“Swift? Bradbury? No. Semplicemente Mendoza, quel privilegiato sguardo ludico alla scoperta di quanta irrealtà si travesta da realtà e viceversa, quel moralismo da romanziere inglese del XVIII secolo passato dal divano del consultorio psichiatrico di Groucho Marx, elementi che hanno fatto di Eduardo Mendoza uno scrittore obbligatorio in tutti i programmi di igiene mentale europea fine di millennio.” (Manuel Vázquez Montalbán)
Due alieni, di forma extracorporea fatta di intelletto puro, incaricati di una missione di ricognizione, sbarcano sulla Terra, esattamente nella caotica Barcellona – un enorme cantiere –che prepara i Giochi Olimpici del 1992. Uno dei due, Gurb, assunto l’aspetto “dell’essere umano denominato Marta Sanchez”, si allontana con un professore universitario su di “mezzo di trasporto di grande semplicità strutturale ma di maneggio complicatissimo, denominato Ford Fiesta”e fa sparire le sue tracce. L’altro, che sarà poi l’io narrante e del quale non sapremo il nome, si mette alla ricerca del compagno scomparso, immergendosi nella grande città catalana, annotando puntigliosamente su un diario ogni movimento ed ogni fatto dei ventiquattro giorni nei quali si svolge la vicenda. In estrema sintesi questa la trama di uno dei romanzi più divertenti che io abbia mai letto (lo trovo secondo solo a “La scomparsa di Patò” di Camilleri), e cioè “Nessuna notizia di Gurb” di Eduardo Mendoza, popolarissimo scrittore spagnolo.
La ricerca del compagno Gurb induce l’alieno ad entrare in contatto con quegli strani esseri che abitano la Terra ed il breve romanzo di Mendoza (120 pagine da gustare una per una) si risolve in una spassosissima descrizione dell’Umanità, vista con gli occhi di un essere superintelligente ma anche un po’ ingenuo e affetto da una inguaribile fiducia nel prossimo.
Esilarante, surreale, il romanzo di Mendoza strappa risate ad ogni piè sospinto, ma il divertimento che assicura non è mai fine a se stesso (cosa che, peraltro, non farebbe nemmeno male, ogni tanto…). Si tratta di una intelligente, originale, ironica, dissacrante caricatura della nostra società contemporanea, così spesso complicata e contraddittoria, ipocrita e irrazionale, frenetica e meschina, convenzionale e banale, incomprensibile e strampalata. La vicenda si svolge, come ho detto, a Barcellona, ma naturalmente la città spagnola è qui anche luogo metaforico che può ben rappresentare qualunque altra città della Terra.
Dunque, il protagonista, mimetizzata la sua astronave, che trasforma in una ordinaria villetta, si mette alla ricerca di Gurb. Naturalmente dovrà assumere sembianze umane (piuttosto malvolentieri perché trova assurda l’anatomia umana: “Non c’è in tutto l’Universo porcheria più grossa né arnese peggio fabbricato del corpo umano”) che gli consentano di muoversi tra gli abitanti di Barcellona senza dare nell’occhio. Ma, non avendo altri punti di riferimento, se non quelli dei personaggi famosi studiati prima della missione, per non attirare l’attenzione della fauna autoctona, assume le sembianze ora del Papa, ora di Gary Cooper, ora del duca e della duchessa di Kent (contemporaneamente…), ora di Yves Montand (ma per un errore mentre canta si muta in Jacques-Yves Cousteau «e con lo scafandro nessuno riesce a essere intonato»), ora di Pio XII, dell’ammiraglio giapponese Yamamoto, di Gandhi,di Gilbert Becaud vestito da ninja, di Alfonso V, del faraone Tutmosi… Pur trovando sorprendente e il più delle volte strambo e deludente il comportamento degli umani, il nostro alieno, pian piano, nonostante il forte atteggiamento critico, si integra e si “umanizza” sempre più (mette le mani su una grossa somma di denaro, compra una casa e la ristruttura, si veste come le persone che incontra, diventa vittima di shopping compulsivo, si innamora della vicina di casa, si appassiona al cibo e in particolare ai tipici “churros” che mangia a decine di chili) e verso il finale arriva a pensare che la Terra, per quanto bizzarra, non sia poi quel brutto posto che gli è sembrato in principio e che l’imperfezione, le stranezze e l’imprevedibilità degli uomini ne costituiscono l’aspetto più gradevole e interessante, e comincia persino a meditare di stabilirsi sul nostro pianeta. Non rivelo il finale, e cioè se l’alieno riuscirà a ritrovare Gurb, né se deciderà di fermarsi davvero sulla Terra, perché se qualcuno vorrà leggerlo non veda compromesso il piacere della sorpresa (se non lo trovate in libreria – costa pochissimo – sono disposto a prestarvelo), ma chi ha voglia di trascorrere un paio d’ore piacevolissime, gustando questo originale affresco del nostro mondo, e farsi quattro risate, non si faccia sfuggire questo libro allegro e intelligente, esilarante ma anche ricco di citazioni colte e raffinate, un libro il cui unico grande difetto è quello di essere troppo corto…
Con la certezza che qualunque lettore si renderà conto, dopo la lettura, come è capitato a me, di quanto spesso siamo inconsapevoli, noi umani, di essere ridicoli, contraddittori e strampalati, e che, come ha scritto qualcuno, “chiuso il libro, non si potrà più guardare il movimento di una città senza provare il desiderio di farsi due risate.” **** “Non c’è in tutto l’Universo porcheria più grossa né arnese peggio fabbricato del corpo umano. Già le orecchie, appiccicate al cranio come capita, basterebbero a squalificarlo. I piedi sono ridicoli. Le interiora, schifose. Tutti i teschi hanno un’espressione sogghignante che non ha alcun senso. Di tutto ciò gli essere umani sono consapevoli solo fino a un certo punto. La verità è che hanno avuto sfortuna con l’evoluzione…” “Mi sveglia un fracasso tremendo. Milioni di anni fa (o più) la Terra si formò grazie a orrendi cataclismi: gli oceani infuriati frantumavano le coste e seppellivano isole, mentre gigantesche catene di montagne crollavano e vulcani in eruzione generavano nuovi monti; i terremoti spostavano i continenti. Per commemorare questi fenomeni, il Municipio manda in giro ogni notte speciali apparecchi, chiamati camion della nettezza urbana, che riproducono sotto le finestre dei cittadini quei fragori tellurici.” “Non è difficile comunque capire di cosa stanno parlando, perché i catalani parlano sempre della stessa cosa, cioè di lavoro. Appena si riuniscono due o più catalani, ciascuno racconta del suo lavoro con profusione di dettagli.
Con sette o otto termini (esclusiva, commissioni, portafoglio clienti e qualche altro) montano un dibattito animatissimo, che può durare all’infinito. Non esiste sulla Terra gente più dedita al lavoro dei catalani. Se sapessero fare qualcosa, diventerebbero padroni del mondo.” “In un locale vicino all’albergo chiedo e ingerisco un hamburger. È un conglomerato di frammenti provenienti da diversi animali. Un’analisi sommaria mi permette di riconoscere il bue, l’asino, il dromedario, l’elefante (asiatico e africano), il mandrillo, lo gnu e il megaterio. Trovo anche, in percentuali minime, moscerini e libellule, mezza racchetta da volano, due bulloni, sughero e un po’ di ghiaia. Accompagno la cena con una bottiglia grande di Zumifot.” “Pago il conto dell’albergo e lascio libera la stanza. La occupa immediatamente un rappresentante di prodotti alimentari che ha passato la notte in bianco. Mi racconta che la ditta per cui viaggia è riuscita a creare polli senza ossa, il che li rende molto apprezzati a tavola, ma un po’ sgraziati finché sono in vita.”
Michele Bombacigno