Quarant’anni fa ci lasciava «Papa Pizzicallu». E finiva un’epoca

di Gianfranco Perri

“Papa Pizzicallu”, così era conosciuto da tutti i brindisini don Augusto Pizzigallo, e così è tuttora ricordato da tutti coloro ai quali l’inappellabile anagrafe lo consente. Nato a Brindisi il 17 marzo del 1900, venne a mancare 40 anni fa, il 14 aprile del 1982. Popolarissimo e brindisinissimo prete, fu carismatico cappellano militare dell’Aeronautica Militare, rettore del Cimitero Comunale e direttore del Museo Civico.
Compì gli studi nel Seminario di Brindisi e fu ordinato sacerdote a Firenze, nella chiesa di Santa Maria Novella. Si formò alla scuola del barnabita Padre Giovanni Semeria e fece ritorno a Brindisi nel 1931, quando fu nominato cappellano dell’Aeronautica Militare dove avrebbe raggiunto il grado di capitano.
Il 1º febbraio 1953 l’arcivescovo di Brindisi Monsignor Francesco Maria De Filippis, lo nominò canonico onorario del Capitolo Metropolitano e l’11 febbraio, in una Cattedrale gremita di popolo e di autorità, si svolse la cerimonia dell’investitura. “Tale onore premia in don Augusto la sua attività di cappellano militare in aeroporto, ove da già più di due decenni esplica il suo ministero con entusiasmo davvero alato. Al contempo l’arcivescovo ha inteso riconoscere tutta la passione con la quale don Pizzigallo viene esplicando il suo incarico al cimitero, ove ha tutto rinnovato abbellito e riorganizzato con plauso unanime dell’amministrazione comunale e del popolo di Brindisi.” [Francesco Arina – ‘Il Cittadino di Brindisi’ del 15 febbraio 1953]
Figura storica di sacerdote brindisino, anticonformista e precursore dei tempi, era di carattere gioviale, anzi decisamente allegro, elegante e con una personalità moto forte. In effetti: “tutto un personaggio” nonché, anche, “una buona forchetta”.

«A passeggio lungo corso Umberto I s’intratteneva cordialmente con chiunque incontrasse. Con lui era sempre piacevole conversare. Il suo look era impeccabile: la tonaca, in lana fresca di Tasmania; sulla parte finale delle maniche erano bene in vista i gradi di tenente – e poi di orgoglioso capitano – dell’Aeronautica. Il tradizionale cappello a ruota era circondato da due fasce dorate di ufficiale. Gli occhi coperti da due grandi occhiali da sole e la bocca illuminata da un sorriso sornione. Don Augusto Pizzigallo non rifiutava mai un invito al ristorante o al bar… All’imbrunire, puntualmente, lo trovavi seduto all’esterno del negozio di ottica del suo grande amico Nuccio Cappello, con la sigaretta accesa nella mano destra…Verso la fine del suo mandato sacerdotale fu nominato direttore del Cimitero che, come d’incanto, trasformò in un vero giardino, rinvigorendo l’afflusso dei parenti dei defunti… È stato un prete che ha firmato un’epoca, sia per il suo anticonformismo che per la sua straordinaria oratoria…» [Pino Minunni – ‘Agenda dei brindisini’ del 17 maggio 2013]

Nell’anno 1947, per volontà e iniziativa di papa Pizzigallo, s’instaurò a Brindisi la tradizione della processione della festa dell’Assunzione della Vergine Maria il 15 di agosto, giorno di Ferragosto. Alle primissime ore del mattino, mentre era ancora tutto buio, dalla chiesa di Santa Maria degli Angeli si snodava la suggestiva processione con la statua dell’Assunta portata da signore velate e seguita dalla folla alla luce delle candele. Il corteo quindi, con le prime luci dell’alba raggiungeva il cimitero dove dall’altare situato nel piazzale, poi divenuto del Crocifisso, don Augusto celebrava la messa con la sua fervente omelia.
Fra le tante altre azioni encomiabili intraprese da don Augusto, infatti, fu proprio grazie al suo interessamento che nel cimitero comunale si eresse la croce con il Cristo, inaugurata al centro del viale principale il 22 maggio del 1952 e diventata di fatto l’icona del cimitero. E ad ogni ricorrenza del “giorno dei morti” la sua appassionata omelia dai piedi di quella croce era sempre seguitissima. Anch’io conservo ancora fresco il ricordo di quando la sua inconfondibile voce stentorea, proveniente dal pulpito, magnetizzava l’interesse dell’intero uditorio, e di quando – proprio in una mia visita da bambino al cimitero – lo conobbi da vicino e mi diede scherzosamente la mano come se io fossi stato un adulto: si era fermato a salutare mio padre che lo conosceva molto bene perché era un sottufficiale dell’Aeronautica ed aveva voluto che fosse stato proprio don Pizzigallo a celebrare le sue nozze con mia madre nella chiesa di San Benedetto, il 27 settembre del 1947.

Allo stesso modo, fu sempre l’attivissimo don Pizzigallo, che il 2 settembre 1957 fece giungere a Brindisi in elicottero la riproduzione del simulacro di Maria Bambina, dono dell’allora cardinale di Milano Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI. La bella statua che tuttora si venera nella chiesa di Santa Maria del Casale. E un’altra volta, una bambina appartenente a una famiglia poverissima necessitava di un urgente intervento chirurgico al cuore. Don Augusto, smuovendo le autorità coinvolte, fece predisporre un aereo militare per trasportarla all’ospedale Niguarda di Milano, dove venne sottoposta ad un provvidenziale e positivo intervento.
Don Pizzigallo abitava in via Foggia, ex via Principe di Piemonte, poi su suo interessamento nel 1959 fatta intitolare al papa Giovanni XXIII a testimonio di un suo incontro che sarebbe divenuto memorabile. Il 14 settembre 1936 l’allora monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro pontefice Giovanni XXIII, annotò sul suo diario: «…Debbo credere che il buon Angelo Custode ed i miei morti mi proteggano sensibilmente. Ieri sera arrivando a Brindisi, occupati tutti gli alberghi, avrei dovuto rifugiarmi chi sa dove per passare la notte. Sul punto della più grave incertezza, ecco comparire due sacerdoti di Brindisi, don Augusto Pizzigallo ed un suo confratello. Accetto l’ospitalità fraterna che il primo mi offre in casa sua: una casa signorile, dove passo benissimo la notte, ed al mattino posso anche celebrare, perché ivi nulla manca. Deo gratias…».
Monsignor Roncalli – ex cappellano militare, sergente dell’esercito italiano nella Grande guerra – fu di passaggio da Brindisi perché allora inviato dalla Sede Apostolica quale proprio rappresentante in Grecia ed in Turchia. L’evento fu ricordato dall’epigrafe murata il 29 giugno del 1959 sulla facciata di casa Pizzigallo. All’interno dell’abitazione fu anche resa memoria di un nuovo incontro con Angelo Giuseppe Roncalli, patriarca di Venezia e reduce da una visita in Libano, il primo novembre 1954. Scrisse in quella circostanza il futuro pontefice: «Lietissimo di rivedere dopo 18 anni il carissimo canonico Pizzigallo, gli rinnovo l’augurio delle consolazioni più vive nel prezioso servizio della chiesa e delle anime».

Anni fa, l’amministrazione comunale di Brindisi decise di intitolare a don Augusto Pizzigallo la via del centro storico che dà su piazza del Popolo, tra via Santa Lucia e piazza Anime, dominando la statua di Cesare Augusto. E il 23 maggio del 2004, in una solenne cerimonia nell’aeroporto militare di Brindisi presieduta dal Comandante della Base tenente colonnello pilota Rolando Tempesta e dal Presidente della Associazione arma aeronautica generale di brigata Giuseppe Genghi, si dedicò al mai dimenticato Cappellano militare don Augusto Pizzigallo il piazzale antistante la cappella aeroportuale, installandovi una epigrafe marmorea.
Quella bella cappella dedicata alla Madonna di Loreto che proprio don Pizzigallo aveva fortemente voluto fosse lì edificata e che fu consacrata l’11 dicembre del 1960 dall’Ordinario Militare d’Italia arcivescovo Arrigo Pintonello. Sulla facciata esterna furono apposte due epigrafi marmoree per ognuna delle quali fu don Pizzigallo che ne redasse personalmente il testo. Il primo, commemorativo dell’evento inaugurale e questo il secondo: “Da questo estremo lembo della Patria al cielo si eleva con la prece pia la gratitudine della nazione memore per il nobile olocausto degli eroi per la generosa offerta del sacrificio delle madri, delle vedove, degli orfani, ad auspicio delle glorie dell’arma azzurra, che nei cieli veglia per le sorti d’Italia”.
«…Sono ancora vivi i ricordi quando, al termine delle riunioni conviviali di copro, don Pizzigallo intervenendo con la potenza del suo eloquio, esaltava le virtù della disciplina, dei valori ideali della famiglia, della patria, del significato della storia e dei suoi insegnamenti, determinando nei presenti vivo entusiasmo e scroscianti e prolungati applausi. Risuona ancora ai nostri orecchi la sua possente e vibrante voce quando inneggiava alla Patria ed al suo Sacro Vessillo, alla religione e alla famiglia con i concetti che, sul filo della memoria, possiamo ricostruire secondo il suo stile…» [Col. Cosimo Filippo, 23 maggio 2004].
Una volta, al termine di uno dei tanti conviti a cui don Augusto partecipava con franco entusiasmo, uno spregiudicato tenentino, fissando la soddisfatta fisionomia del cappellano, gli chiese: “Secondo lei reverendo, in caso di morte il trapasso è più facile prima o dopo la digestione?” E il reverendo, dopo aver sussurrato fra i denti alcune parole dialettali di incomprensibile significato, rispose: “La morte, caro tenente, non è legata alle condizioni del corpo. L’anima vola a Dio con immutata velocità e solo il peso dei peccati ne frena il volo o ne provoca la caduta. Il dilemma che mi ha imposto incide solamente sullo sforzo dei cavalli e dei becchini”. “E lei Reverendo, cosa ha disposto per sé?” – “I cavalli di Argentieri e i portuali della Briamo” rispose il reverendo.
Con questa simpatica storiella ho di fatto, affianco alla breve rassegna biografica formale del carismatico prete brindisino, inevitabilmente iniziato a raccontare quella che potrebbe essere una veramente lunga serie di episodi – presto divenuti aneddotici – da ricordare in relazione all’agire “dirompente e originale” di papa Pizzigallo. Eccone solo alcuni pochi.

«Un giorno – primissimi anni ’60 – in occasione di un importante evento inaugurale cittadino a cui partecipavano tutte le più rappresentative personalità pubbliche di Brindisi, l’arcivescovo Monsignor Nicola Margiotta, non potendovi assistere, chiese a don Pizzigallo di ben rappresentarlo. Ebbene, papa Augusto si presentò puntuale ma vestito da Monsignore, radiante, con gli occhiali da sole e con le sue due immancabili stellette militari sul colletto…» [Aldo Indini, maggio 2013]
Una volta, nel 1952, in un giornale cittadino don Pizzigallo fu chiamato indirettamente in causa da un lettore che aveva inviato una lettera al direttore lamentando lo stato d’abbandono in cui – a suo dire – versava il Museo Civico sito nel Tempietto di San Giovanni al Sepolcro della cui direzione, dopo la lunga chiusura dovuta alla guerra, nel 1945 era stato incaricato don Augusto Pizzigallo. E lui replicò immediatamente inviando al giornale una lunga e dettagliata relazione, puntualmente pubblicata.
«… Quando nel 1945 trovai il museo in stato pietoso e in completo abbandono, lo ripulii, lo riordinai, m’interessai a riportare con mezzi miei i pezzi artistici che erano stati conservati sulle Murge al riparo dalla guerra, e così detti nuova vita al Tempio di S. Giovanni. Non è mai stato scritto che il direttore del museo debba essere anche il moderatore della Brigata della Storia e dell’Arte fondata, così come lo fu lo stesso museo, dal caro amico canonico Pasquale Camassa. Purtuttavia, geloso custode delle sacre memorie di Brindisi, nel 1947 mi adoperai a far rivivere il simpatico Sodalizio e tutti ben ricordano che furono tenute alcune conferenze da esimi oratori. Non si poté continuare perché ‘relicto me, omnes fugerunt’ e mi lasciarono con i debiti, e delle sedie e dei manifesti che io dovetti fare per quelle serate. All’immemore scrittore devo ricordare che morta la Brigata nel 1935, nessuno più s’interessò di essa. Seppellita nel 1947, questa può resuscitare se altri volenterosi vorranno organizzare il Sodalizio culturale e riunirsi nel nome caro di Don Camassa per riprendere quelle belle adunate. La porta di quel Tempio è aperta a tutti, ma più che la porta è aperto il mio cuore e sono pronte le mie energie ad aiutare quanti, non a chiacchiere e con varie recriminazioni, ma con sani intenti, vogliano servire con incommensurabile amore la nostra Brindisi.

Dopo questo sfogo del cuore devo smentire nel modo più categorico e preciso che il museo è in ermetica chiusura che dura anche in tempo di pace, come scrive l’articolista. Da tre anni il Museo Civico è aperto tutti i giorni dalle 8,30 alle 12 e dalle 16 alle 20, meno i festivi. Il Comune a sue spese ha messo un custode che attende alla pulizia e all’apertura. Ogni viandante che passa da Piazza S. Giovanni al Sepolcro, purché goda di un’ottima visibilità, s’accorge che il museo è aperto in queste ore segnalate. Il registro dei visitatori è la testimonianza più eloquente che non c’è chiusura ermetica, e gli abitanti di Piazza S. Giovanni sono i testimoni più interessati per respingere tale calunniosa affermazione. Io, poi, che firmo le presenze del custode e lo vigilo o di persona o per telefono, suggerisco all’ameno scrittore di comprarsi un binocolo a doppia vista per poter aver certezza di quanto scrivo; a meno che egli poi non pensi che il Museo è una qualunque cantina che deve essere aperta a tutte le ore…»

«…Fino agli anni 50 e 60, facendo una passeggiata al corso, non era difficile imbattersi in Filumena Pea Pea. Era piccola di statura, magra, con i piedi piatti che le conferivano una inconfondibile andatura strascicata e ondeggiante. Il volto era reso grottesco dallo strabismo e da una dentatura molto approssimativa. Eppure, Filumena era sempre pettinata e agghindata con mollette, ferretti e fermagli d’ogni genere che a stento tenevano a freno i suoi capelli che sembravano fatti di filo di ferro. Una balbuzie esasperata faceva sì che ingaggiasse estenuanti lotte con le parole fino a riuscire a pronunciare la fatidica frase: “100 lire per il gelato!”. Solo allora si allontanava contenta col suo piccolo tesoro. Era sempre pulita e ordinata, con qualche punta di civetteria nell’indossare sgargianti collane di vetro colorato per le quali andava pazza.
Mia madre ricordava che per il suo matrimonio indossò una collana di false perle prestatele proprio da Filumena Pea Pea, la quale ricevette in cambio una collanina di vetro veneziano: unico oggetto che mia madre poté acquistare in viaggio di nozze.

Filumena Pea Pea aveva avuto un’infanzia e un’adolescenza non facili, vissute nella zona dell’arco di Sala, nel cuore di San Pietro degli Schiavoni, in una famiglia poverissima: il padre alcolista, la madre demente e lei stessa affetta da epilessia e da un grave ritardo psico-fisico. Ma come se tutto ciò non bastasse, Filumena visse anche la tragica esperienza della violenza ad opera di un energumeno che si approfittò di lei. Quell’uomo, però, aveva certamente sottovalutato Filumena che ebbe il coraggio, o semplicemente l’istinto, di denunciare la violenza ai Carabinieri. La ragazza riconobbe tra alcune persone il suo violentatore che fu sottoposto ad un processo ricevendo la conseguente punizione, fatto veramente straordinario per quel tempo. Sovente, in preda ad un’agitazione incontrollata, Filumena narrava l’accaduto, riferendo che all’uscita dal Tribunale quell’uomo osò ancora una volta offenderla sputandola sul viso.

E fu a quel punto che la vita di Filumena subì una svolta decisamente positiva perché incontrò don Augusto Pizzigallo, grande temperamento di uomo e di sacerdote, che la portò nella sua casa affidandola alle cure delle nipoti. Ma questa era una situazione poco ortodossa per quei tempi e ben presto il buon prete cercò per lei un’altra sistemazione altrettanto decorosa. Filumena fu accolta in casa di “zia Dora la vecchia” sorella del mio bisnonno paterno. Questa donna con pazienza e polso, riuscì a rendere Filomena un essere umano, giacché i suoi comportamenti fino ad allora erano stati più simili a quelli di una bestiola selvatica. Le insegnò ad aver cura della propria persona, a lavarsi, pettinarsi e poi la abituò a svolgere semplici faccende domestiche.
Filomena diventò la beniamina di via Barletta, strada nella quale abitava anche la famiglia di mia madre. Nelle sere d’estate, seduta davanti alla porta di casa, era lei il giullare che manteneva allegro il vicinato con esilaranti duetti con la sua benefattrice che ogni tanto, per tenerla buona, la minacciava bonariamente di riferire a “papa Augusto” le sue marachelle. Allora lei si rinchiudeva nel gabinetto e, per esorcizzare la paura di qualche punizione, urlava a squarciagola “papa Augustu è muertu, papa Augustu è muertu”. Negli anni successivi, la provvidenza continuò a sorridere a Filomena. Don Augusto la riportò in casa sua continuando ad assicurarle, attraverso le sue nipoti, una serena e decorosa vecchiaia conclusasi in una casa di riposo curata ed amata da tutti.» [Lucia Tramonte – ‘Freebrindisi.it’ del 30 marzo 2012]