accorse subito del cioccolatino dalla forma inconfondibile: il Bacio Perugina era poggiato su un angolo della panchina, come dimenticato nella fretta di partire. Un gesto così gentile avrebbe meritato un altro trattamento, lei sarebbe stata felice di riceverlo. Ricordava la gioia, si era resa conto però che per dimenticare l’amore perduto aveva finito con l’anestetizzare ogni altro sentimento. Aveva cominciato a riflettere sulla sua vita per caso, per colpa di un frutto dimenticato in fondo al frigo. La mela gialla aveva la buccia raggrinzita e, tagliata a metà, una polpa ancora dolce e succosa intorno a un torsolo ammuffito. Ad Anna era sembrata una rappresentazione di sé stessa: una donna ancora piena di gusto e sapore racchiusa fra una bellezza in procinto di appassire ed un cuore essiccato.
Il giorno dopo il cioccolatino c’era ancora. Anna cominciò a chiedersi se fosse lì proprio per lei. Si guardò intorno: c’erano i soliti noti. Tanti studenti, qualche professore annoiato, il dipendente comunale che ci aveva provato con tutte senza mai rimediare niente, il funzionario dell’INPS con quattro figli. Nessuno sospettabile di un interesse per lei. Si sentì a disagio e preferì continuare ad ignorare il dono. Cominciò però a osservare gli uomini intorno a sé con più attenzione e a scoprire tante piccole cose a cui non aveva mai fatto caso: il fruttivendolo le regalava sempre una arancia rossa per la vitamina C, il controllore le augurava la buona giornata con l’occhiolino, il compagno di postazione le offriva il caffè nella pausa, il barista le lasciava doppio dolcetto nel piattino. Anna ricordava una frase letta o sentita da qualche parte, a proposito della differenza fra guardare distrattamente e vedere veramente. Come avrebbe fatto a capire cosa c’era oltre l’apparenza? Quel giorno i treni erano tutti in ritardo a causa di uno sciopero. Anna si avviò verso la sua panchina ma vide che era occupata. Un uomo era seduto con le gambe allungate. Si alzò non appena la vide avvicinarsi. Aprì il palmo della mano: una scintilla d’argento brillò al sole e le accese il cuore.