La città dell’Abbraccio: quella donna con bimbo diventa simbolo di Mesagne

Cumma’, sta vau cu vesciu l’ossi c’hannu assuti sobbra allu giurnali”. A Mesagne è l’inizio della novena della “Madonna di febbraio”, quella che nel 1743 difese il piccolo paesino messapico dal terremoto: mentre nei centri vicini la potentissima scossa (durata addirittura un quarto d’ora, secondo quanto scriverà nel 1875 Antonio Profilo) uccise centinaia di persone, qui si contò un’unica giovanissima vittima, il figlio dell’allora sindaco Gian Paolo Negro, ritenuta il sacrificio che la Vergine chiese alla popolazione per risparmiare il resto degli abitanti.
La processione, partita come di consueto dalla basilica dei padri carmelitani, accompagna in Chiesa Madre la statua della Madonna del Carmine, patrona dal 1650, rievocando quanto accadde quel 20 febbraio di quasi tre secoli addietro, quando i mesagnesi si mossero in corteo verso la collegiata con il simulacro della protettrice, per testimoniarle gratitudine e darle prova di quella accesa devozione che ancora oggi resiste.
Mentre la meravigliosa Madonna dai capelli biondo rame entra nel cuore antico della città, un’anziana con un’acconciatura improbabile si sfila dal braccio della compagna di camminata e, oltrepassata la Porta Grande, svolta frettolosamente a sinistra, il rosario colorato tra le mani, il bavero del cappotto scuro sollevato attorno al collo rugoso, lo sguardo circospetto di chi magari si biasima di aver sottratto attenzione alla fede per assecondare il rito laico della comprensibile curiosità su quanto il ventre del centro storico ha custodito per secoli sotto le chianche.
“L’ossi” (le ossa) che la signora intende osservare da vicino sono probabilmente quelle dei due scheletri rinvenuti circa due settimane addietro in piazzetta Sant’Anna dei Greci, nel corso dei lavori per la posa delle nuove condutture di acqua e fogna ad opera dell’Acquedotto Pugliese.
Altri resti sono emersi dalle viscere di questo esiguo slargo un po’ discosto, che per dimensioni e stile si distingue dalle altre piazze mesagnesi abitualmente palcoscenico di spettacoli, sagre ed eventi culturali. Altri resti ne hanno abitato per quasi sei secoli il sottosuolo, ma l’apparente “abbraccio” tra quella giovane donna e il piccolo (o la piccola) ritrovatole accanto colpisce ineluttabilmente l’immaginazione, suscita emozioni ancestrali, in qualche maniera costringe alla resa il cinismo e la frigidità emotiva che connotano i nostri tempi.
Del recente ritrovamento fa menzione persino il sindaco Toni Matarrelli sul pulpito laico della chiesa dell’Immacolata, dal quale pronuncia il discorso che precede la consegna delle chiavi della città a colei che risparmiò ai mesagnesi la tragedia di piangere centinaia di vittime: “L’immagine di quell’abbraccio ha il potere naturale di identificare e racchiudere Mesagne e il suo calore; l’immagine è carica di un potere evocativo che la fa assurgere, con potente delicatezza, a simbolo della città stessa. È un’icona dotata di una simbologia intensa, una rappresentazione della stretta calorosa tra la nostra civiltà e tutte le altre, in precisa controtendenza con le divisioni al quale il mondo cerca di abituarci ogni giorno”.
Dopo la trozzella, emblema della civiltà messapica noto in tutto il mondo, dopo il torrione del castello normanno-svevo e dopo la palma e le spighe di grano dello stemma cittadino, quindi, simbolo di Mesagne diventa “l’abbraccio” secolare di piazzetta Sant’Anna dei Greci, luogo che non ha l’austera eleganza salottiera di piazza Orsini, né la vocazione commerciale di piazza Commestibili o il dinamismo di piazza IV Novembre, eppure conserva e mostra un suo fascino del tutto peculiare, genuino, essenziale, quasi domestico.
Il luogo che sconta la pesante eredità di essere stato scenario di eventi delittuosi tra i più efferati che il paese ricordi e che ha tristemente contribuito a far guadagnare a Mesagne l’appellativo di città omertosa (per la connivenza che molti degli abitanti dimostrarono in occasione dell’arresto del boss della SCU Massimo Pasimeni e della sua compagna) assurge, negli ultimi giorni, a meta d’elezione di cittadini, turisti e avventori occasionali.
Lo raccontano, contenti e orgogliosi, gli abitanti della piazzetta e dei vicoli che vi confluiscono: mai qui s’era vista tanta gente a sostare, curiosare, osservare, domandare, malgrado nulla al momento sia visibile se non le transenne con i teloni verdi che delimitano l’area nella quale, come alcuni residenti confidano, si continua a scavare e a portare alla luce reperti. Si avverte, tra chi abita la piazza e le stradine afferenti, la palpabile meraviglia per avere vissuto per decenni calpestando un patrimonio culturale di inestimabile valore: “Siamo pieni di polvere in tutte le stanze, ma questa scoperta ci arricchisce tutti, anche se questo significa che i lavori finiranno dopo”, osserva un’anziana che spazza i gradini della sua abitazione. “Comunque io la chiamerei Anna. Se veramente quelle sono le mura della chiesa di Sant’Anna, non c’è nome più bello”, conclude la signora, facendo riferimento al sondaggio lanciato la settimana scorsa proprio sulle nostre pagine.
Malgrado le cautele (legittime e naturali) degli archeologi e degli storici, infatti, per i mesagnesi lo spesso tratto di muratura in adiacenza del quale sono state scoperte le cinque tombe è senza dubbio parte delle fondamenta dell’antica chiesa di Sant’Anna dei Greci, luogo di culto bizantino della comunità greca insediata nel centro storico, cui era annesso un sepolcreto (di entrambi vi è traccia nelle fonti storiografiche, dal Mannarino in poi).
E alla storia di Mesagne fa continuo riferimento il sindaco durante il suo discorso: “La consapevolezza di vivere una data di lutto, ci predispone ad indagare il rapporto con le nostre radici, rappresentate dalla terra, ora pianeta meraviglioso spesso sconvolto dall’egoismo umano, ora territorio circoscritto in cui viviamo e nel quale la comunità dei nostri avi ha tracciato solchi profondi che in parte fanno di noi quello che siamo”.
Non è ancora nota la decisione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Brindisi, Lecce e Taranto circa la destinazione degli scheletri ritrovati: certamente ai mesagnesi piacerebbe che la giovane e il bambino tornassero nel luogo che ne ha cullato il riposo per 600 anni.
“No’ ssi veti nienti”, mormora delusa, stringendosi nelle spalle e dirigendosi a passo svelto in Chiesa Madre, l’anziana donna che, pur di vedere gli scavi, ha rinunciato a recitare qualche Ave Maria.
Così, mentre in questo febbraio mite rinnova la sua devozione profonda alla Madonna, madre per antonomasia, Mesagne si scopre emozionata e commossa per quell’abbraccio che, pure in assenza di conferma ufficiale, immagina di madre a figlio. L’abbraccio di una città che vuole impegnarsi ad essere capace non soltanto di generare, ma pure di nutrire, educare, consolare e accogliere, manifestando, per il tramite delle ossa emerse in piazzetta Sant’Anna dei Greci, proprio quelle qualità che archetipicamente si riconducono al paradigma del rapporto madre-figlio.
Mesagne città mariana, dunque.
Ma anche, oggi più che mai, Mesagne città materna.