E noi, come stronzi, rimanemmo a guardare

di Giancarlo Sacrestano per il7 Magazine

Esco poco da casa, la mia situazione sanitaria mi obbliga a stare a riposo e ad uscire meno. Mi riprenderò! Quando starò meglio e con l’aiuto di chi guida l’auto, mi permetterò un giro repentino e sterile di una città, che giorno dopo giorno, prende sempre più l’immagine di una realtà vecchia, decrepita, ammosciata, su un passato sterile e senza segreti, se non per coloro, troppi, che ne hanno sapientemente fatto a meno di conoscere e di ostacolare lo sviluppo del proprio territorio.
Negli anni ho visto decuplicarsi l’elenco dei politici locali incapaci ed inetti e farne una classifica di demerito è solo questione di stile.

Non esiste invece una dinamica e logica attenzione al sommovimento socio-culturale di una cittadinanza inattiva ed incapace di apprendere e approfondire le ragioni e la forza necessari per costruire un’azione quotidiana che cresce e si modella sulle basi indelebili e forti del patrimonio storico-culturale che più giorni trascorrono e sempre meno praticato e noto resta al grande assembramento sociale dei brindisini residenti.
Siamo arrivati incoerenti e incapaci di competere, ma anche solo, paragonarci con la forza espressiva della Via Appia che nei due diversi piani di scorrimento, – Via Appia Consolare e Via Appia Traiana, terminano a Brindisi, ma che in città ci sia chiaro ed evidente il processo storico e socio-culturale della sua presenza, manco a parlarne.
Una lecita e funzionale azione aggregativa, lo sta riscuotendo il sito archeologico di Muro Tenente, che nel garbato e a volte silenzioso percorso ha modellato il già forte e persuasivo carattere dei mesagnesi che non hanno mai dimenticato la loro radicata forza che permette loro di andare spesso e volentieri ben oltre il confine naturale, svolgendo, con ampia dimostrazione di competenza, ruoli e funzioni che sono inesistenti per noi brindisini.

Un esempio a caso.
Tutti lo sanno che la Cittadella della Ricerca è in territorio del Comune di Brindisi, pochissimi quelli che capiscono perché la Cittadella sia più meandro mesagnese che brindisino.
Un altro esempio a caso.
Molti sanno dell’esistenza di Muro Tenente, della sua provata forza espressiva e il grande mercato dei tombaroli che lo hanno depredato dei monili più preziosi, ma pochissimi, tra costoro, nessun brindisino, comprende perché e quale titolo, i mesagnesi onorino più Muro Tenente, che la città ed i tanti siti che in Brindisi, ricordano e testimoniano l’importanza della Via Appia.
Come fossero “cozzi cu la panna” brindisini, retori della provata fede alla convenienza, riappaiono a farsi sentire ed oggi rimestano e ripropongono la solfa ritrita di iniziative, da scuola elementare, per promuovere la Regina Viarum, collegandola volutamente a quella cantina viti-vinicola e non altre, perché giacerebbe, per loro stessa personale visione, sull’antico selciato di quell’importante asse viario.
A Mesagne, tutti, cittadini ed imprese, partecipano al progetto comunitario, a Brindisi, persiste la solita solfa ritrita di un auto generativo consesso di nobili e fedelissimi curatori del bene comune. (il loro, mai il nostro).
Come ho scritto all’inizio, esco poco la sera e mi astengo dall’usare la televisione, relegata a solo strumento per aggiornamenti giornalistici delle novità quotidiane.

Con l’aiuto della primogenita mi permetto visioni su reti e per film che le televisioni generaliste non concepiscono.
Abbiamo visto, u un canale privato, un film dal titolo molto espressivo: “E NOI, COME STRONZI, RIMANEMMO A GUARDARE”.
In un prossimo futuro, Arturo, interpretato da Fabio De Luigi è un manager aziendale che progetta un algoritmo, la cui funzione è determinare l’utilità effettiva dei dipendenti dell’azienda in cui lavora.
Per la forza propulsiva esaustiva dell’algoritmo, Arturo si ritrova licenziato lui stesso e, a quasi cinquant’anni d’età, non riesce a trovare altre opportunità lavorative. Colpa del metaverso e della impossibilità di usufruire nessun ascensore sociale.
Abbandonato dalla compagna Lisa, a causa di un test sull’affinità di coppia, affitta parte del suo appartamento a Raffaello, interpretato da Pif, che del film è anche il regista, professore universitario di filologia romanza che per arrotondare lo stipendio scrive articoli e commenti da hater. E questo elemento distorsivo e carico di odio sociale, ne fa un professonista e un leone da tastiera. Il mondo che vivono è terribile e manca di una identità sociale e si alberga nel vissuto egocentrico di puri burattini alla mercè del metaverso, tutto incentrato sull’azione di un algoritmo.

In questo luogo senza storia e senza meriti, tutti sono prede di un algoritmo e nessuno riesce a liberarsi dalla pressione del marchingegno che definisce, ben oltre la forza propositiva del soggetto, cause e motivazioni di esclusione e radiazione dal gruppo sociale di riferimento.
Le mille e complesse azioni del film esaltano illimitatamente la forza di quanti, tutti, non hanno saputo mettere un freno alla debordante azione dell’algoritmo, che non piace a nessuno, ma che su tutti esercita la forte pressione esclusiva.
Il titolo del film, ha dichiarato Pif, arriva da una citazione del grande uomo di cultura siciliano: Andrea Camilleri.
La forte e necessaria frase del titolo del film, permette a chiunque lo veda, un cammino all’indietro nei decenni trascorsi, durante i quali, proprio noi più adulti abbiamo permesso l’azione di paradigmi informatici che, senza opposizione, li abbiamo traslati dal mondo fittizio ed artificioso di internet alla feroce realtà della nostra vita, quella quotidiana e annuale.

Era il 1982, l’immagine che illustra un tratto della vita brindisina, lo racconta bene dall’inquadratura familiare col punto di vista posto ai piedi del monumento di Ottaviano in Piazza del Popolo. Una visione abitudinaria per noi brindisini di quel tempo che, sui nostri piedi, non sulle rotelline di un moderno monopattino elettrico, cercavamo, ma non trovavamo l’ascensore sociale che ci liberasse da una condizione di donne e uomini, capaci di trovare e percorrere la strada del rinnovamento sociale.

Grande e potente, il nome dell’importante supermercato, che proprio al centro città , con la sua scala mobile, ci garantiva l’esistenza di un ascensore sociale per raggiungere il piano superiore della grande marca commerciale e alleggeriva il grave peso di salire scale con la forza delle nostre gambe. La Standa, come l’Upim i due centri commerciali, ci sostenevano nell’ardita ascesa, ma ci consegnavano alla rampa di scale per scendere dal primo al piano terreno. Facile la salita, facile la percorrenza dei tanti reparti, scomoda la discesa, umana, ma anche gravata del peso del ritorno alla normalità. A salire quelle scale, non c’era nessun dovere sociale, non c’era il bisogno di un ascensorista, nessuno ci controllava e nessuno sarebbe venuto a vietare la salita ai minori, specialmente se accompagnati da un adulto. Salivamo, da soli o in compagnia, alla ricerca di un bene, una merce, di un bisogno, seppure velleitario, che quella scala elettrica ci facilitava il rapido e comodo acquisto. Nessuno poteva immaginare che quella comodità, quella salita rapida e comoda era il presupposto per la chiusura di quei mega magazzini che oggi abbiamo sostituito con la rapida, comoda e domestica consegna di beni, servizi, alimenti, attraverso l’acquisto per mezzo di corrieri che si alimentano di formidabili algoritmi che sanno interpretare i nostri bisogni i nostri sogni, come neppure noi stessi siamo in grado di pensare e soddisfare. Viviamo l’esperienza del metaverso e la potenza inimmaginabile di enormi store digitali, alla cui guida fantasmagorici algoritmi, ci pensano, ci guidano, ci perlustrano il nostro animo sterile, incapace di santificare il principio fondamentale della nostra occupazione: fare bene il nostro lavoro per fare del bene alla comunità degli esseri con cui viviamo.
Rileggere la nostra Brindisi dalle ragioni dei metaversi che oggi non ci guidano più con quelle scale mobili che non servono più, ha il potere di farci rivivere l’essenza di una vicenda di cui non abbiamo appreso niente di niente.

Acquisto libri on line, ma anche alimenti o consulenze. Il leggero tocco sulla tastiera del mio cellulare, mi permette di risolvere tanti bisogni, tranne uno, essenziale, formidabile, necessario: l’incontro con le persone.
L’incontro, seppure simulato, lo scambio culturale, il cazzeggio vissuto per strada, al solito angolo, sono le attività che più mi mancano, che più di tutto mi rattrista e mi fa soffrire il male della solitudine.
Sempre grazie a chi guida l’auto, ho visto dal finestrino la nostra città e la sua mortificante solitudine, l’assenza del cazzeggio, della passeggiata, della mia antica locanda dei pensieri, l’edicola libreria del Caro Vittorio Pezzuto e della sua amabile e formidabile presenza amica, fra le pagine dei tanti quotidiani e dei settimanali e dei libri che compravo con estremo piacere e somma beneficenza per il mio spirito.
Non esiste più quella Brindisi, quella città, dove il caso volle che nascessi.
Non esistono neppure gli eredi di quella forza e di quella presenza capace di dare futuro e sostanza al tempo da vivere.

Oggi siamo qui, a non avere la forza di vivere il dialogo, di vivere l’incontro e di scrivere, con gentilezza la pagina nuova della nostra esistenza. Noi, come stronzi, rimanemmo a guardare e per quanto io creda d’aver fatto qualcosa contro il degrado e molti sono quelli che hanno tentato ma non ci sono riusciti: oggi siamo qui a vedere, al nostro lato, lo sviluppo che passa, l’opportunità perduta e la città che muore. Pare di vivere il sarcasmo nefasto della morte sociale e l’omicidio culturale di una terra, che pensatela come volete, che ha visto la storia fermarsi molte volte al porto e annoverare la nostra città a luogo di riferimento.
In città vive conclamata una serie di combriccole, incapaci di avviare lo scambio culturale e men che meno quello sociale.

Divulgano un pensiero storpio e negletto a cui vince solo la loro opinione, la loro ricercatissima voglia di primeggiare a cui manca la sostanza, la vera qualità che fa primeggiare ogni comunità.
Sono quelli a cui sta bene che la Via Appia è quella che pensano loro, ma la loro è visione che non supera il confine asfittico del comune. Costoro ai nobili tavoli di altre città della provincia neppure vengono considerati.
Nostro malgrado, siamo arrivati ad un punto di non ritorno, a un punto di cui non dobbiamo essere soddisfatti.
Siamo stronzi e senza appello, rimanemmo a guardare! La nostra comunità non esiste