Bruno: “Il mio Pd non andrà mai col Nuovo centro destra”. Una questione di sigle o altro?

Sul punto Massimo Ferrarese è stato chiaro fin da subito: “La nostra politica è fatta di uomini, prima ancora che di sigle. Se siamo andati d’accordo fino a ieri non vedo perché cambiare strada”. Dunque, per quel che lo riguarda, l’approdo degli ex centristi brindisini nel Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano non interferisce e non compromette in alcun modo il patto consolidato col Pd: né a Brindisi città, né in alcun altro Comune della provincia. Eppure, nonostante le rassicurazioni, il segretario provinciale del Partito democratico Maurizio Bruno seguita con malcelata insistenza a porre il nodo sul tavolo. Per lui, il passaggio di fatto obbligato degli ex “Udc” e “Noi centro” col movimento del vicepremier è un serio problema. Convinzione che ha ribadito nel corso della conferenza stampa tenuta domenica mattina in via Osanna: “Non ci sono le condizioni per governare con il centrodestra”, ha detto, impuntandosi sua una posizione dalla quale sembra difficile possa schiodarsi.

Il punto è che Ferrarese e i suoi, il passaggio con “Nuovo centro destra”, lo hanno già bello che ufficializzato. Passi indietro da parte loro, quindi, sarebbe inutile aspettarseli. Stando così i fatti dovrebbe quindi essere il segretario provinciale Pd a ingranare la retromarcia, o quantomeno a non insistere un giorno sì e l’altro pure con la storia dell’alleanza compromessa. Anche perché, va detto, non sembra che la sua posizione faccia particolarmente breccia nel cuore di dirigenti e militanti democratici. Lo stesso segretario regionale Sergio Blasi ha duramente criticato l’ostracismo di Bruno, ritenendo al pari di Ferrarese che l’alleanza tra Pd e moderati, rivelatasi determinante per inanellare i successi elettorali collezionati dal “Laboratorio” negli ultimi anni in tutta la provincia, debba indiscutibilmente proseguire.

Perché, viene allora da chiedersi, ritenere incompatibili moderati e democratici se a livello nazionale una “creatura” di Berlusconi del calibro di Angelino Alfano ha preferito ribellarsi al suo capo pur di sostenere il Pd? E perché respingere questa compagine politica se è lei stessa a non voler rompere con i democratici? Perché Ferrarese e i suoi andavano bene quando rastrellavano voti sotto i vessilli dell’Udc e non vanno più bene ora che hanno solo modificato il nome del loro partito di riferimento?

Tutta una questione di sigle quindi? Per Maurizio Bruno sembra che le cose stiano proprio così. I nomi, è il messaggio che sta più o meno volutamente facendo passare, è che in politica nomi e acronimi valgono più delle persone. Ma forse no. Forse sarebbe ingenuo e perfino offensivo ritenere che la sua concezione della politica si riduca a questo. Anche perché il segretario provinciale del Pd sa bene che “Nuovo Centro Destra” è solo un nome coniato da Alfano per non dare spago a certa stampa berlusconiana, pronta a crocifiggerlo come l’ennesimo comunista eretico spogliatosi della maschera.

Allo stesso modo per i centristi, quello del vicepremier, è la casa più prossima alle loro convinzioni da quando l’Udc ha dichiarato il suo scioglimento. Insomma, Bruno sa bene che il partito di Alfano, ha a che fare con la destra tanto quanto il Pd ha ormai a che fare con la sinistra. I due partiti gravitano entrambi attorno allo stesso baricentro da anni, quello dell’area moderata del Paese. E attaccarsi alle sigle, ai nomi, sembra sempre più un pretesto che far saltare il “Laboratorio”, che altro. Ma perché?

Maurizio Bruno, oltre che segretario provinciale del Pd, è anche il candidato sindaco dello stesso partito a Francavilla Fontana. E lo rimarrà fino a quando i partiti moderati facenti capo a Massimo Ferrarese non estrarranno dal cilindro il nome del loro sfidante per le primarie. Bruno a quel punto perderebbe la candidatura certa. Potrebbe sì vincere la sfida con i moderati, ma potrebbe anche perderla. Quindi, ipotizzano alcuni, la faccenda si risolverebbe con una rottura della coalizione e il conseguente annullamento delle primarie. Così Bruno non vedrebbe più messa in pericolo la sua candidatura, e dare appuntamento al “Nuovo Centro Destra” al secondo turno, in caso di eventuale ballottaggio. Insomma: due piccioni con una fava.

La strategia, ammesso che sia questa, potrebbe anche funzionare. Ma rischierebbe di mandare a carte quarantotto il patto tra moderati e Pd nel resto della provincia. C’è da chiedersi: ne vale veramente la pena?