RIMA BACIATA (Racconti al balcone)

di Ida de Giorgio per il7 MAGAZINE

Manuel si versò un altro bicchiere di rum e lo mandò giù di colpo. Poi si prese a pugni lo stomaco, nella vana speranza di mitigare l’esplosione bruciante che seguiva l’arrivo dell’alcool. Aveva già svuotato mezza bottiglia e fumato un intero pacchetto di Marlboro, ma il foglio rimaneva bianco. Anzi, per dire la verità, c’era solo il titolo: “Notte di viaggio” e il nome dell’autore: Axel Drimmer. Si maledisse per l’ennesima volta, ricordando come si era svenduto, per quattro soldi. Il suo primo testo per una canzone lo aveva scritto al Liceo. La professoressa di Italiano se le inventava tutte per farli appassionare alla poesia e quel giorno aveva chiesto loro di improvvisarsi parolieri. Allora, si limitava a strimpellare la chitarra con quell’altro sfigato del suo amico Alessandro, che si immaginava già vocalist di un immaginario gruppo non ancora creato. Aveva una bella voce, rauca, con una tonalità bassa da rockettaro. Aveva preso il suo testo e ci aveva ricamato intorno una base musicale. Era venuto su un bel lavoro. L’aveva cantata alla festa della Maturità, presentandosi come Axel Drimmer, convincendo il dj ufficiale a lasciargli la consolle per cinque minuti. Era stato un successo, per lo meno per quelle ragazzine fanatiche e sballate che lo avevano idolatrato neanche fosse Vasco Rossi. A dire la verità, Alessandro aveva avuto il buon gusto di citare Manuel come autore del testo, ma chi si ricorda di chi scrive le canzoni? Il vero idolo è quello che le urla. La performance era piaciuta anche al dj, che lavorava in una radio locale. Aveva invitato Alessandro nello studio di registrazione e poi l’aveva lanciato come sigla della sua trasmissione, dedicata ai talenti emergenti. Qualche tempo dopo, Alessandro se ne era arrivato con quella proposta: scrivere testi per lui a 100 euro l’uno, con l’obbligo di produrne almeno trenta all’anno per un quinquennio. Manuel l’aveva preso per pazzo ma, fatti due conti, gli era sembrata una bella cifretta per un maturando spiantato che non aveva nessuna voglia di studiare. Si era stupito di quel contratto stilato con linguaggio giuridico, ma Alessandro gli aveva detto di averlo scaricato prestampato da internet e di non essersi neanche preso la briga di leggerlo: erano amici, poteva fidarsi. E ora Axel Drimmer aveva al suo attivo due album che avevano venduto migliaia di copie e lui continuava a ricevere 100 euro per canzone.
Si era reso conto presto di non avere via d’uscita, non poteva tirarsi indietro senza pagare una forte penale, non poteva comparire come autore e, soprattutto, non poteva scrivere per altri, anche se nell’ambiente si sospettava che, alla base del successo di Axel, ci fosse un ghostwriter. Non avrebbe avuto difficoltà a trovare altri clienti, ma aveva le mani legate. Manuel si alzò per prendere un altro pacchetto di sigarette e continuò a versarsi da bere. Aprì la finestra. La città era coperta da una brina leggera e in lontananza il cielo cominciava a rischiararsi.” Un’altra notte senza chiudere occhio”, pensò, soffiando il fumo verso l’orizzonte. Il suo aguzzino non lo lasciava neanche libero di esprimersi; per un qualche motivo oscuro si presentava una volta al mese dandogli un tema. Questa volta era il viaggio. Solo che Manuel non si era mai allontanato dalla sua città: il viaggio lo vedeva solo in tv, con la puntata di Pechino express o Donnavventura. Quali fossero i sentimenti e le emozioni di un viaggiatore non lo immaginava minimamente.

Lanciò alta la cicca, che sparì nella nebbia. Un gorgoglio gli ricordò che non mangiava da ore, guardò il sandwich che sua madre gli aveva lasciato per cena. Si era rassegnata, povera donna, a vedere quel figlio rodersi il fegato chiuso nella sua stanza. Non aveva voglia di cibo solido, placò la fame con un altro bicchiere di rum. Aveva pensato di scrivere una cosa melensa, piena di rime stupide: cuore, amore, sole. Ma Alessandro avrebbe accartocciato il foglio prima di tirarglielo contro e non lo avrebbe neanche pagato. Si consolò pensando che quella sarebbe stata la centesima consegna e che prima o poi avrebbe finito con quella tortura. Il prossimo contratto, ammesso che ci fosse, l’avrebbe fatto stilare da un avvocato di sua fiducia, altro che fregature. Bevve ancora, prima di riprendere la penna. Non usava mai il pc perché scrivere era una questione di cuore e farlo con una penna blu lo aiutava a concentrarsi. “Orizzonte”, vergò in stampatello e accanto scrisse monte, bifronte, conte, fronte.
Iniziava a farsi venire delle idee così, con una prima parola e accanto tutte le rime che gli venivano in mente. L’ispirazione arrivava piano piano.
Decise di mettere come sottofondo il grande Battisti: “Si, viaggiare”. Poteva dargli qualche idea, anche se la sua deferenza verso Mogol non gli consentiva certo di paragonarsi a lui.
L’ascolto richiese un altro bicchiere e una sigaretta.
Provò a scrivere una frase a tema: Verso l’orizzonte, fremente parto…
Il dolore lo colse all’improvviso: all’inizio pensò all’insofferenza al rum, poi cominciò a sudare freddo e ad ansimare. “Che rima originale con parto”, pensò,” infarto”.
Si alzò per arrivare al cellulare, lasciato sul divano. Stramazzò sul tappeto.
“Questa è ancora più bella”, si complimentò con se stesso, “Ti è venuto un coccolone, gran pezzo di cogl…”