E dagli con i piagnistei e con l’auto commiserazione: ogni occasione è buona, ogni motivo è appropriato. E così la nuova moda italiana, tra politici e non, è lamentarsi del fatto che troppi giovani stanno lasciando le loro città e le loro famiglie, costretti, poveretti, a cercare lavoro lontano da casa e, addirittura – il colmo della disgrazia – fuori dall’Italia. La sbandierata fuga dei cervelli.
Eppure già qualche anno fa – nel VI secolo a.C. – il filosofo greco Anacarsi, aveva sancito che “l’umanità si divide in tre categorie: i vivi, i morti e i naviganti” e per lui, l’ordine usato nel citare quelle tre categorie, non indicava certo una valorazione gerarchica, ma, anzi, significava esattamente l’opposto.
I nostri avi italiani, infatti, da sempre hanno navigato, sia in senso reale e sia in senso lato – cioè hanno da sempre viaggiato e migrato – e quindi, il nostro DNA di italiani dovrebbe ancora racchiudere quello spirito di gente di mare, di gente d’avventura, di gente di sfide coraggiose, che tanti onori e tanti vantaggi ha comportato nei secoli, per noi italiani e per l’umanità intera.
E invece, sembra che ultimamente qualcosa nella nostra catena genetica si stia infrangendo e la maggior parte – non tutti per fortuna – dei nostri giovani d’oggi sembra ambire solo al “posto” mentre già pensa alla pensione.
Questo, forse o anche – ne nutro il forte sospetto – perché tutti quei nostri giovani subiscono più o meno inconsciamente il malefico incentivo – giorno dopo giorno – costantemente propugnato dalle tante prediche di politici e animatori di talk show, in permanente gara a chi più e con più enfasi si lamenta di tutto e di tutti.
Ma meno male che ogni tanto ci pensa qualche scrittore straniero a risvegliarci l’orgoglio di essere italiani e di essere naviganti, o quanto meno di esserlo stati da sempre, e quasi sempre nel bene – Schettino a parte – E allora, considerato che siamo in tempi di vacanze, manteniamoci leggeri, nel leggere e, quindi, nello scrivere.
Hendrik Willem Van Loon, scrittore e acuto giornalista americano di evidenti origini olandesi, che fu corrispondente in Russia e in Belgio durante la prima guerra mondiale, nel capitolo VII della sua “Storia della navigazione” intitolato alla marina italiana, così esordisce: “Quando si dice marina mediterranea si deve intendere in primo luogo marina italiana, o, per dir meglio, degli Italiani, i quali, dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente erano rimasti divisi tra innumerevoli stati, repubbliche e comuni.”
Poi, Van Loon continua raccontando e dettagliando la strabiliante secolare e meritoria storia delle marine italiane e, soprattutto, dei marinai italiani, ai quali ascrive – fuori d’ogni dubbio – il progresso mondiale dell’arte navigatoria e il merito della scoperta ed esplorazione di tutto questo nostro mondo. Di seguito, qualche stralcio di questo stimolante capitolo della sua bella “Storia della navigazione”.
… Con lo stato d’incertezza e di pericolo conseguente alle tante invasioni barbariche seguite alla caduta dell’impero romano d’occidente, fu tessuta una fitta rete di comunicazioni lungo tutti i litorali italiani, facendo capo e via via sviluppando vecchi e nuovi porti, come Venezia, Ancona, Brindisi, Otranto, sull’Adriatico e Genova, Pisa, Napoli, Amalfi, sul Tirreno.
… Ben prima del Mille, a oriente, le coste della Dalmazia e della Grecia furono interamente dominate dalla marina e dai traffici italiani che si estesero a tutte le zone dell’impero bizantino, mentre a occidente tutta la Francia meridionale, la Corsica e la Sardegna entravano nella loro sfera d’influenza. In pari tempo, dalla Sicilia si puntava sull’Africa settentrionale, dall’Egitto alle Colonne d’Ercole da dove si risaliva lungo le coste della Spagna meridionale.
… Poi, lo sviluppo politico e militare delle repubbliche marinare portò a una nuova espansione marittima, commerciale e non solo. A oriente, si stabilirono possedimenti veneziani e genovesi nelle isole dell’Egeo e in vari territori dell’Asia Minore nonché del Mar Nero, fino in Crimea e nel Mare d’Azov. A occidente, Pisa e Genova si insediarono in Corsica e in Sardegna da cui perseguirono i Saraceni fino alle Baleari e oltre.
… Nell’epopea crociata, quando i crocesegnati e i pellegrini si riversarono in Terra Santa, furono le navi italiane che ne monopolizzarono il trasporto, apportando al contempo un notevolissimo contributo di armi e di sangue. E i porti pugliesi e siciliani furono le teste di ponte, sia per i traffici civili che per quelli militari.
… Si spiega cosí come tutti i più potenti stati europei, e non solo, consapevoli dell’abilità maestria e valore dei marinai italiani, si disputassero ammiragli, capitani, piloti e costruttori navali italiani… – Il brindisino Ruggero Flores e Margarito da Brindisi, ne sono un chiaro esempio –
… Francia, Spagna, Portogallo e Inghilterra, o appresero o perfezionarono i loro ordinamenti marittimi alla scuola degli Italiani. E fu lo spirito di audacia e di avventura che spinse gli Italiani a tentare le prime esplorazioni atlantiche già durante il IVX secolo, rompendo l’incanto della navigazione di cabotaggio e aprendo la via alle grandi esplorazioni oceaniche.
… In quello stesso Trecento, inoltre, le flotte genovesi, veneziane, toscane e napoletane, si volsero anche a Nord, approdando regolarmente a Southampton, Londra e Bristol e le case commerciali e bancarie italiane aprirono filiali a Marsiglia, Lione, Parigi, Barcellona, Siviglia, Cadice, Lisbona e nei porti fiamminghi e britannici.
… Alla luce di tutto ciò, appare logico e naturale che anche l’epopea della scoperta dell’America dovesse essere il frutto della scienza nautica, della preparazione e dell’intraprendenza degli Italiani. E, infatti, non fu solo Colombo che portò in America gli Spagnoli che lo soffiarono per poco ai Portoghesi, ma anche gli Inglesi e i Francesi furono condotti in America da navigatori italiani e poi ancora, Spagna Portogallo e Inghilterra si disputarono accanitamente Vespucci e Caboto, i cui contributi all’estensione delle scoperte dei nuovi mondi, fu decisivo.
Finalmente… La notevole cultura e lo spirito umanistico degli Italiani fecero sì che le nozioni che gli esploratori andavano conquistando venissero messe a disposizione dell’intera umanità e non tenute gelosamente segrete com’era l’uso a quel tempo. Colombo e Vespucci raccontarono, come già avevano fatto i veneziani Marco Polo e Damosto, i loro viaggi. Così come il navigante Pigafetta, descrisse meravigliosamente la circumnavigazione di Magellano.
… L’America, scoperta dai naviganti Italiani, paradossalmente segnò l’inizio della loro decadenza a tutto vantaggio delle marine degli stati che s’affacciavano sull’Atlantico, ma per tutto il resto della storia dell’umanità doveva comunque restare indiscusso il meraviglioso merito italiano d’aver abbattuto i confini del mondo e d’aver insegnato l’arte della navigazione oceanica…
Grazie Van Loon per continuare a ricordarcelo e grazie per suggerirci l’immenso potenziale umano che può scaturire dall’animo di chi, con lungimiranza intelligenza ed entusiasmo, intraprende con forza la propria navigazione.
Gianfranco Perri