Sant’Apollinare, quel ricordo vivo della spiaggia più amata dai brindisini

di Alessandro Caiulo per il7 Magazine

Ciclicamente, specie in estate, torna di moda l’argomento “Sant’Apollinare”, la mitica spiaggia, situata nel porto medio, poco oltre il Canale Pigonati: fino a qualche anno addietro per rinverdirne, coi ricordi, i fasti estivi dei brindisini nel secondo dopoguerra quando, fra il finire degli anni quaranta e la seconda metà degli anni sessanta, veniva considerata la spiaggia per antonomasia, quella del rilassamento delle ferie estive, il luogo anche dove erano sorti molti dei grandi amori dei nostri genitori e, magari, qualcuno di noi è stato anche concepito sul posto.

La storia più recente è arcinota: dapprima l’inquinamento sia della Montecatini che, soprattutto, l’entrata in funzione della centrale elettrica Brindisi Nord, che originariamente era alimentata ad olio combustibile, unitamente alla cementificazione di tutta la zona in ossequio all’equazione industria=progresso ed una decisa incoscienza, da parte della popolazione, ma non certo del ceto dirigente, sulle conseguenze nefaste per la salute, fecero si che la zona dei lidi si spostasse sul litorale a nord della città, abbandonando al proprio infausto destino quella che era stata la culla della civiltà brindisina, nata quasi 4.000 anni fa proprio sul piccolo promontorio che si affaccia da un lato su Sant’Apollinare, dall’altro su Fiume Piccolo, denominato Punta delle Terrare.
Ciò che molti ignorano, però, è che le spiagge di Sant’Apollinare erano già attive e rinomate ai tempi della Bella Epoque ed ancor più fiorenti durante il ventennio fascista, quando Brindisi ed i brindisini, sicuramente esaltati dalla propaganda del tempo, stavano riacquisendo consapevolezza della importanza storica e strategica della città e cominciavano a rialzare la testa.

Ma la gente andava a prendere il bagno in quella zona anche ai tempi dell’antica Roma quando proprio a Sant’Apollinare sorgeva uno dei due principali edifici termali di Brundisium, il quale prendeva l’acqua dolce dal vicino fiume. Gli avventori, in estate, prendevano il sole e facevano il bagno anche nelle fresche acque antistanti, proprio lì dove Plinio il giovane ricorda che venivano allevate le ostriche dalle lunghe ciglia, ricercatissime nella Capitale, e pescati squisiti saraghi ed enormi orate. Fu qui che nel 1870 l’archeologo e arcidiacono Giovanni Tarantini – proprio colui al quale è intitolata la via che porta al Duomo – rinvenne, durante una campagna di scavi, la statua di Diana acefala e priva di parte del busto, oggi esposta al Museo Ribezzo e, a distanza di qualche metro e qualche tempo dopo anche quella che probabilmente è la sua testa, esposta in altra sala dello stesso museo.

Il buon don Giovanni fece l’impossibile per convincere la Commissione Conservazione e belle Arti di Terra d’Otranto (l’equivalente della attuale Soprintendenza) a tutelare questa scoperta archeologica per evitare che facesse la fine delle altre terme, sontuose e ricche di mosaici, che nel 1846 furono distrutte, senza alcuna cautela, per consentire l’allargamento dell’ingresso nel porto di Brindisi, ma anche allora, quando da Brindisi si bussava a denari, da Lecce si rispondeva picche.
Dal momento che è impossibile condensare in un unico scritto tutto ciò che vi sarebbe da dire su questo posto identitario per eccellenza e che sta per essere distrutto per sempre in ragione della costruzione di nuove banchine portuali che, secondo i consueti proclami dei loro fautori, elimineranno per sempre la povertà e la disoccupazione dalla città di Brindisi, mi limito a rendere partecipi i lettori di quanto mi è passato per la mente osservando con attenzione un manifesto vecchio di quasi un secolo, essendo datato 1924, del Comitato Festeggiamenti Estivi al Lido di Sant’Apollinare, definita, senza tema di smentita, come la più bella spiaggia dell’Adriatico meridionale, indicatissima per la balneoterapia e la elioterapia.
In esso si parla, al plurale, di comodi stabilimenti balneari e, infatti, erano almeno quattro quelli attivi nei primi tre decenni del secolo scorso, Lido Piccolo, Lido Risorgimento, Lido Gaudioso e Lido Cafiero ma, senza gelosie e tentennamenti, tutti quanti, nel loro insieme, erano per i brindisini ed i forestieri unificati in Lido Sant’Apollinare.

Ricordiamo che agli inizi del secolo scorso Brindisi non era più un paesone agricolo e questo grazie soprattutto al passaggio in città della “Valigia delle Indie” o Peninsulare, la famosa tratta ferroviaria che dal gennaio 1871, attraversando il neonato passo del Frejus, cominciò a portare migliaia di stranieri, soprattutto inglesi, da Londra al porto di Brindisi, per l’imbarco alla volta dell’Egitto e dell’India, con un tragitto di appena 45 ore e che, con l’aggiunta di tre settimane di navigazione a bordo di piroscafi, arrivava, superando il Canale di Suez, a Bombay e tutto ciò quando fino a poco prima occorrevano quasi tre mesi per effettuare l’intero percorso via mare. Questo via vai di gente, di merci, di traffici aveva fatto rifiorire la città che , in pochi anni, triplicò la sua popolazione; anche l’agricoltura era all’avanguardia nella coltivazione della vite e nella produzione del vino, il commercio fiorente, una sorta di oasi in mezzo alla povertà che regnava nel meridione d’Italia in quello stesso periodo in cui, dopo l’unità d’Italia, le ricchezze borboniche erano state depredate e trasferite altrove.
Per la Brindisi bene le stagioni del Teatro Verdi, una bomboniera nel cuore della città inaugurato proprio ad inizio secolo, erano un evento non solo culturale ma anche, se non soprattutto, mondano da non perdere.

Il Governo Centrale italiano, che cominciava a vedere di mal occhio la presenza inglese sul nostro territorio, si accorse dell’importanza strategica di Brindisi anche dal punto di vista militare tant’è che decise di evacuare dal Castello Svevo (conosciuto come Castello di Terra in contrapposizione con Forte a Mare, cioè il Castello Alfonsino od Aragonese) le centinaia di carcerati ivi detenuti in quello che era stato utilizzato per circa un secolo come Bagno Penale e di farne una delle più importanti basi militari della nazione, nonchè sede del comando dei sommergibili.
L’istituzione della Base Navale accelerò ulteriormente l’incremento sia demografico, per il trasferimento in città di centinaia di famiglie di militari, che economico, grazie alle attività di indotto collegate alla manutenzione e riparazione dei mezzi navali (l’Arsenale), con la conseguenza che tante altre famiglie, per lo più provenienti dal basso Salento, si trasferirono a Brindisi luogo del loro nuovo posto di lavoro.
Brindisi all’epoca, aveva anche una propria compagnia di navigazione, la Marittima Commerciale Brindisina, che poteva contare su una flotta che nei periodi migliori ha ricompreso una decina di navigli che facevano la spola con i vari porti del mediterraneo, movimentando non solo prodotti agricoli locali, quali l’ottimo vino, ma, come già avveniva dai tempi degli antichi romani, merce proveniente da ogni parte del mondo.
Avvicinandosi i venti della Grande Guerra e trovandosi Italia ed Inghilterra su due fronti diversi, la Valigia delle Indie lasciò Brindisi e si trasferì a Marsiglia e la cittadina adriatica ebbe a soffrirne ma solo per pochi anni dal momento che già negli anni Venti tornò ad essere il centro strategico sia militare che commerciale del bacino del Mediterraneo.

Brindisi visse in pieno la ubriacatura del fascismo e, nella prima fase, come quasi dappertutto nel Paese, ne condivise i sogni di gloria, la qual cosa fu agevolata dall’entusiasmo che scatenò nella gente una serie di eventi che fecero davvero sentire i brindisini come privilegiati dalla storia e dal destino che batteva i cieli della nostra Patria; negli anni successivi le grandi opere pubbliche e i sontuosi monumenti che sorgevano altro non fecero che accrescere questo senso di orgoglio e di appartenenza, più di altri, ad una grande civiltà, facilmente individuata in quella dell’antica Roma.
L’agiatezza ed il ripreso traffico sia di merci che di passeggeri per l’Oriente fecero si che i grandi alberghi, ma anche le economiche pensioni, che erano sorti in città, i lussuosi Caffè, i luoghi di svago e di ristorazione non patissero la crisi e, stante il buon andamento generale dell’economia, vi erano sia tempo che denari da dedicare alle vacanze ed al mare sia per i brindisini che per i forestieri. In tutto quanto questo, Sant’Apollinare nella sua lunga stagione estiva che durava fino a tutto il mese di settembre, esercitava una grandissima vis attractiva.
Era l’epoca in cui le cabine erano in legno e posizionate su palafitte da dove le donne, compiutamente vestite, si calavano in acqua da apposite botole e scalette che potessero evitare lo scandalo di qualche visione impudica ma, anche queste cautele non furono sufficienti ad evitare gli strali del vescovo metropolita dell’epoca, mons. Tommaso Valeri, che condannava senza mezzi termini l’usanza di svestirsi in spiaggia e di prendere il bagno maschi e femmine a poche decine di metri di distanza gli uni dalle altre!
Meno male che la stessa chiesa brindisina aveva prelati più evoluti, come papa Pasqualino Camassa, successore del Tarantini alla guida del Museo Civico, che non solo non aveva nulla da ridire a che la gente si andasse a svagare a mare a Sant’Apollinare ma, con la sua Brigata Brindisina Amatori Storia ed Arte, fondata nel 1921, ne prendeva parte attiva, animando le passeggiate archeologiche che, proprio nel corso dei festeggiamenti estivi, fra luglio e settembre, venivano organizzate non solo per visitare le vicine antiche terme ma anche per far conoscere quello che lui stesso amava definire “gli avanzi monumentali dell’antichissima città di Brindisi”.
Ad un membro molto attivo della sua Brigata, Giovanni Guarino, è dovuto sia il celeberrimo “Lu cuncirtino a mari”, in cui si canta proprio l’allegro e spensierato andare in barca verso i festeggiamenti di “Santa Pullinari” (Na varca cu li fraschi aggiu parata, chiena di lampiuncini e di bandieri, stasera totta bedda lluminata, an giru pi lu puertu l’ha viteri), che l’altrettanto famoso “Mannaggia lu rimu dove, a du certo punto si intona: Pi stu mari tutt’argientu vannu e vennu vapurrini e li varchi a cientu a cientu cu lampioni e cuncirtini. Vieni vieni bedda mia, sciamu a Sant’Apullinari, ca nce festa, ncè lligria, vieni nziemi a me a cantari!
Le possibilità di intrattenimento per turisti e villeggianti erano tante ed oltre alle classiche feste a mare e la mellonata ferragostana, anch’essa istituita da Pasquale Camassa, vi erano le suggestive traversate in vaporetto, in un’epoca in cui dalla banchina centrale di Brindisi alle spiagge si arrivava con barche a remi o con le classiche vele latine; le visite ai grandi transatlantici per l’Oriente che avevano sostituito i piroscafi della Peninsulare (Valigia delle Indie); oltre che numerose gite nei dintorni, spettacoli sia teatrali che di varietà al Verdi, nonchè film in prima o seconda visione nei vari cinema cittadini.


Un grande risalto era dato anche all’attività sportiva con organizzazione di competizioni di ogni genere ma, specialmente – e qui vedo un retaggio lasciato dagli inglesi che per quasi mezzo secolo hanno pacificamente convissuto con i nostri progenitori – oltre che di nuoto e canottaggio, tipici di una città di mare, tornei di tennis, specialità all’epoca assai in auge in Inghilterra, ma appena agli albori alle nostre latitudini, e di …foot-ball così chiamato non in ossequio alla attuale ed odiosa deriva anglofona, ma in quanto il calcio a Brindisi veniva normalmente denominato in tal modo. Ciò non deve fare specie, dal momento che furono i marinai inglesi della Peninsulare a portare questa disciplina sportiva in città quando altrove ancora non era ancora conosciuta e, di poi, la denominazione della prima squadra cittadina fu addirittura Brindisi Football Team, zeppa di giocatori stranieri e militari italiani, poi confluita nella Brindisi Sport e che ebbe nel britannico Foster il suo punto di forza per i primi anni.
Per finire, il vecchio manifesto che mi ha dato spunto per raccontare queste cose, parla di esenzione da tassa di soggiorno, che evidentemente, altrove era dovuta, agevolazioni ferroviarie e riduzioni speciali su prezzi di tutti i generi e lo poteva fare in quanto il Comitato per i festeggiamenti di Sant’Apollinare aveva sede presso l’Unione fra i Commercianti, la corporazione che comprendeva tutte quante le imprese commerciali brindisine, garantiva a cittadini e forestieri ben tre mesi di spettacoli, eventi e divertimenti senza il minimo ausilio e la benché minima intromissione, al contrario di ciò che è prassi ai nostri giorni, delle autorità comunali dell’epoca.