La mia pagina chiusa per vergogna

Il 4 ottobre scorso ho voluto chiudere la mia pagina su Facebook. Per lutto, per rispetto.

Sono morte tante persone nell’intento di fuggire dalle persecuzioni, dalle guerre. Donne e bambini che cercavano LA LIBERTA’ e non un posto di lavoro. Fuggivano dalla violenza e dalla morte e, purtroppo, sono state accolte da una violenza ancora più grande.

Sognavano di svegliarsi in un mondo diverso dove non sei costretto a fuggire e a difenderti dal violentatore, dall’approfittatore, da uno Stato che non esiste e che, per questo, non può proteggerti. Fuggivano da tribù invasate, assetate  di sangue e di morte. E l’Italia non rappresenta la “terra promessa” ma solo “una promessa di terra”: un appiglio, uno scoglio qualunque. L’Italia, lo sanno tutti, non è “il paese dei balocchi”. E’ vero, in Italia, ci sono molti giocattolai, luci e girandole colorate ma con gli occhi di chi cerca di scappare dalla morte, i nostri colori sono avvolti da una fitta nebbia e, dai disperati, si riescono a intravedere solo ombre. Ombre, alcune sì, davvero sinistre.

Ho spento Facebook per non essere costretto a leggere le varie posizioni di chi, essendo titolare di una pagina, sente il dovere di dover sparare minchiate. In alcune situazioni, mi è capitato, di entrare nelle polemiche omofobe e razziste di chi grida, abbastanza anacronisticamente, alla Triade “Famiglia, Patria, Dio”. Di chi, pur credendo nella Patria ti spara addosso, con arroganza e violenza, la propria ignoranza. E io, fino a prova contraria, sono un “compatriota”. Uno che sente di appartenere fortemente anche al proprio condominio, alla propria città, al proprio Paese, al continente europeo, al genere umano, al Mondo… insomma ho un innato ed insopprimibile  “senso di appartenenza”.

Non ho voluto, però, leggere nulla: nessuna polemica. Sentivo che la proclamazione del LUTTO NAZIONALE avrebbe avuto strascichi polemici come solo chi è sempre schierato dalla propria parte può alimentare.

Cento, centocinquanta, duecento persone morte. Non sono Somali, Eritrei, Africani: sono P E R S O N E.

E l’abitante di Facebook ci ricama una polemica: non sulla pasta Barilla, no. Su un’ecatombe. Scrive, spara minchiate e poi, bel bello, si guarda la Tv, mangiando un pasto caldo, accarezzando i propri bambini, nella propria casetta che trasuda amore,  disegnata come il MULINO BIANCO ovvero come la casa della strega di Hansel e Gretel, piuttosto. Ma non è colpa loro, nemmeno delle povere anime cadute in mare, però.

La “Vergogna!” gridata dal Papa, Persona capace di riunire tutti (davvero), l’ho rivolta a chi ha strumentalizzato, interpretato unilateralmente e vomitato sulle “politiche della immigrazione in italia”. Lo dico subito la colpa della tragedia non è della Legge Bossi-Fini. Cioè, i pescherecci e i loro equipaggi hanno assistito inermi alla morte di donne e bambini in mare. Si sono, addirittura, allontanati, voltando le spalle alla tragedia. Perché? Per paura. Per paura di una legge. O, meglio, dell’interpretazione di una legge che, purtroppo, scritta da due “fini statisti” tal Umberto Bossi e tal Gianfranco Fini, non è affatto chiara. Essa testualmente punisce,” con la reclusione fino a tre anni e con multa fino a 15.000 euro per ogni persona” tutti quegli “atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero, ovvero atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente. […] “.

In sostanza, i pescherecci di Lampedusa, a dire dalla stampa, non avrebbero prestato aiuto, punibili, quindi, con il reato di “omissione di soccorso”, per non essere puniti, astrattamente, “per favoreggiamento all’immigrazione clandestina”. Essi avrebbero commesso, cioè, un reato omissivo per non commettere altro reato!  Ecco, se fosse vero, e mai tutto quello che si legge è TOTALMENTE VERO, questi poveri pescatori, per paura di una legge, sono ugualmente punibili. E’, quindi, un alibi, la legge Bossi-Fini? Secondo me, sì. Nel dubbio, nell’ignoranza, nella immediatezza dei fatti IO AVREI AIUTATO CHI STA PER MORIRE…e poi, eventualmente, guardare negli occhi il Magistrato che avrebbe dovuto condannarmi per “FAVOREGGIAMENTO ALL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA!”. Sono certo che nessun Giudice mi avrebbe condannato. MAI e POI MAI. Ma si sa, in Italia qualcuno, per fini personali, ha voluto considerare la Magistratura e i Magistrati come esseri ciechi, biechi e poco lucidi… Io preferisco essere condannato da un Giudice, però, e non dal mio DIO o dalla mia coscienza! Questa sì, implacabile…

Marcello Biscosi