Nei costruttori del nostro Castello aragonese le radici storiche dell’indipendentismo Catalano

di Gianfranco Perri

Il nostro maestoso e superbo Castello Aragonese, conosciuto anche come Castello Alfonsino, per noi brindisini costituisce sempre un tema di attualità: sia nel bene –perché molto bello, un po’ enigmatico ed ammirato nonché invidiatoci da tanti… finanche il magnate armatore greco Onassis, negli anni 60’ aspirò acquistarlo per allestirvi un lussuosissimo casinò internazionale– e sia nel male –perché da quando la marina militare italiana lo ha consegnato alle autorità civili, è stato tutto un susseguirsi di tristi e rocambolesche vicende, tra incerte proposte d’uso, improbabili restauri ed assurdi abbandoni, come quello a cui tutt’oggi, e da ormai troppi anni, siamo costretti ad assistere, praticamente del tutto impotenti contro la mala amministrazione della cosa pubblica–
Poi, quando la curiosità storica ci induce a scoprire la ragione e l’origine di quell’aggettivo “aragonese”, viene quasi naturale cercar di capire meglio la relazione tra l’Aragona di Saragozza, la Spagna di Madrid e la Catalogna di Barcellona, fino inevitabilmente ad imbattersi nell’attualità delle cronache politiche spagnole e, di fatto, europee: quelle che già da parecchi anni a questa parte ci raccontano delle vicende legate alla pretesa indipendenza della Catalogna dalla Spagna.
Due attualità quindi –quella del nostro Castello Aragonese e quella della Catalogna– ovviamente per nulla razionalmente relazionabili, però in una qualche misura accomunate da un curioso intreccio storico, comunque interessante da ricordare:
Tra gli italiani è abbastanza conosciuta l’attuale nazione spagnola e, anche se magari solo a grandi linee, la sua storia unitaria: specialmente a partire da quella del potente regno che nell’anno 1492 segnò l’inizio dell’era moderna, con a gennaio la cacciata definitiva dei mussulmani da Granada –la loro ultima roccaforte europea– e con a ottobre il finanziamento dell’impresa del genovese Cristoforo Colombo che portò alla scoperta dell’America, contribuendo a creare quella potenza economico-militare che sostenne la fondazione dell’impero spagnolo. Un impero che comprese anche il regno di Napoli, già regno di Sicilia, che era stato di Normanni, Svevi, Angioini e Aragonesi.
Proprio di quegli stessi Aragonesi che a Brindisi costruirono il superbo castello Alfonsino e che in Spagna, prima che questa si costituisse in nazione unitaria, nell’XI secolo fondarono un regno indipendente, destinato a divenire presto alquanto potente: il regno d’Aragona, dalla cui capitale Saragozza –l’antica colonia romana Caesaraugusta fondata nel 25 a.C. dall’imperatore Cesare Augusto sulla riva destra dell’Ebro– estese i suoi confini fino a comprendere i contigui territori Valenziani e della Catalogna, nonché via via quelli d’oltremare: dalle Baleari, alla Sardegna, dalla Sicilia al resto del regno di Napoli e finanche, quelli sub-balcanici dei ducati di Atene e Neopatria.

Il regno di Aragona
Dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, la regione iberica immediatamente a sud dei Pirenei fu conquistata dai visigoti, che la dominarono incontrastati fino all’invasione mussulmana, che nella primavera del 714 raggiunse le rive dell’Ebro.
I mussulmani si insediarono stabilmente e rimasero in quella regione per secoli, fino ad essere scacciati da Saragozza nel 1118, sconfitti dall’esercito cristiano degli aragonesi, abitanti della conca del fiume Aragon –un affluente secondario dell’Ebro– che intorno alla metà dell’XI secolo, nel 1035, avevano fondato il regno indipendente di Aragona.
Il loro primo re, Ramiro I d’Aragona, già nel 1064 aveva tentato senza successo una prima campagna di liberazione dai mussulmani, impresa che invece finalmente riuscì al re Alfonso I d’Aragona e che fu proseguita dai suoi successori, che così estesero gradualmente i confini del regno.
Al regno d’Aragona furono via via incorporati vari territori limitrofi, sottratti all’occupazione mussulmana o autonomi ducati, marchesati e contee: tra queste, la più importante fu la contea catalana di Barcellona, incorporata –confederata secondo alcuni odierni catalani– al regno con il matrimonio tra Petronilla –figlia del re d’Aragona Ramiro II– e il conte di Barcellona Ramon Berenguer IV, dai quali nacque Alfonso II (1152-1196), re di Aragona e conte di Barcellona.
Poi, l’espansione aragonese proseguì ancora: sia a sud, verso Valencia fino ai confini con il regno di Castiglia e sia a nord, fino ai confini con il regno di Navarra e oltrepassando temporalmente anche i Pirenei, consolidando il regno aragonese o, meglio, la nuova “Corona d’Aragona” che nel 1164 integrò i tre territori di Aragona Catalogna e Valencia.
Quindi, la corona d’Aragona si estese oltremare, conquistando le Baleari con il re Giacomo I (1213-1276), la Sicilia con il re Pietro III (1276-1285), la Sardegna con il re Giacomo II (1291-1327), i ducati di Atene e Neopatria con il re Pietro IV (1336-1387) e il regno di Napoli con il re Alfonso V (1416-1458).

La corona di Aragona sul regno di Napoli
Nel 1282, contro il re di Napoli Carlo I d’Angiò, scoppiò a Palermo la rivolta dei Vespri, della quale il re Pietro III d’Aragona fu considerato l’architetto, perché pretendente al possesso dell’isola in quanto marito di Costanza figlia del re Manfredi, discendente ed erede diretto del grande Federico II di Svevia.
Certo è, che l’intervento aragonese a favore dei ribelli contro gli angioini, fu immediato e determinante. Seguì una lunga guerra nel corso della quale il figlio di Pietro III, Giacomo II, sposò una figlia di Carlo II d’Angiò lo zoppo e riconobbe agli Angiò la Sicilia, dietro il loro riconoscimento dei suoi diritti sulla Sardegna.
I Siciliani però, non accettarono quell’accordo e proclamarono loro re, nel 1296, il fratello di Giacomo II, Federico II d’Aragona, che amava dirsi III in quanto erede del grande re Federico II di Svevia, suo nonno materno.
La questione fu momentaneamente chiusa nel 1302 dalla pace di Caltabellotta, con cui la Sicilia fu riconosciuta agli Angiò, ma venne assegnata vita natural-durante a Federico II che sposò Eleonora, l’altra figlia di Carlo II d’Angiò, dando origine, di fatto, a una vera dinastia aragonese autonoma in Sicilia.
Federico II regnò a lungo, fino al 1337, e i suoi successori –Pietro IV dal 1337 al 1342, Ludovico dal 1342 al 1355 e Federico III (o IV) dal 1355 al 1377– contrastarono gli sforzi angioini di ricondurre la Sicilia sotto il loro regno di Napoli, finché si giunse alla pace di Catania del 1372, che sancì una Sicilia indipendente sotto la dinastia aragonese.
Maria, figlia ed erede di Federico III (o IV), andò sposa a Martino I il giovane –figlio del secondogenito di Pietro IV d’Aragona– al quale, morto da re di Sicilia senza avere eredi, succedette il padre Martino II il vecchio, che intanto era asceso nel 1409 al trono d’Aragona e che quindi, tenne insieme sia la corona siciliana che quella aragonese.
Nel 1410, alla morte del re Martino II senza eredi diretti, la corona passò a Ferdinando di Castiglia, di cui Martino II era zio materno, il quale salito sul trono d’Aragona inviò nell’isola, come viceré, il figlio Giovanni, iniziando per la Sicilia un’epoca vicereale. Nel 1416, sul trono d’Aragona successe il figlio di Ferdinando, Alfonso V, il quale si affrettò a richiamare dalla Sicilia il fratello Giovanni, che gli isolani aspiravano nominare loro autonomo re, sostituendolo nell’esercizio del viceregno con un nuovo viceré.
Alfonso V, abile sovrano e diplomatico scaltro, riuscì a costruire un suo diritto al trono di Napoli facendosi riconoscere come figlio adottivo dalla regina Giovanna II d’Angiò Durazzo. Però, la stessa Giovanna II tornò sulle sue decisioni e, poco prima di morire, trasferì l’adozione al francese Renato d’Angiò: ne scaturì inevitabilmente una lunga e crudele guerra, che nel 1442 vide finalmente vittorioso il pretendente aragonese: il nuovo re Alfonso I di Napoli, riunificatore quindi del regno fondato dai Normanni e passato a Svevi e Angioini.


Alfonso V d’Aragona, dal 1442 Alfonso I di Napoli, scelse di risiedere a Napoli fino a quando vi morì nel 1458, e da Napoli governò l’impero valenziano-catalano-aragonese, che nel bacino mediterraneo occidentale occupò uno spazio primeggiante, mantenendo da esso sostanzialmente distinta e autonoma l’amministrazione del regno di Napoli, che fu da lui affidata quasi per intero a italiani.
Alfonso, infatti, non rientrò più a Barcellona nonostante le richieste della moglie Maria, che durante tutti quegli anni continuò a governare, come reggente, i possedimenti spagnoli –incluse la Sardegna e la Sicilia– assieme a Giovanni, il fratello di Alfonso.
Nel 1458, alla morte di Alfonso I di Napoli detto il magnanimo, il regno di Napoli passò in eredità al suo prediletto figlio naturale Ferdinando I, detto Ferrante, mentre quello d’Aragona, con la Sicilia e la Sardegna, passò in eredità al fratello Giovanni II, padre di quel Ferdinando II il cattolico che, succedutogli e sposando Isabella di Castiglia nel 1469, unificherà la Spagna e farà decadere, fino all’estinzione, la dinastia aragonese.
L’ostile papa Innocenzo VIII, infatti, appoggiato dai baroni ancor più ostili alla dinastia aragonese, istigò l’ambizioso re di Francia Carlo VIII a far valere i suoi diritti sul regno di Napoli e cosi, Ferrante stesso agli estremi del suo regno e i suoi successori –il figlio Alfonso II, il nipote Ferdinando II e l’altro figlio Federico– furono sottoposti alla prova severissima del confronto con quella che all’epoca era la maggiore potenza europea.
L’eredità aragonese di Brindisi
Brindisi, nei quindici anni del regno di Alfonso I di Napoli e nei primi cinque del successore Ferrante, fu signoreggiata dal principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini Del Balzo fino alla sua morte, alla fine del 1463, quando la città passò al demanio regio sotto il re Ferrante e i suoi successori, Alfonso II e Ferrandino, fino a quando –il 30 marzo del 1496– fu formalmente consegnata a Venezia, assieme alle altre due città portuali pugliesi di Otranto e Trani, in pegno e in riconoscimento dell’aiuto ricevuto nella difesa e riconquista del regno, seguita all’effimera invasione del re di Francia Carlo VIII, nonché in cambio di anche un prestito di duecentomila ducati.
«…Il pericolo turco fu, esplicitamente, alla base della decisione reale di fortificare adeguatamente Brindisi. È, mentre i turchi sono ancora asserragliati in Otranto che, nel febbraio 1481, il re Ferdinando I d’Aragona, dispone l’avvio dei lavori per la costruzione di una fortezza a guardia del porto di Brindisi: il torrione di Ferrante…» -Giacomo Carito, 2011-

Quella costruzione sull’isola di san Andrea voluta dal re Ferrante, una fortezza a forma di torre quadrata sita sulla punta più occidentale dell’isola di san Andrea proprio all’ingresso del porto, si inserì in un più vasto piano di fortificazione della strategica città, già in precedenza avviato con una serie di opere di difesa inquadrate nel nuovo clima politico determinatosi con la caduta di Costantinopoli nel 1453 in mano al sultano turco Maometto II, il quale rivendicava minacciosamente i suoi diritti di possesso su Brindisi, Otranto e Gallipoli, quali antiche città dell’impero bizantino da lui conquistato.
Il re Ferrante, infatti, già nel 1464 aveva ordinato cingere con muraglia tutta la parte marittima della città, includendo la collina di levante dentro il perimetro difensivo. Si avviarono i lavori per le cortine murarie e si aprirono due nuove porte, quella per Lecce incassata in un taglio della collina, e la porta Reale in prossimità del porto.
Quindi, si rinforzò anche il castello di terra, voluto da Federico II di Svevia, erigendo sulla sponda esterna del fosso un nuovo muro di cinta con agli angoli quattro baluardi rotondi, coprendo il fosso con una solida volta così da ricavare una strada interna protetta e sormontata da rifugi interrati e spianando, all’interno della fortezza, una piazza vuota di sotto, per poterla minare in caso di estremo pericolo.
Nel 1485 Alfonso, figlio del re Ferrante e allora duca di Calabria in quanto erede al trono di Napoli, trasformò il torrione di Ferrante, conducendolo a vera forma di castello con la costruzione di un grande antemurale con due bastioni: uno di forma triangolare all’angolo nordest, di tipo casamattato, detto magazzino delle polveri, e l’altro di forma circolare ad ovest, a terrapieno, detto di san Filippo, collegati tra loro da un cammino di guardia che racchiudeva al proprio interno la piazza d’armi.
Era sorto il superbo castello Aragonese di Brindisi, detto anche Alfonsino, che i turchi denominarono “castello rosso” dal colore che a certe ore sembrava assumere la pietra di carparo con cui era stato fabbricato.
Poi, col successivo intervento diretto dal senese Francesco di Giorgio nel 1492, il castello fu compiutamente definito con l’edificazione del grande salone del primo piano e le gallerie coperte con volta a botte al livello inferiore, e quindi, con l’isolamento della rocca mediante il taglio dello scoglio e l’apertura di un canale.
Il regno di Spagna e l’impero spagnolo
Ferrante morì nel 1494 e gli succedette il malvisto primogenito Alfonso II di Napoli il quale, prima che Carlo VIII realizzasse –tra il febbraio e il luglio del 1495– l’effimera conquista del regno, abdicò a favore del figlio Ferdinando II di Napoli, detto Ferrandino.
Il re di Francia dové, tuttavia, abbandonare in tutta fretta il regno appena conquistato, per la lega militare che contro di lui formarono gli stati italiani e per gli atteggiamenti ostili assunti dalle altre potenze europee dinanzi alla felice e facile riuscita della sua impresa, e così Ferrandino poté tornare quasi immediatamente sul trono.
Tra le potenze europee che presero posizione contro la conquista francese ci furono Castiglia e Aragona, su cui regnavano i re cattolici, Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, che con il loro matrimonio avevano sancito l’integrazione dei due regni e posto solide basi per la nascita del potente regno, nonché impero, spagnolo.
Alla morte di Ferrandino, avvenuta prematuramente il 7 settembre 1496 e senza lasciare eredi diretti, il trono del regno di Napoli passò a suo zio Federico, secondogenito di Ferrante –fratello di Alfonso II di Napoli anch’egli già morto– che salì sul trono come Federico I.
Egli dovette difendersi, sia dai francesi del re Luigi XII succeduto a Carlo VIII e sia dagli spagnoli di suo cugino il re Ferdinando II il cattolico, che tra di loro accordarono spartirsi il regno di Napoli. E quando, nel 1501, questo fu invaso dai due eserciti stranieri, Federico I di Napoli decise di cedere al re di Francia Luigi XII i propri diritti sul regno, ricevendo, come futile e comunque tangibile compenso, la contea francese del Maine per sé ed i suoi eredi.
La dinastia aragonese del regno di Napoli finì quindi in quel 1501, tradita da uno stesso aragonese a favore del nascente regno di Spagna, e si estinse definitivamente nel 1550 con la morte senza discendenti del figlio di Federico I di Napoli, Ferdinando d’Aragona, il duca di Calabria mai divenuto re.
L’accordo del 1501 si rivelò però immediatamente caduco e, a causa delle ambigue condizioni alle quali era stato stipulato, scoppiò inevitabile la guerra franco-spagnola e Napoli cadde in mano agli Spagnoli nel 1503. Poi, alla fine dello stesso anno, i francesi furono pienamente sconfitti e, con il trattato di Blois stipulato nel 1505, dovettero riconoscere la sovranità della corona spagnola su tutto il regno di Napoli, e Consalvo di Cordova fu il primo di quella che poi sarebbe stata la lunghissima serie dei viceré spagnoli di Napoli.
Nel regno di Spagna, ormai di fatto e definitivamente unificato e sopravvenuto all’insieme dei vari regni minori precedenti, tra i quali quello di Aragona, il 15 gennaio 1516 morì il re Ferdinando il cattolico e gli succedette il nipote Carlo, figlio di sua figlia Giovanna la pazza e di Filippo il bello, arciduca d’Austria e figlio dell’imperatore Massimiliano. Così nel 1519 Carlo, morti entrambi gli antecessori, i nonni Ferdinando e Massimiliano, congiunse a soli 19 anni le corone degli stati austriaco e spagnolo. E nel 1520, nella cattedrale di Aquisgrana, fu incoronato imperatore del sacro romano impero con il nome di Carlo V.
In seguito, un altro re spagnolo divenne imperatore, questa volta però dell’impero di Spagna: Filippo II (1527-1598), il figlio di Carlo V che salì sul trono di Spagna nel 1556 inaugurando il cosiddetto secolo d’oro spagnolo. I suoi possedimenti si estesero a tutto il Meridione italiano, alla Sicilia, alla Sardegna, al ducato di Milano; quindi alla Contea Franca, ai Paesi Bassi e ai vastissimi possedimenti d’America cui si aggiunsero le isole Filippine e, dal 1581, al Portogallo con tutti i relativi grandi possedimenti d’oltremare: il Brasile, le Indie Orientali e le basi commerciali in Africa e Asia.

La nazione (?) Catalogna
In tutto questo contesto, i tre territori che avevano conformato la potente Corona d’Aragona -il regno d’Aragona, il regno di Valencia e la contea di Catalogna- non tornarono più ad essere degli stati indipendenti, ma rimasero integrati alla nazione spagnola: uno status ininterrottamente mantenuto fino ai nostri giorni.
Giorni nostri in cui, con la Spagna ormai pienamente integrata nell’Unione Europea, i catalani stanno propugnando un improbabile, e in qualche modo antistorico, processo di indipendenza e di rifondazione della nazione Catalogna, una nazione che, invero, non sembrerebbe sia mai stata tale, come invece certamente lo fu, per esempio, Aragona.
La Catalogna è oggi una regione autonoma spagnola situata all’estremità nord-orientale della penisola iberica, tra i Pirenei e il Mediterraneo, con un’area di circa 32.000 km² e con a capoluogo la città di Barcellona. Confina a nord con la Francia da cui è separata dalla catena dei Pirenei e Andorra, a ovest con la regione Aragona, ad est con il mar Mediterraneo e a sud con la regione Valenziana. È composta da quattro province: Barcellona, Girona, Lleida e Tarragona.

La Catalogna ha una popolazione di circa 7 milioni e mezzo di abitanti: una popolazione con, effettivamente, una cultura e una lingua proprie, gelosamente e orgogliosamente salvaguardate e, giustamente, ampiamente riconosciute, rispettate e protette dallo stato spagnolo. Avrebbe quindi alcun senso oggi una sua indipendenza? … … … … … Mah!

BIBLIOGRAFIA:
Ascoli F. La storia di Brindisi scritta da un marino‐1886
Carito G. Le fortezze sull’isola di Sant’Andrea fra il 1480 e il 1604-2011
D’Ippolito L. L’isola di San Andrea di Brindisi e le sue fortificazioni-2012
Galasso G. Los territorios italianos – pag. 129-142 in:
Belenguer Cebrià E. & Garín Llombart F.P. La Corona de Aragón: Siglos XII al XVIII-2006
Perri G. Brindisi nel contesto della storia‐2016
Speranza V. Storia della Puglia nel periodo di Alfonso il magnanimo-2014