Brindisi scompare dal Consiglio regionale: braciola et circenses invece della politica

di Gianmarco Di Napoli

Il tracollo definitivo della politica brindisina ora ha una data: 1 giugno 2015. Per la prima volta da quando è stato istituito il Consiglio regionale, nessun nativo del capoluogo occuperà uno scranno, dopo che già il Parlamento aveva chiuso i battenti ai discendenti di Caiati, Guadalupi e Mimmo Mennitti. Avviene nel cuore di un annus orribilis, in cui il Comune ha sforato il patto di stabilità e si trova a dover fare i conti della serva per riuscire a tirare a campare e persino il sindaco di Brindisi – per uno scherzo del destino o forse no – va a votare in trasferta perché risulta risiedere a Mesagne.
A Bari andranno il sampietrano Pino Romano, il mesagnese Mauro Vizzino, il torrese Maurizio Friolo e il fasanese Fabiano Amati. Imprevista l’eliminazione di Giovanni Brigante, consigliere uscente, finito addirittura terzo nella lista di Noi a Sinistra, dietro Leo Caroli e Pierangelo Argentieri. La sua conferma appariva scontata.
Non sono sufficienti poco più di 2.000 voti a Francesco Renna (Puglia con Emiliano) per tentare il grande salto, così come non ne bastano 2.340 all’assessore comunale al Bilancio Carmela Lomartire (Emiliano sindaco di Puglia). Il primo tornerà ad occuparsi del Negroamaro Wine Festival mentre la seconda si spera possa puntellare una situazione economica che ai suoi uffici è sfuggita di mano al punto da far collassare il Comune. Male anche un altro ex assessore, Mimmo De Michele, che nel Movimento Schittulli conquista solo il terzo posto dietro il cegliese Ciro Argese e il fasanese Vito Ammirabile.
Non va meglio all'”impresentabile” Massimiliano Oggiano, quinto nella lista di Fitto e piazzatosi dietro anche all’altro brindisino con ambizioni baresi, il vicepresidente del Consiglio comunale Pietro Guadalupi.
Sfiora l’investitura, e non è un caso, l’unico non politico, il pentastellato Gianluca Bozzetti (2.381 voti), che arriva primo nella sua lista e sfiora lo scranno. Senza aver mai fatto politica in vita sua.
Se Bozzetti fosse stato eletto, non avrebbe fatto altro che rendere ancora più devastante il requiem della politica del capoluogo, ormai completamente azzerata, priva di personaggi che siano in grado di avere autorevolezza e di esprimere idee. Non è una questione di appartenenze politiche, di bandiere, di coalizioni. Negli ultimi anni si è sempre più consolidata la figura dell’impiegato di Palazzo di Città, personaggio a metà tra il lavoratore socialmente utile e il frequentatore del bar dello sport, convinto che per fare politica sia sufficiente alzare una mano e magari la voce, contrattare un posto in commissione per incassare il gettone di presenza o prendere per il culo i poveracci che stazionano davanti al Palazzo, illudendoli di poterli aiutare ad avere una casa, uno stipendio o almeno una vita dignitosa.
Il politico medio(cre) brindisino non solo ha difficoltà a esprimere un concetto sulla cosa pubblica, ma persino a mettere tre parole di seguito in italiano, è interessato a portare avanti due o tre cose personali ed è disposto a salire da un treno all’altro, non importa quale sia la sua destinazione.
La politica brindisina è così presuntuosa che pensa di poter saltare da una generazione all’altra come se fosse una cosa di dna: Renna, figlio del leader cittadino del defunto Pri, De Michele di un vecchio socialista della corrente marziana, Guadalupi del capitano dei vigili urbani legato a Vitali.
Il risultato è che Renna ha giocato tutta la sua partita sul Negroamaro, come se uno che organizza manifestazioni enogastronomiche possa tutelare in automatico gli interessi della città in Puglia. Guadalupi ha trascorso l’ultima settimana a premiare la squadra di basket di Tuturano approdata in serie A, così come Oggiano a per il passaggio della sua di pallavolo in B/2. Brigante è stato il precurose, avendo trasformato da anni il parco Maniglio in una rosticceria a cielo aperto.
Braciola et circenses, insomma.
Ora, mentre siamo pronti a vivere impavidi una nuova estate di magnate e bevute, prepariamoci a contare quanto una virgola nei palazzi in cui verranno prese le decisioni più importanti, senza un rappresentante che possa lavorare per gli interessi di questa città, né a Roma né a Bari. Noi abbiamo il Negroamaro e il Salone della Nautica, ma anche l’ospedale che cade a pezzi, le infrastrutture inadeguate. E ci viene preclusa ogni possibilità di intercettare fondi da indirizzare verso questa città, di poter incidere nelle decisioni che contano e magari di riuscire a tirare su un Comune che a questo punto conta quanto il due di briscola.
Così mentre ci lecchiamo le ferite in questo maledetto primo giugno, vigilia della festa della Repubblica, sarebbe bello che qualcuno cominciasse a pensare a domani, a quando seggi e stand saranno smontati, per chiedersi da dove ricominciare. Perché una potenziale classe politica esiste, ma non ha alcun interesse a finire nell’odierno tritacarne.
La riflessione fatta un giorno dal cardinale Carlo Maria Martini potrebbe essere un buon punto di partenza: “La politica è l’unica professione senza una specifica formazione. I risultati sono di conseguenza”.