I tanti “se” che frenano la terra di Brindisi

di Giancarlo Sagrestano

Si chiama ucronia, la terra dei se e dei ma. Il luogo dove il tempo diventa una variabile e quello che accade, forse è veramente accaduto o forse no. É usata dagli scrittori di fantascienza, nell’esercizio di una sperimentazione letteraria. A molti piace, immaginare come la storia sarebbe andata se, per esempio, Romolo avesse condiviso con Remo la fondazione di Roma e non lo avesse ucciso. Sarebbe stata tutta un’altra storia. A Brindisi, per fare un altro esempio, con i se e con i ma, intere generazioni di “ucronici” hanno finito col raccontare e far credere a quanti li hanno ascoltati, che la nostra terra altro non fosse, che un eldorado, il luogo dove ti illudi di star male; te lo immagini di non avere un lavoro, perché, se solo ci credessi di più, avresti avuto pure tu, quella parte di oro che non ci vuole niente a trovare per la strada. Se solo, tu. La storia, quella vera, quella scritta sulle pagine mai lette dei contratti, delle delibere, dei giornali, non racconta affatto questa verità da imbonitori. Alla fine della seconda guerra mondiale, Brindisi era una realtà poveramente inchinata all’agricoltura. Meglio era andarsene che restare.
Il 21 ottobre del 1950 venne varata una legge, che favoriva la nascita della piccola proprietà contadina. Anche gli zappatori avrebbero avuto il loro riconoscimento. La riforma fu finanziata anche col Piano Marshall lanciato dagli Stati Uniti, di cui il porto di Brindisi era uno dei moli di scarico, per sostenere le deboli economie dell’Europa occidentale. La legge, in pratica, espropriava al latifondista e distribuiva le terre ai braccianti, facendoli divenire piccoli imprenditori e non più sudditi del latifondista vero monarca assoluto. La riforma fu un toccasana economico, specialmente in quelle aree più socialmente mature d’Italia, dove i nuovi ed inesperti imprenditori si riunirono in cooperative. In altre aree, non si può nascondere, che la dimensione delle nuove aziende, tutte attorno ai 5 ettari, non avrebbero mai consentito di trasformarle in volano un’imprenditorialità agricola.
Altrove cominciava a dialogare con la tecnologia e l’industria che la produceva. Anche la generosa piana di Brindisi, sarebbe entrata nel piano previsto dalla riforma agraria, ma solo a seguito dei moti messi in atto da alcune migliaia di contadini salentini, dell’area compresa tra Nardò e Taranto, detta Arneo, nota tutt’oggi per la vessante gestione del consorzio di bonifica omonimo. Brindisi, placidamente era assoggettata a latifondi di origine nobiliare, un ceto sociale, che non ha mai brillato per intraprendenza, mancando finanche l’evoluzione nella classe notabiliare, vissuta come una diminuzione del proprio status e non nel suo ammodernamento. Una classe nobiliare, avvezza da secoli a non fare tesoro delle lezioni, neppure da quanto proprio a Brindisi era accaduto, nella rivoluzione guidata dai fratelli Marinazzo nel giugno 1647.
Smembrati i latifondi, sono cresciuti, come funghi, nuclei d’impresa familiare e lo zappatore brindisino, sua moglie ed i figli, si sono riscattati dalla condizione di poveri per diventare, di fatto, imprenditori indebitati. Se la terra gli era concessa gratuitamente, le scorte, gli animali, gli attrezzi, le compravano indebitandosi. Ma questo, nessuno glielo aveva spiegato. A prestargli i soldi? Spesso il vecchio nostalgico latifondista. In Puglia la riforma fu voluta con le barricate. I nostri cafoni avevano alzato le loro zappe contro le forze dell’ordine. Nessuno li aveva avvertiti che la gestione di un’impresa era anche altro, oltre che rompersi la schiena con la zappa. Per separare le troppe suggestioni, che ci hanno elargito logorroici incantatori, dalla realtà storicamente accertata, noi, oggi abbiamo il dovere di domandarci perché il futuro di una terra, la nostra provincia di Brindisi (si dice ancora così?) è impenetrabile e leggibile solo alla luce della consumata teoria del destino cinico e baro?