Gli ex cestisti ora sono Clown Therapist

Li conosco da quando erano adolescenti, una di loro l’ho addirittura tenuta in braccio appena nata, quasi tutti sono stati miei atleti in tempi non troppo lontani: giovani donne e uomini dalla grande vitalità che conservano ancora un amore sviscerato per la palla a spicchi e qualcuno ancora si diletta a giocarci insieme con soddisfazione. Ora sono abbastanza adulti da comprendere che il basket è “il più bel gioco del mondo”, ma resta pur sempre un gioco, mentre la vita ha bisogno di altro: lavoro, famiglia, sacrifici, disponibilità. Stimati professionisti, infaticabili lavoratori, eccellenti studenti, oggi tutti hanno dedicato una parte delle loro risorse affettive – ed una bella fetta di tempo libero – al prossimo ed in particolare a chi soffre. Ora fanno parte di una associazione – “Mani e cuore aperti verso chi soffre” – che opera da circa 20 anni con un gruppo sempre più vasto di clown therapist, ha acquistato con l’impegno di tanti benefattori un’ambulanza a misura di bimbo (la super attrezzata e colorata ” Bimbulanza”), ha un centro ascolto all’ ospedale Fazzi di Lecce, una casa accoglienza vicino il polo oncologico di Lecce ed una in Tanzania per i bambini poveri di quella martoriata regione, un centro benessere all’ oncologico di Lecce per le “guerriere che lottano ogni giorno” come le definisce Don Gianni Mattia, il fondatore di tutto questo gran movimento. Ora i miei amici del basket non si chiamano più Alessandro, Gianluca, Giulia, Ivan, Matteo, Simona, Stefania: ora sono “Freccia”, “Canestrello”, “Giuggiola”, “Colà”, “Tarallo”, “Chica” e “Sunrise” ed il loro compito è di far sorridere bimbi e adulti ospiti di reparti ospedalieri dove il sorriso non è notoriamente di casa, quello di portare un po’ di sollievo e soprattutto di speranza anche ai familiari che assistono questi giovani sfortunati.
Che c’entra il basket, direte voi? Ve lo spiega Ivan Colazzo, 34enne, che del gruppo sanpietrano dedito alla clown terapia (sono circa 30 gli aderenti) è il coordinatore: “il basket ci ha insegnato il rispetto degli avversari, che oggi è diventato rispetto per tutti, il sacrificio, l’impegno e la costanza negli allenamenti: allora non esistevano fidanzate, febbre, influenze, doloretti vari, esisteva l’impegno preso con i compagni di squadra. Oggi per noi valgono le stesse regole, nel lavoro, nella famiglia, nelle attività che svolgiamo. Il basket ci ha insegnato il rispetto dell’arbitro e delle sue decisioni (se protestavi eri in panchina per tutta la partita ed i nostri coach ci ripetevano “si dimostra di essere più bravi non protestando, ma giocando”); oggi questa regola vale nei confronti della vita o dei superiori a lavoro, con i fatti si dimostra chi si è, non con le parole”.
E questi ragazzi, in effetti, non usano parole per portare un sorriso a chi soffre. “Ci accomuna – spiega Giulia De Stradis, 26 anni, uno dei clown sanpietrani – in primis una voglia particolare del mettersi in gioco, ma soprattutto l’obiettivo di sperimentare un percorso che potesse unire la nostra fede al desiderio di dare un aiuto al prossimo. Questa esperienza ci ha insegnato tanto, continua a farlo, perché ci fa rendere conto che basta davvero poco per rendere felici bambini o adulti in difficoltà. Ogni volta che incontriamo i nostri amici degenti non è mai come la volta precedente, c’è sempre qualcosa di nuovo e di inaspettato. E dopo ogni singolo turno, ricevere un grazie sincero per quello che facciamo con un sorriso a 32 denti, per noi significa che abbiamo lasciato il segno e che, nel nostro piccolo, la missione è stata compiuta”. Le fa eco Matteo Pascali, il clown “Tarallo”: “senza ombra di dubbio
mi ha spinto a intraprendere questo tipo di volontariato una mia dolorosa esperienza familiare vicino alla malattia, ma anche la passione verso il magico mondo dei bambini che mi ha sempre affascinato. Sapere che si può alleviare la permanenza in ospedale dei piccoli pazienti, solo portando un sorriso in quei corridoi , ripaga molto di più di quanto poi si doni. Non ho un episodio che ricordi con particolare affetto, ma credo che tutti mi abbiano lasciato silenziosamente qualcosa che mi spinge ancora oggi a guardare le cose come le guarderebbe un bambino, cioè con semplicità, schiettezza e trasparenza, e a continuare in questa splendida missione di sorriso”.
C’è anche chi – come Simone De Matteis, farmacista e neo mamma – non vede l’ora di poter tornare ad esercitare il suo impegno sociale: “Mi manca tantissimo la clownterapia, ma tra il lavoro, la bimba e la famiglia non ho purtroppo più il tempo da dedicare: era una parte di me che provava ad aiutare chi, soffrendo nella vita quotidiana, non chiedeva altro che un sorriso, una carezza, una parola di conforto o semplicemente di essere ascoltata. Ogni volta che andavo a fare un turno in ospedale, sia in pediatria che psichiatria, mi ritrovavo all’uscita ad aver ricevuto più di quanto avevo dato ed è una sensazione difficile da spiegare; è stata un’esperienza che ha cambiato completamente le mie priorità e mi ha migliorato tanto nei rapporti interpersonali, ora sono più empatica , gentile e paziente”.
I miei amici ex-cestisti ed i loro compagni dell’associazione – sono ormai 450 circa i clown in attività – sono presenti in tutti gli ospedali del leccese, nel C.R.A.P. (Comunità Riabilitativa Assistenziale Psichiatrica) di San Pietro Vernotico, nel centro “Santa Bernadette” di Torchiarolo, nella Residenza Sanitaria Assistenziale “San Raffaele” di Campi Salentina – ma non disdegnano anche di recarsi a domicilio dei piccoli pazienti: un impegno che assolvono con spirito di sacrificio ed altruismo. “Sì, è questo il termine giusto – conclude la nostra chiacchierata il coordinatore Ivan – ma la massima forma di altruismo non è donare del denaro e neanche il sangue, come pure facciamo con regolarità. La massima forma di altruismo è donare il proprio tempo. Il tempo non può ritornare: una volta dato è di chi lo ha ricevuto. E, per ritornare al basket, le ore che i nostri coach Claudio, Felice, Gianni, Mimmo hanno donato in quel rettangolo di gioco nessuno gliele restituirà, ma sono state fondamentali per noi giovani per una crescita sana; oggi più che mai riusciamo ad apprezzarle e, nel nostro impegno sociale, cerchiamo di utilizzarle al meglio sperando di offrire quelle emozioni che a noi ha regalato la palla a spicchi”.