Le scuole non riapriranno prima di settembre.
Probabilmente gli Esami di Maturità rappresenteranno un’eccezione: si faranno “in presenza”.
Sì, in presenza di mascherine, guanti e odore di igienizzante, al di là dei quali lanceremo un sorriso con lo sguardo, espressione di quell’umanità che caratterizza chi fa questo mestiere.
Dalla pandemia potrà nascere una scuola nuova che distillerà il meglio da questo lungo periodo in cui siamo stati costretti all’isolamento: ci voglio credere.
A marzo noi insegnanti ci siamo trovati di fronte a un’ALTRA scuola. Sia pur a velocità diverse, ci siamo chiesti COME pianificare giornate scolastiche online nemmeno lontanamente paragonabili a quelle in presenza. Preparare materiali e adattare le metodologie ci ha portati a investire una quantità di tempo e di energie enormemente più cospicua rispetto al solito. In 40’/45’ al massimo, una questione, un argomento, un problema va proposto a gruppi eterogenei (con difficoltà e caratteristiche di varia natura): classi che non sono più classi, perché si trovano fuori da quelle mura che contribuiscono a fornir loro un’identità (la 3^B, la 1^H), né l’ambiente di apprendimento è il medesimo. Si tratta di 25, 30 studenti che nello stesso momento (reti permettendo) si connettono per fare in sincrono la stessa attività, ma ciascuno con un’individualità marcata. Il setting è un altro: la stanzetta, la cucina, la libreria che fa loro da sfondo…la mamma che passa alle loro spalle e il gatto che decide di posizionarsi vicino allo schermo. La sensazione è di invadere uno spazio che non ci compete, condividendo il nostro privato.
Quanto ci manca la distanza! Quella vera…quella fisica, in cui ci si lascia una porta chiusa alle spalle (con dentro mille, dieci o zero problemi) e si entra nell’atrio di un istituto in cui siamo sicuri che vivremo un’avventura. La campanella, il sospiro di sollievo nel sentirla suonare in un momento critico…un collaboratore che entra a portare una colazione dimenticata o ad annunciare: “Domani uscirete un’ora prima: la prof.XXX è assente!” con l’immancabile òla d’ordinanza. Ci manca quell’estemporaneo: “Posso andare in bagno?”, “Ho dimenticato il compito sulla scrivania professorè…L’ho fatto, giuro! Me lo faccio portare dalla mamma?”
Ma no! Lascia in pace la mamma!
Tutto questo attraverso uno schermo non passa, perché siamo a casa, che però è la scuola… come una matrioska.
Ci siamo messi in discussione e rivoluzionato il nostro modo di essere docenti e studenti. E questo è un bene. Il Covid19 ha dato una scrollata alla scuola. E tutto è cambiato, pur essendo rimasta un punto di riferimento imprescindibile nella vita di ogni studente, di ogni docente, di ogni famiglia.
Abbiamo creato un nuovo scenario metodologico e organizzativo, trasformato i contenuti, imparato a gestire le interazioni, stabilito relazioni inedite anche con le famiglie. I genitori ogni tanto ascoltano alcune lezioni, vedono come lavoriamo. Ci hanno scritto messaggi, si sono complimentati: hanno dato via a sinergie, aiutandoci a costruire una comunità educante, nella quale siamo tutti attori, ciascuno col proprio determinante ruolo, ma con quel fine comune che sta alla base del patto scuola-famiglia.
Non c’è una porta dell’aula da accostare, né una cattedra né un banco: tutto è aperto e chiuso nello stesso momento.
Penso alle maestre. A loro va la mia ammirazione. Hanno fatto cose straordinarie! Dopo i primi giorni di panico, non si sono limitate a mandare schede su schede via mail, ma hanno registrato fiabe e filastrocche, creato video, cartoni animati. Hanno acceso quella fantasia che le rende uniche tra gli insegnanti.
Sono un’entusiasta di natura. Nel mio DNA c’è la passione per questo mestiere artigianale che sta facendo il salto nella tecnologia. Ma anch’io vedo i rischi del dilatare nel tempo questa situazione, legati più che altro all’eccessiva ansia di controllo che attanaglia alcuni di noi: il rischio derivante dal privilegiare la performance, la “prova” orale o scritta, rispetto alla relazione, la burocratizzazione del processo piuttosto che il processo stesso, che, alla fine, è l’unica cosa che conta. La preoccupazione della misurazione anziché della valutazione è deleteria: quante verifiche, quanti voti, quanti argomenti sul registro, quanto programma? Quanto stress!
La didattica è finalizzata ad aiutare, coadiuvare, tirare fuori le potenzialità: non deve mai trasformarsi in un processo persecutorio. Non fa bene ai ragazzi (che potrebbero un giorno decidere che NON connettersi con noi sia meglio che farlo), non fa bene a noi insegnanti che, al contrario dobbiamo credere nelle discipline che rappresentiamo, consapevoli che sono “chiavi” per comprendere la situazione in cui noi e gli studenti ci troviamo. Dobbiamo essere per primi convinti che le lingue, l’arte, le scienze, la letteratura, la matematica, la logica e la filosofia aprono una prospettiva sulla realtà, consentendoci di comprenderla appieno, immaginare scenari e soluzioni.
È la relazione che aiuta. Al contrario il controllo danneggia.
Ridurre il disagio è un dovere morale, deontologico.
“Come state, ragazzi?”
Non conta la quantità, tantomeno il voto: dobbiamo valutare la loro capacità di creare connessioni e collegamenti tra le discipline, ma sempre nell’ottica dell’unità del sapere; la riflessione e il pensiero critico più dell’apprendimento mnemonico; la creatività e l’intelligenza emotiva più del rispetto passivo delle consegne.
La pandemia si ridurrà sempre più.
Se alla fine questa esperienza resterà racchiusa nella parentesi dell’emergenza, avremo perso tutti.
Un’occasione per un cambiamento epocale può nascere da un contagio e la scuola sarà in presenza e a distanza: è inevitabile.
Se ci crederemo, saprà farsi promotrice di un altro tipo di contagio, quello di una cultura generatrice di uno scenario innovativo in cui, al centro, c’è sempre e comunque l’umanità.
E lì farà la differenza.
Prof.ssa Giusy Gatti
Liceo Quadriennale “E.Majorana”
Brindisi