Quando il pallone diventa poesia. E letteratura

L’ultimo, bellissimo, post di Alessandro Caiulo, dedicato al portiere del Brindisi Cristiano Novembre (a proposito, complimenti a Cristiano per il pronto riscatto nel vittorioso derby con il Taranto!), mi induce a scrivere di un argomento che mi sta molto a cuore e che già avevo in animo di proporre: lo sport e, soprattutto, il calcio nella letteratura.

Fino a qualche anno fa ignoravo quasi completamente quanto copiosa e affascinante fosse la produzione letteraria ispirata a vicende e personaggi del calcio.
Sebbene siano stati soprattutto gli scrittori sudamericani (spesso trasformando il calcio in una sorta di epica moderna) e, in misura minore e con modalità diverse, quelli anglosassoni a dedicare la loro attenzione a questo “genere”, cercando di narrare il mondo di emozioni e suggestioni che offre il gioco del calcio visto per lo più come metafora della vita (Albert Camus disse addirittura: “Tutto quello che so della vita, l’ho imparato dal calcio”), non sono mancati e non mancano preziosi esempi anche nel nostro Paese.

Si perde nella notte dei tempi la prima prova. Il grande Giacomo Leopardi, nel 1821, scrisse, infatti, la canzone “A un vincitore nel pallone”, che faceva parte del ciclo delle cosiddette Canzoni civili e patriottiche che esortavano alla riscossa nazionale. Naturalmente non si trattava del gioco del calcio che oggi conosciamo, ma era comunque un gioco col pallone. Il canto non è dei migliori del grande Poeta, ma è già emblematico di quel modo di intendere lo sport appunto come metafora della vita, perché Leopardi, cantando le gesta di un famoso campione, peraltro patriota e carbonaro, lo esalta come esempio di energia sportiva, incoraggiandolo a comportarsi così anche nella vita, vedendo nell’azione coraggiosa e determinata l’unico rimedio ad un’esistenza altrimenti vuota e infelice.

Ancor più significative sono le cinque poesie dedicate al calcio (un secolo dopo Leopardi) da Umberto Saba, tra le quali la più bella è senz’altro “Goal”, quella appropriatamente citata da Alessandro Caiulo nel suo post. Interessante è anche ricordare come il poeta si avvicinò al calcio casualmente (accompagnò allo stadio, neanche tanto volentieri, la figlia, desiderosa di vedere all’opera la squadra della Triestina), restandone immediatamente folgorato. Disse di non riuscirne a capire il senso, ma da quel giorno per lui tutto cambiò. Nello stadio, avvolto dal calore della folla e affascinato dal gioco, Saba si sentì “perduto”.
Perché il calcio è così, misteriosa magia. In “Febbre a 90’” scrive Nick Hornby: “Mi innamorai del calcio come mi sarei innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente.”

Anche Pier Paolo Pasolini, a quanto pare fantasiosa ala destra (il che non stupisce certo), scrisse molto di calcio, definendolo “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” e assimilandolo originalmente a un vero e proprio linguaggio coi suoi poeti e prosatori (i cifratori sono i giocatori, noi, sugli spalti, siamo i decifratori). “Corso” dice Pasolini “gioca un calcio in poesia.” E ancora: “Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua è prosa poetica, da ‘elzeviro’. Anche Mazzola è un elzevirista che potrebbe scrivere sul ‘Corriere della Sera’, ma è più poeta di Rivera; ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti.” E, infine, “ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica.”
In un’intervista, Adriano Sofri disse: “Non c’è niente che spieghi Pasolini quanto il suo modo di giocare a pallone.”

Persino il papa Francesco, anch’egli appassionato di calcio (spesso ha citato il gol del calciatore Pontoni che diede lo scudetto argentino al San Lorenzo nel 1946 come uno dei suoi ricordi più belli) ha ripreso, a modo suo, il tema del calcio come metafora della vita. “Mi spiego,” ha detto rivolgendosi a dei calciatori, “nel gioco, quando siete in campo, si trovano la bellezza, la gratuità e il cameratismo. Se a una partita manca questo, perde forza, anche se la squadra vince. Non c’è posto per l’individualismo, ma tutto è coordinazione per la squadra.”

In ogni caso, sono ormai tanti, e notevoli, gli scrittori che hanno scritto di calcio, così come non sono mancati e non mancano calciatori che hanno scritto dei libri. Tralasciando, ovviamente, quei libri-biografie scritti evidentemente da (o con l’aiuto di) ghostwriter con intenti più commerciali che letterari, alcuni calciatori sono diventati anche grandi scrittori o poeti. Ricordo, tra gli altri, Ezio Vendrame (estroso e atipico calciatore degli anni Settanta), oggi apprezzato poeta, l’argentino Osvaldo Soriano (promessa del calcio argentino e poi giornalista sportivo e romanziere, probabilmente il più importante narratore di calcio) e il campione, sempre argentino, Jorge Valdano, compagno di nazionale del grande Maradona.

Ormai, insomma, il connubio tra letteratura e calcio è consolidato. Il calcio metafora della vita (tra le tantissime affinità, la più significativa è forse l’imprevedibilità che caratterizza questo bellissimo sport così come l’esistenza di ciascuno di noi), certo, ma anche – il che forse è la stessa cosa – occasione e pretesto per parlare, quasi inconsapevolmente, di ben altro, della vita appunto, in tutte le sue infinite sfaccettature, in una chiave diversa, spesso favolistica, onirica, poetica o epica.

E allora, a questo punto, mi fa piacere segnalarvi alcune pubblicazioni – in certi casi si tratta di veri capolavori –, limitandomi soltanto a quelle che ho avuto il piacere di leggere, perché sono veramente tanti i racconti e i romanzi che parlano di calcio.
Ho adorato e letto più volte (e regalato a molti amici) “Cuore di cuoio”, dello scrittore tarantino purosangue trapiantato in Brianza Cosimo Argentina, favola dal finale agrodolce ambientata a Taranto, narrata dal protagonista Camillo Marlo, giovane promessa destinata alla Juventus, e dai suoi amici con un felicissimo impasto di lingua italiana e dialetto. Imperdibile per gli appassionati.
Sempre di Cosimo Argentina (e di Fiorenzo Baini) è “Messi a 90”, raccolta di racconti. Baini ci ricorda “le partite più raccapriccianti dell’Italia ai mondiali”, mentre Argentina narra “altre storie di ordinaria follia calcistica”, storie a volte deliranti, spesso esilaranti, quasi sempre sorprendenti e affascinanti.

Ma, come dicevo prima, forse il più grande scrittore di calcio (e perciò… di vita) è stato l’argentino Osvaldo Soriano, con i suoi indimenticabili racconti proposti, come spesso accade nella narrativa sudamericana, con accenti visionari, poetici, fantastici.
“Pensare con i piedi” e “Fùtbol” le sue raccolte più famose, nelle quali “El gordo” ci parla di calcio, certo, ma anche della storia sofferta dell’Argentina, del suo immaginario privato, della sua infanzia, del suo orgoglioso genitore, antiperonista ed eterno perdente, storie dove spesso l’avversario è un stopper arcigno che ti rifila calcioni senza pensarci due volte, proprio come fa la vita, ma dove puoi anche sognare: “Avevo l’impressione di guadagnarmi qualche attimo di paradiso ogni volta che entravo in area e mi ritrovavo tra due disperati che si credevamo macellai e assassini…” “Il rigore più lungo del mondo” è un capolavoro e non a caso è probabilmente il racconto di calcio più conosciuto al mondo. Straordinaria la lettura di Baricco qualche anno fa in un programma televisivo.

E la capacità del calcio di far sognare riecheggia anche nelle parole di Ezio Vendrame, talento incompiuto del nostro calcio (il Kempes italiano, lo definì Boniperti) ma compiutissimo poeta, nella deliziosa raccolta di miniracconti “Se mi mandi in tribuna godo”: “Fu calciando in alto un pallone che sentii di poter bucare il cielo… Che magia! Mi sentii attratto da quella sfera che insieme ai miei sguardi faceva rimbalzare anche il mio cuore.”, nonché nel post scriptum del libro “Il sogno di Futbolandia” di Jorge Valdano: “Vorrei che coloro che mi hanno insegnato a sognare sapessero che io continuo a farlo. E che non intenzione di smettere.”

Il poliedrico Valdano (calciatore, dirigente, allenatore, giornalista, scrittore) è, tra l’altro, autore di un esilarante, strepitoso racconto, “Complimenti, vecchia mia, proprio un bel coglione, tuo figlio”, inserito in “Cuentos de fùtbol”, raccolta di memorabili racconti scritti dai più grandi scrittori sudamericani (tra gli altri Eduardo Galeano, Roberto Bolaño, lo stesso Soriano) e curata da Pierpaolo Marchetti. Raccolta a cui è seguita “Cuentos de fùtbol 2”, sempre di autori di lingua spagnola, tra i quali particolarmente bello è quello dello spagnolo Javier Marías, “Il tempo sospeso”.
Di lingua ispanica si può quasi definire anche Pino Cacucci, scrittore e traduttore, che vive tra Bologna e l’America latina. Tra i suoi numerosi romanzi e racconti, ho avuto il piacere di leggere il divertente “San Isidro fùtbol”.
In “Il centravanti è stato assassinato verso sera”, una sorta di thriller sportivo, il grandissimo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, scomparso qualche anno fa, prende a pretesto una vicenda sportiva per scrivere un giallo (protagonista il suo mitico personaggio, il detective Pepe Carvalho) e per raccontare una Barcellona sconvolta dai lavori e dalle speculazioni per i Giochi Olimpici del 1992.

Se gli scrittori di lingua spagnola ci hanno regalato tanti piccoli e grandi capolavori, anche importanti autori d’Oltremanica hanno scritto, con felici esiti, storie che ruotano intorno calcio. “Fuori area” (sottotitolo “racconti UK di rabbia e passione”) raccoglie racconti che, lontano da tentazioni sociologiche, ci raccontano, tra un velenoso divertimento e una compiaciuta invettiva da stadio, storie spesso strampalate, mostrandoci aspetti originali del calcio (e, naturalmente, e sempre, della vita).
Ma anche gli autori anglosassoni a volte toccano vette poetiche, perché poetico è il gioco del calcio. Così Tim Pearce in “Ebony International”: “Quando Kenny riceveva il pallone, questo diventava una parte di lui. Lo accoglieva teneramente, lo accarezzava, e quando lo passava ad un compagno era un gesto di affetto”. Bellissimo, tra i tanti, anche il racconto “Quei belgi” di Christopher Kenworthy che narra di una stralunata partita in una remota provincia del Belgio.

Famosissimo, poi, “Febbre a 90’” di Nick Hornby (da cui è stato tratto il bel film omonimo con protagonista Colin Firth). Hornby racconta la sua storia di tifoso e della sua infanzia e della sua adolescenza scandite dalle partite dei Gunners (i giocatori dell’Arsenal), ma il romanzo raccoglie una molteplicità infinita di temi e personaggi, risolvendosi in ultima analisi in una storia di formazione. Tra un gol e l’altro Hornby ci parla, con brillante ironia e profondità, della sua famiglia, delle sue peripezie sentimentali, degli amici, del suo lavoro, della sua passione per la musica. E la vicenda sportiva finale (il rocambolesco esito di un campionato vinto dall’Arsenal) è veramente una sorta di allegoria della imprevedibilità della vita e di una realtà che spesso supera la più sfrenata fantasia.

Chiudo con la citazione di alcuni autori italiani. Splendido “A undici metri dalla fine” di Gian Luca Favetto (poeta, drammaturgo, giornalista, critico cinematografico, scrittore). Protagonista il portiere, ormai trentasettenne, Valerio Peraglie, che nei pochi secondi che occorrono all’attaccante avversario per prendere la rincorsa e calciare il rigore che deciderà le sorti di una campionato di Eccellenza, rivede tutta la sua vita, non solo sportiva. Romanzo intenso e veramente riuscito.
Infine, segnalo “Schema libero”, una raccolta di racconti di alcuni scrittori italiani, affetti anch’essi dal benefico morbo del calcio, tanto da costituire una sorta di Nazionale di Calcio degli Scrittori, significativamente chiamata “Osvaldo Soriano Football Club”. Tra gli altri, Alessandro Baricco, Dario Voltolini, Gian Luca Favetto, Carlo Lucarelli, Cristiano Cavina, Enrico Remmert. Di quest’ultimo mi viene in mente il racconto “Tutti contro tutti, portieri volanti” significativo anche della capacità del calcio di farsi dolce memoria quasi mitica: “A quei tempi le partite avevano una durata illimitata: fino a quando il pallone si perdeva o si bucava oppure fino al tramonto. Solo allora si tornava a casa da madri urlanti e preoccupate, con le strade buie ma con in corpo quella strana contentezza che si ha solo quando si è sfiniti.”

Nella foto una famosa immagine di Pasolini che, pur vestito di tutto punto, con abito scuro, cravatta e pullover sotto la giacca, in una bella giornata di sole, non resiste alla tentazione di tirare due calci per strada (anche in bello stile…).

Michele Bombacigno