
La pubblicità era chiara. Bastava bere un sorso di quella bevanda per trovare il coraggio di fare tutto quello che sembrava inadatto alla sua età. Oltretutto era anche senza zucchero, perciò nessuna paura di variazioni dell’indice glicemico. Luigi prese la bottiglia dallo scaffale e la poggiò nel carrello, accanto alla bietola e alla pasta integrale. Che tristezza! Quanto avrebbe desiderato un bel piatto di pasta al forno come quella che faceva sua moglie per Pasquetta. Con ragù e polpettine, mortadella, scamorza e perfino le uova sode. Se ne sbafava una doppia porzione, prima di attaccare con la grigliata mista. Adesso, però, la moglie non c’era più e sua figlia passava ogni giorno a controllare che nel frigorifero non ci fosse niente di nocivo per la sua salute. Lo sapeva che lo faceva solo per affetto, ma quella ragazza sorvegliava ogni sua mossa, come se lei fosse la madre e lui il figlio adolescente in vena di trasgressioni. L’aveva costretto a rinunciare anche al pomeriggio di balli di gruppo al centro anziani. “Per il tuo bene, con l’artrosi che ti ritrovi” lo rimproverava. Luigi era convinto che fosse gelosa nel saperlo circondato da tante vedove a caccia di un nuovo marito, ma lui non avrebbe mai tradito la memoria della moglie. Voleva solo una vita meno noiosa. Non sopportava lo stereotipo del pensionato, solo parole crociate e mattine passate a criticare gli operai al lavoro nei cantieri stradali. Gli bastava una botta di vita, finché era ancora in tempo. Arrivato a casa, poggiò la bottiglia sul tavolo e accese il televisore. Prima o poi avrebbero trasmesso lo spot e lui voleva fare un ripasso delle cose da fare. Al momento opportuno inforcò gli occhiali e si avvicinò allo schermo. Una sorsata e la frase: “A cosa ho rinunciato fino a oggi?” Poi il vecchio in tv andava a farsi un tatuaggio, un tuffo in piscina, una serata in discoteca, un giro in moto. Andava anche a dichiararsi come vero padre di un ignaro malcapitato, ma non era il caso di Luigi. Lui aveva amato solo sua moglie, la prima e unica donna della sua vita. Era certo che la sua fedeltà non avrebbe invalidato l’esperimento. Bevve a canna una lunga sorsata. Tornò bambino per un momento, quando ai tavoli del ristorante i grandi bevevano vino e il cameriere portava ai piccoli aranciata e coca cola. Si sentì rinvigorito. Avrebbe cominciato con il tatuaggio. Sull’elenco telefonico trovò uno studio dall’altra parte della città. Non voleva andare dal figlio della vicina che aveva il negozio proprio all’angolo. Figurati quanto avrebbero spettegolato ne quartiere. Non pensava a un disegno troppo evidente. Un’ancora, magari, visto che aveva fatto la naia come marinaio. O una gassa d’amante. Sul braccio o sul polpaccio. Ma che avrebbe detto sua figlia? Una volta scoperto, gli avrebbe fatto una paternale che non finiva più. E i nipoti? Il maschio probabilmente se ne sarebbe uscito con un “bella nonno” e gli avrebbe dato il cinque a mano aperta. Ma la femmina era nella fase adolescenziale della mania di persecuzione, convinta che tutti gli esseri viventi non aspettassero altro che metterla in imbarazzo. L’avrebbe considerato un affronto personale per farla deridere dalle amiche. Luigi non avrebbe mai voluto crearle disagio. Rinunciò al tatuaggio. Il tuffo però era fattibile. La piscina comunale era aperta. Bastava fare il biglietto e mettersi il costume. C’era un trampolino alto, per gli allenamenti. Se lo ricordava bene perché aveva accompagnato suo nipote alle gare di nuoto. “Cavolo…” pensò, ricordando all’improvviso di non aver mai imparato a nuotare. Poteva sperare nel salvataggio del bagnino, ma sarebbe stato come sfidare la sorte. E se poi la figlia avesse pensato a un attacco di follia? Addirittura al tentativo di un gesto estremo? L’avrebbe accompagnato di corsa da uno psichiatra. Per qualche secondo invidiò il vecchio della pubblicità, che viveva da solo in una casa di riposo e poteva fare quello che voleva, senza una famiglia impicciona intorno.
La discoteca più vicina era a quaranta chilometri. Ne avevano discusso una domenica a pranzo, quando suo nipote stava organizzando la festa dei diciott’anni. Il contenzioso era sull’orario: i giovani di oggi iniziano a ballare a mezzanotte e finiscono all’alba. Luigi andava a letto alle dieci. Anche riempiendosi di caffè, non era sicuro di reggere sveglio per un’intera notte. E se, per un caso fortuito, sua figlia avesse avuto bisogno di lui e non l’avesse trovato? Apriti cielo! Quella benedetta ragazza avrebbe scomodato polizia, carabinieri e anche vigili del fuoco. Restava il giro in moto. Suo genero aveva una Guzzi. Ne era così geloso da essere soprannominato l’Otello delle due ruote. Non gliela avrebbe mai prestata, ma forse lo avrebbe scarrozzato come passeggero. Sarebbe stato divertente lo stesso. Prese l’asse da stiro e lo regolò più o meno all’altezza del sellino. Prima di chiedere, doveva essere sicuro di riuscire a salire sulla moto. Non solo, doveva farlo il più agilmente possibile, per rintuzzare qualunque obiezione della figlia. Si sarebbe allenato. Al primo tentativo Luigi si bloccò per una fitta all’inguine. Non si arrese. Diede un altro sorso e riprovò. Era quasi riuscito a superare l’asse con il piede, mantenendosi in equilibrio sulla gamba destra, quando il ginocchio lo tradì. Piombò malamente a terra. Riuscì a trascinarsi fino al telefono. Mentre lo sistemavano sulla barella per portarlo in ospedale, il medico del 118 commentò: “Ha preso una bella botta…”. Sua figlia lo guardò scuotendo la testa con disapprovazione: “Si, proprio una botta di vita…”.