Scusami se non riesco a chiamarti amore

Nel 1999 l’ONU ha istituito “la Giornata per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne” in ricordo ed onore delle tre sorelle Mirabal – attiviste politiche della Repubblica Dominicana brutalmente assassinate su ordine del governante dominicano Rafael Trujullo (1930-1961), il 25 novembre del 1960. Una donna su tre, nella vita, come fosse elemento indissolubile dall’esperienza della propria esistenza, “deve” subire una violenza. Per farlo meglio, ho chiesto l’aiuto di una donna, di cui mi onoro essere amico, bontà sua, speciale.

Vive in Polonia, Paese di cui mi incanta con le visioni invernali, di campagne e boschi innevati e paesaggi che d’inverno, sono avvolti in un candore che invita alla purezza. Da qualche tempo stiamo accarezzando l’idea di rendere pubblici alcuni suoi scritti e di farlo magari anche in Italia, nazione che conosce bene nelle sue mille sfaccettature, pure quelle al femminile. Sono racconti che vedono protagoniste bambine, ragazze, donne, tutte con un denominatore comune: sono state violate, abusate, violentate. Le loro, sono storie al limite della sopportazione, anche per gli stomaci più duri, o forse no, se ripeto, una donna su tre, sul pianeta terra sa che nella vita dovrà incontrare, prima o poi, lo stronzo che le farà del male. Le storie di Wanda, infondo, seppure diverse, esageratamente troppe, possono essere accadute ad una sola donna, perchè a differenza di noi uomini, le donne, sanno rappresentarsi nella identità di genere.

La donna dei racconti, pertanto è vittima di piccoli insignificanti maschi uniti da un denominatore comune: sono degli stronzi. No, scusate, i racconti di Wanda Lipka sono una sola storia, una storia che si ripete, maligna e malvagia da millenni, fatta di troppe stronzate maschili. Tante, troppe. Qualcuno direbbe che sono quelle necessarie a condire una vita e farla diventare un inferno. Tutti ce l’abbiamo una vita di merda, dicono quelli che vivono all’inferno. Difficile individure i responsabili, certamente i maschi, i troppi che dell’assenza di neuroni nel cervello ne fanno pure un vanto. Troppi di loro sono divenuti padri delle vittime, aberrazione che squalifica tutto il genere maschile. Tantissimi sono i compagni-mariti, chiamateli come volete, persone, che hanno dichiarato di voler condividere un tratto importante della vita con una donna che, presto o tardi diventerà vittima della loro violenza. – l’ho fatto perchè ti amo (?) – è la frase stereotipata del maschio violentatore. Impossibile selezionarli tra i troppi generi di stupidi che affollano la vita di tutti i giorni. Altrettanto è difficile espellerli. Neppure il tempo di pensarli lontani, e già altri e più cattivi si affacceranno al loro posto per dimostrare quanto peggio sono capaci di perpetrare.

Lo dico pertanto sommessamente, ma lo ripeterò spesso: tutti siamo responsabili e vittime di questa situazione. Principalmente le donne. Ho scelto per questa riflessione, tre storie di Wanda, fra le tante, che si riferiscono a due età più fragili della donna. La prima è la storia di una bambina a cui è stata tolta la verginità che non aveva ancora cinque anni e divenuta adulta, crede d’avere perso per sempre il candore. La seconda, è la storia di una giovane donna che non ancora ventenne è stata violentata e crede di non conoscere il piacere. In ogni caso, il risultato della violenza è la tragica quanto vera frase che tutte le donne sono costrette a ripetere a chi si accosta loro, magari con i migliori e sensibili sentimenti: “Scusami se non riesco a chiamarti amore”. Nel tratto di penna libero da ipocrisie e a tratti al limite della crudezza, Wanda Lipka, narratrice polacca, descrive gli accadimenti in prima persona, perché mi dice, ogni violenza subita da una donna è come se fosse stata fatta ad ogni donna. (…) “Quel giorno … quel giorno era un giorno freddo e piovoso.

No, non è vero, così lo ricorda la mia mente. Era invece una bella giornata d’estate e il mondo era pieno di colori. Con un piccolo gruppo di amichetti giocavo a nascondino nel giardino di casa. Io ero la più piccolina, avevo appena 5 anni, ma ero capace di nascondermi e correvo molto veloce. Con noi c’era anche A. (iniziale di pura fantasia), non era un bambino quel mio fratellastro, era molto più grande di noi, (aveva 20 anni) ma era divertente e allegro e ci piaceva perché correva e si rotolava nei prati proprio come noi. Era strano quel giorno A. Aveva gli occhi grandi e ci guardava in modo strano. Uno, due, tre, cominciò a contare la mia amica e tutti corremmo a cercare un nascondino. Non mi ero accorta che A., aveva scelto il mio stesso posto. Mi strinse, prima piano, poi un po’ più forte, “altrimenti ci scopre subito” – disse con un tono rassicurante – ed io mi feci ancora più vicina a lui. Non potevo immaginare, non ne ero capace, che quel mio gesto poteva diventare qualcos’altro per il suo cervello. Il suo respiro divenne più pesante, il suo fiato mi soffiava nelle orecchie, poi tra i capelli e ancora sul collo. Non capivo cosa stava accadendo, quello che capivo è che non mi piaceva. Non riuscivo a muovermi, “E se lui mi farà del male? – pensai – E’ meglio fare la brava” e non opposi alcuna resistenza. Ero piccola, troppo piccola, nessuno mai mi aveva trattata così, e sentivo che non mi piaceva, ma non parlai, respiravo appena. La sua mano destra smise di stringermi e cominciò ad accarezzarmi, non mi voleva bene quella mano, era una mano pesante, ma il peggio doveva ancora venire. Mi bloccò ancora più forte e mi sdraiò per terra, come fossi un agnellino e con la mano libera mi abbassò le mutandine – non respiravo più, mi vergognai -. Cosa voleva da me? Cosa cercava tra le mie gambe? Perché respirava così velocemente? Cosa stava facendo a me che avevo la testa a terra a respirare la polvere del vecchio deposito? Credevo di morire e il peggio ancora non era arrivato. Fu un attimo che mi voltò sulle spalle e lo vidi per la prima volta negli occhi, erano cattivi, mi volevano male.

“Non ti voglio male, fai la brava” mi disse, ma mentre lo diceva mi aprì le gambe e con la mano … Buio, buio pesto. Da quel momento il mondo è diventato nero. Da allora non vedo più i colori. Mi aiutò a rialzarmi, non era più l’orco di pochi secondi prima, ma sorridente e generoso come sempre. Non ebbe bisogno di dire molto, solo “non dirlo a nessuno, posso sempre ritornare”. Il 12,50% dei maltrattamenti subiti dai minori, si perpetra ai loro danni in un’età compresa tra i 14 ed i 17 anni. All’interno di questo abominevole dato, la violenza sessuale alle ragazze, la fa da padrona, l’85%. Pensare che in troppi riteniamo questi dati, solo numeri e non abissi, buchi neri di cui l’abusato non si libererà mai per il resto della propria esistenza, ci racconta quanta indifferenza e quanta lontananza ci sia tra il dramma e la sua comprensione. “(…) Avevo 17 anni, frequentavo il quarto anno di liceo e la mia era una vita spensierata, come quella di tantissime altre mie coetanee. Avevo un ragazzo e la storia tra noi andava avanti con i desideri e le piccole furberie giovanili. Un pomeriggio, ci eravamo dati appuntamento a casa mia, i miei non c’erano e ci saremmo potuti godere per qualche ora. Mi piaceva l’idea di stare sola con lui, sentirmi per un attimo grande, far finta di essere già adulti, sognare forse di vivere insieme e sdraiati sul divano, vivere un nostro momento di intimità. Avevamo già provato il piacere del rapporto sessuale, ma in casa, al comodo di un divano o di un letto, no. Un quarto d’ora prima dell’appuntamento sentii suonare il campanello di casa, immaginai che il suo desiderio lo avesse fatto correre ed io da parte mia, da dieci minuti, ero già in ansia per quell’incontro.

Aprii con il cuore che era in gola, e un sorriso già stampato sul volto per accogliere il mio amore. Non ebbi neppure il tempo di accorgermi di chi invece fosse, perché dovetti frenare il mio entusiasmo, bloccare i miei istinti e far emergere dal mio stupore, tutta l’energia per potermi difendere da chi nel frattempo era già entrato in casa, mi aveva bloccato le braccia e schiacciato sulla bocca, che si era chiusa in un mutismo di terrore, le sue labbra che avevano cominciato a parlare una lingua che non immaginavo dover ascoltare. Per l’occasione avevo indosso una gonna e questo facilitò l’evidente interesse del porco, che altri non era che il miglior amico del mio ragazzo. Era talmente nervoso nelle sue azioni, che l’unico sentimento che trasmetteva era la paura. Mi sovrastava quell’animale di 25 anni e 80 chili di peso e 20 centimetri più alto di me e dovetti pensare in pochissimi attimi che meglio sarebbe stato non reagire, perché quella mano che mi stringeva il collo, oltre a togliermi il fiato, mi avrebbe facilmente potuto togliere la vita. Gli feci sentire le mie braccia che diminuivano la resistenza, il mio corpo che non opponeva alcuna rigidità, mi sembrava che quella poteva essere l’unica strategia per uscirne viva. Il porco si sciolse in un sorriso a denti stretti – ti piacerà – disse, ma non attese un mio cenno, perché mi scaraventò sul divano e mi trovai in una posizione, la più indecorosa, la più indifesa. Non so chi mi suggerì di proferire poche sillabe – sono ammalata, ho una malattia venerea, ti farò male – ma questo ingenuo quanto arduo stratagemma sortì l’effetto opposto, perché lo sentii irrigidirsi e con una violenza inaudita mi penetrò. (…) Oggi ho più di 40 anni, ma da allora, ho vissuto 23 anni di inferno. Odio di essere donna e odio soprattutto persino il pensiero di diventare mamma. Il mio corpo è intorpidito senza sensibilità dalla testa”. Il 90% delle donne che subiscono una violenza sessuale, non sapevano che il loro orco fosse in casa. L’80% delle donne hanno subito una violenza in una età compresa tra zero e diciassette anni. Tu si senti una donna maltrattata? “No, non mi sento una donna maltrattata. Nonostante la mia vita non sia molto diversa da quella delle altre donne ed anche io abbia incontrato molti uomini ridicoli, in me vive il bagaglio delle lotte delle donne che hanno vissuto, combattuto e vinto le tante battaglie per i diritti civili. Ho saputo costruire a mie spese questa consapevolezza.

I percorsi sono tutti personali, ognuna deve trovare gli stimoli necessari per superare la bruttura della violenza. Parlarne è parte di questo percorso”. Ma la situazione attuale descrive un mondo spaccato. In cui una donna su tre incontra nella sua vita almeno una volta il suo stupratore. “Si è vero. Vedi, per tantissimo tempo ancora non ci libereremo dalla schiavitù degli imbecilli. Ho imparato un vostro detto secondo cui la mamma dei cretini è sempre incinta. Detto questo, mi preme però rilanciare una riflessione. Oggi credo che il nuovo confronto si giochi sulla diversità della identità di genere. Noi donne, dopo aver vissuto e male, la stagione lunga un secolo per il riconoscimento della parità con gli uomini, oggi dobbiamo affermare che siamo cosa diversa ma consapevoli che giochiamo una partita per la gestione del pianeta con gli uomini, senza concorrenza, ma su un piano di pari dignità” Mi vuoi spiegare meglio questo concetto? “C’è una differenza tra noi donne e voi uomini. Noi abbiamo l’istinto materno, che ci consente di possedere una visione propositiva. Ogni figlio nato, è nuova proposta. E’ invito a vivere. Nel maschio invece vive la paura del futuro. Una incertezza che lo porta a vivere una vita di insicurezze.

La prima, quella di non saper andare oltre il cordone ombelicale. E’ proprio vera quella battuta che dice: l’uomo impiega nove mesi per uscire dall’utero di una donna e tutta una vita per cercare di rientrarvi. Da questa insicurezza profondamente intima viene fuori la violenza con cui il maschio cerca di primeggiare sulla sua paura, violando la stessa sua genitrice, quella che immancabilmente egli rivede in ogni donna. Sono pochi gli uomini che si sono saputi riscattare da questa condizione, la maggior parte crede che il rapporto con la donna sia ancora gestibile con la clava. Anche l’atleta sudafricano Pistorius, se ho capito bene, di fronte ad una ipotesi di tradimento, ha reagito, fracassando la testa della sua ragazza, il giorno della festa degli innamorati, con una mazza da baseball, prima di spararla”. La tua riflessione però si scontra con la situazione attuale, che vede le donne, principalmente durante la loro età di crescita, essere soggetto di molestie. “La mia riflessione rilancia il tema, che riportato alla cruda realtà passa necessariamente dal coraggio di scelte individuali. La legislazione italiana è all’avanguardia e so che anche il reato di stalking ha da qualche anno reso possibile l’arresto di molti molestatori. Invito tutte le donne ad avere il coraggio di rivolgersi alla legge e denunciare il proprio compagno violento, perché i dati sono quasi uguali per tutto l’occidente, il 90% delle donne subisce violenza all’interno della propria famiglia.

Studiando con te il fenomeno degli abusi sessuali, ho scoperto che molte donne, da adulte, sviluppano una dipendenza dai maschi. Sono due le grandi riflessioni che sottopongo ai lettori, la prima: il coraggio di vivere, nonostante ed oltre la violenza subita. La seconda il dialogo tra diverse sensibilità, persino quella sociale che deve migliorare la rete di protezione nei confronti delle donne maltrattate”. Ci sono donne a cui tu fai riferimento? “Vedi czarownik, (stregone in polacco, il nome con cui mi apostrofa quando mi vuole puntualizzare un concetto) Tanti di noi fanno cose buone e fanno tanto bene. Ci sono persone che vengono persino premiate e diventano famose. Tantissime persone invece, in incognito, fanno ogni giorno del bene. Uomini e donne quindi, devono scegliere ogni giorno di percorrere la strada del bene, perché possono anche scegliere di fare del male. Ognuno di noi, uomo o donna, deve capirlo, dipende dal proprio prossimo. Il nostro compito è riconoscerci ingranaggi di un grande motore a cui tutti siamo chiamati a cooperare. Se vuoi, ti aggiungo, tutti siamo chiamati alla santità che non è solo quella onorata sugli altari, ma quella che ci invita tutti i giorni a vivere per l’affermazione del bene”. Duzsa, (anima in polacco, il nome con cui la apostrofo, quando voglio capire di più) è utopia. “No. E’ l’ordine corretto delle cose. La ragione dell’abuso si trova solo nel disordine che si vive con i sentimenti. Amare, non è possedere. Amare è donare consapevolmente. Che molti uomini credano di amare, soltanto col proprio sesso, sbagliano enormemente. Al loro errore, troppe donne si sono aggiunte credendo che il rapporto d’amore con l’uomo si possa ridurre ad una relazione sessuale”.

Giancarlo Sacrestano e Wanda Lipka

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