“Uomini zappiens”: moderni, iperdigitalizzati ed iperconnessi

In questi giorni di inizio anno, abbondano sulla stampa internazionale articoli e commenti riguardanti la decisione annunciata da Andrew Sullivan, di chiudere il suo celeberrimo blog «The Daily Dish». Celeberrimo anche perchè fu praticamente primo tra i primi a veramente diffondersi ed affermarsi sulla web una quindicina di anni fa quando, nel 2000, lo scrittore e giornalista inglese Sullivan fu pioniere, dagli Stati Uniti dove si era trasferito nel 1984, nel battere la strada dell’informazione su internet: pioniere cioè del weblogging.

In un suo post http://dish.andrewsullivan.com/2015/01/28/a-note-to-my-readers/ datato 28 gennaio 2015, Andrew Sullivan ha annunciato la propria decisione di ritirarsi dalla blogosfera, e non lo ha fatto con un semplice annuncio, ma la ha anche spiegata quella sua decisione. Ed è stata proprio quella sua spiegazione che ha incitato tante discussioni, che ha stimolato e continua a stimolare tante riflessioni. Provo a riassumere il post estraendone le parti piú signifgicative, quelle in cui Sullivan spiega le sue due principali ragioni:

«La prima, credo molto comprensibile da chiunque, è che nonostante si sia trattato dell’esperienza più gratificante (anche economicamente – mia nota) della mia carriera di scrittore, quindici anni consecutivi di dedicazione quotidiana sono un periodo abbastanza lungo per fare uno stesso lavoro. Arriva un momento in cui si deve passare a cose nuove, si deve scuotere il proprio mondo prima che accidentalmente accada che ti scoppi in mano. Le cose non possono andare avanti per sempre. Ricordo che lo ascoltai da giovane: non è quanto a lungo si vive che conta, ma ciò che conta è tutto ciò che si fa quando sei vivo.

La seconda è che io sono saturo di vita digitale e voglio ritornare al mondo reale. Sono un essere umano prima che essere uno scrittore e sono uno scrittore prima che essere un blogger. E, sebbene sia stata una gioia e un privilegio essere il pionere di una vera nuova forma di scrittura, ho nostalgia per le altre forme più antiche. Voglio leggere di nuovo, lentamente, con attenzione. Voglio assorbire un libro difficile e con esso addentrarmi nei miei pensieri per un po’ di tempo. Voglio avere un’idea e lasciare che essa prenda forma lentamente, piuttosto che ‘bloggarla’ immediatamente. Voglio scrivere saggi lunghi che possano rispondere più profondamente e sottilmente quelle tante domande che negli anni Dish mi si sono presentate. Voglio scrivere un libro e non più, solo e semplicemente, un blog.

Voglio passare un po’ di tempo nella realtà, con i miei genitori, mentre io li ho ancora, con mio marito (lui è notoriamente omosessuale – mia nota) che è stato per troppo tempo un vedovo del blog, con mia sorella, mio fratello, con i miei nipoti; e voglio riaccendere le amicizie che ho semplicemente dovuto lasciare appassire perché sempre attaccato al blog. E voglio anche occuparmi della mia salute, che per lo stesso motivo ho troppo spesso trascurato…»

Ebbene, come ho scritto all’inizio, le reazioni sono state tante in tutto il mondo, e tra i tanti scritti che ho letto su questa vicenda, ha richiamato la mia attenzione e suscitato la mia condivisione, quello del bravo giornalista Massimo Gaggi, il quale mi ha anche molto divertito con la sua simpatica attribuzione di “uomini zappiens” a coloro i quali, soprattutto giovani, stanno inconsciamente rischiando di trasformarsi in qualcosa di nuovo e di diverso -non evolvendo, ma bensí involvendo- al rincorrere a testa bassa le tecnologie digitali.

«…Da tempo molti esperti avvertono che, tuffandoci con eccessivo entusiasmo e in modo acritico nell’universo delle tecnologie digitali, stiamo cambiando il nostro modo di apprendere e di ragionare, oltre che di analizzare i fatti: l’informazione “flash”, l’analisi in 140 caratteri, il continuo botta e risposta, la rete che moltiplica, esaspera e accelera tutto con un effetto-rimbombo che diventa incontrollabile. Saggisti come Nicholas Carr e Jaron Lanier ci invitano a cambiare strada prima che sia troppo tardi. Prima che si consolidino le vere e proprie mutazione genetiche che cominciano a manifestarsi nel nostro cervello di “uomini sapiens” trasformati in “uomini zappiens”. Oggi Sullivan rompe gli indugi e annuncia che staccherà la spina: “Voglio tornare a ragionare in profondità, voglio scrivere un libro”. Ma forse nel mondo delle reti sociali consolidate e degli occhi dei ragazzi fissi sullo schermo di uno “smartphone”, quella spina non sappiamo nemmeno più dove sia…» – Massimo Gaggi.

C’è a questo punto da far notare che apparentemente quello di Sullivan, anche se ha fatto molto scalpore in tutto il mondo per quello che è il personaggio e per quello che il personaggio ha rappresentato, non è un episodio isolato. Vuol quindi dire che forse ci troviamo di fronte al fenomeno di un possibile “pentitismo digitale” generalizzato?

Non credo, non sarebbe infatti mai possibile poter cancellare “internet”, sarebbe come aver voluto a suo tempo cancellare la radiocomunicazione, quale potenziale strumento alienante e distruttore della vivacità ed incisività della stampa, o della emotività artistica dello spettacolo musicale o teatrale che fosse, etc. Invece, molto più probabilmente ci troviamo “finalmente e per fortuna” di fronte alla sana e logica reazione ad un eccesso, all’esagerata e malsana diffusione che si è fatto, e che purtroppo si continua a fare, di un certo tipo di digitalizzazione.

E perché “finalmente e per fortuna”? I perché in questo caso sono molti, e anche se ne ho già scritto e commentato in diverse altre occasioni, anche su questo mio stesso blog “Via da Brindisi”, credo che su questi temi possa risultare utile ripetersi:

Il problema, come spesso succede, sta nella distorsione e non nella concezione delle cose. Non è certo difficile stilare un elenco delle tante negatività che si possono associare al fenomeno della digitalizzazione e del mondo internet più in generale. Ma altrettanto facile risulta stilare un altro elenco, questa volta delle positività, di questo stesso “nuovo” mondo. Certo, un elenco pressoché completo è impossibile da tentare, sia sul versante del “buono” che su quello del “cattivo”.

Ma, senza voler entrare nello sconfinato e troppo facile da difendere campo degli usi positivi e vantaggiosissimi che della tecnologia digitale online si possono fare nel mondo del lavoro e dello studio, come si puó denigrare di internet se solamente si pensa a come sia incredibilmente facile e indispendioso poter informarsi, comunicare ed interagire istantaneamente con praticamente chiunque abbia, in qualsiesi parte del mondo si trovi, uno smartphone? Come non riconoscere l´enorme vantaggio che rappresenta, per chiunque ne abbia la necessitá o la semplice voglia, il poter reperire e magari acquistare online a un prezzo certamente competitivo e da qualsiesi parte del mondo, un libro o un qualsiesi altro prodotto? E quanto vale poter conoscere in tempo utile le condizioni rutinarie o eccezionali del traffico cittadino o autostradale, semplicemente consultando il nostro cellulare? O quanto felici, consciamente o inconsciamente, possiamo sentirci ogni qual volta stiamo cercando di raggiungere un indrizzo ingarbugliato, magari in una cittá sconosciuta o in un paese sconosciuto con inclusa la lingua, ed abbiamo a disposizione un buon gps? E come omettere di commentare quanto incredibilmente meraviglioso sia, per un´infinitá di genitori e di nonni, poter parlare con figli e nipoti comunque lontani, ed addirittura vederli, su Skype? E che dire della comodissima ed efficientissima posta elettronica, con le famigerate e gratuite e-mails?

E degli aspetti negativi della rete, del “cattivo” da rifiutare e da bloccare? Se ne puó certo parlare ancor piú a lungo: per esempio della dipendenza, anche patologica, da facebook o da whatsapp o, dal semplicemente “navigare” con il rischio di finir col vivere “virtualmente” a scapito del vivere “realmente”, o dell´inconvenienza della iperinformazione incontrollata incensurata e ritrasmessa senza nessun contributo autonomo o personalizzato o critico, etc., etc.

La tecnologia non è certo una nemica, anzi è vero proprio il contrario, ma per fronteggiarla al meglio é bene educarsi ad usarla, ed é necessario imparare a gestirla in modo corretto per potersene cosí ampiamente beneficiare, consci al contempo dei suoi limiti intrinseci e dei potenziali pericoli che nasconde.

E infatti, a questo punto è anche bene ricordare che chi twitta o ciatta da mattina a sera commette un errore speculare di chi rifiuta, disdegnato, i social. E che chi passa giorni e giorni su facebook e cerca di convincerci che i suoi “e-amici” siano amici, merita lo stesso nostro biasimo di chi ci propina pedantemente le sue continue geremiadi contro internet.

«Se quest’ultimo personaggio è irrecuperabile, perchè si perde molte cose nuove veloci e belle, il bulimico digitale, come dimostra il caso di Sullivan, può invece esser capace di redimersi. Conosce i due ambienti, e la sua intossicazione, in fondo, è più recente. Ma di disintossicazione, comunque, ha urgente bisogno.» – M. Gaggi.

E Sullivan, probabilmente, ci sta anche suggerendo che forse è giunta l’ora di “desocializzarsi un po’ nell’online” e di tornare alla piena vita reale, reimparando a pensare a leggere e a comunicare in modo corretto e riscoprendo le sensazioni e le relazioni autentiche. Come? Probabilmente disconnettandosi ogni tanto, anzi sempre piú spesso, finché si é ancora in tempo per poterlo saper fare, e prima che riesca poi quasi impossibile.

Ebbene, io credo che una lettura corretta di questo complesso ed intrigante fenomeno “socialtecnologico” con cui identifichiamo “internet – le reti sociali – l‘informazione digitale”, ormai definitivamente globale inarrestabile ed incontrastabile, debba partire dalla riflessione sul fatto che non é per niente “scontato” che internet sia una “rete padrona e schiavizzante” e che, in realtà, siamo noi stessi ad avere tutti gli strumenti e la capacitá di accettare e di usare “il buono” e di rifiutare e di bloccare “il cattivo”, giacchè sia dell´uno che dell´altro, in internet certamente ne possiamo ritrovare in abbondanza. E quindi, come pertinentemente asserisce Beppe Servegnini: «La rete è padrona solo se noi vogliamo esserne schiavi».

E mi piace concludere cosi: “Internet non è assolutamente un mondo alternativo al mondo di prima, ma è solo un altro interessante luogo e un altro intrigante modo dell’unico meraviglioso mondo che abbiamo. Ed è importante pertanto evitare che internet possa finire col diventare l’unico luogo e l’unico modo del mondo, e neppure diventare il luogo o il modo prevalente: qualora lo diventasse, sarebbe pericolosamente e tristemente riduttivo della nostra stessa vita.”

[email protected]