Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario“ (Primo Levi)

La necessità del ricordo e della conoscenza ci ha indotto a trasformare la Giornata della Memoria in un evento più ampio che non comincia né si esaurisce con il 27 gennaio. La Settimana della Memoria, promossa all’interno delle classi, è stata scandita da due eventi significativi ai quali abbiamo partecipato con i nostri studenti, nell’ambito di un percorso didattico che avvicina i giovani alla tragedia della Shoah.

Il primo.

Teatro Verdi, lunedì 27 gennaio, ore 11. “Italiano Prigioniero Sono” di e con Sara Bevilacqua, attrice brindisina e figura di spicco nel teatro pugliese (musiche Daniele Bove, voce Daniele Guarini, drammaturgia Emiliano Poddi, disegno, luci Paolo Mongelli, grafica Piero Gioia).

Abbiamo optato per questa proposta, piuttosto che assistere ad un film che può essere visto in qualunque momento, innanzitutto perché il teatro è una forma d’arte a cui i giovani si accostano troppo di rado; poi perché questa pièce teatrale è frutto della passione e dell’impegno di una giovane concittadina, Sara Bevilacqua appunto. In “Italiano prigioniero sono”, la Compagnia Meridiani Perduti opera una fusione riuscita (e non solo in questa occasione), tra micro e macrostoria: Oscar Pronat, classe 1923, brindisino, ex motorista, ex sommergibilista, ex prigioniero di guerra numero 310.584, racconta al suo compagno di fuga Nino la vicenda che lo vede protagonista di fatti che, tra il 1939 e il 1945 hanno sconvolto il mondo.

16 aprile 1945. L’aviazione russa bombarda il campo di prigionia di Francoforte sull’Oder e Oscar e Nino riescono a salire fortunosamente su un treno diretto a Berlino.

Dopo due anni di prigionia, tra le urla, il filo spinato e il terrore di morire nel campo di sterminio, i due si nascondono in uno scantinato della città bombardata e un nuovo terrore li assale: arriveranno prima i Russi o le SS?

Il 25 aprile Oscar viene liberato grazie alle poche parole in russo che aveva imparato nel campo: “Eshto takoya?” “Che cosa sei?” “Italianisk kiprieghi” “Italiano prigioniero sono!” urla al soldato dell’Armata Rossa che gli punta addosso il mitra. Anche lui come noi, con quello strano modo di stravolgere la sintassi e mettere il verbo alla fine della frase, forse perché inconsciamente sappiamo che la cosa che più conta, non è tanto ciò che si fa, ma quello che si è. Non è solo il racconto di una storia, quello che Sara Bevilacqua ha dedicato ai millecinquecento studenti circa che hanno risposto, guidati dai loro insegnanti, all’invito a vivere una Giornata della Memoria sul filo di una storia vera, ma è stata trasmessa un’emozione, un brivido che ha tenuto “incatenati” alle poltrone del Teatro Verdi giovani desiderosi di conoscere, di comprendere che la storia, quella dei libri e dei manuali, è passata anche dalla loro città, ed è ancora viva e palpitante. Non c’era un telefonino acceso, nessuno che controllasse le notifiche dei social networks, nessuna foto: solo silenzio, un silenzio spettrale, amplificato dai cappotti che, nella scenografia dondolavano appesi ciascuno ad una corda, ad evocare gli spettri dei campi di sterminio e rotto, a tratti, dallo stridore delle sirene del lager.

E’ brava Sara a tenere la scena. Non solo. Ma riesce a concepire strategie narrative attraverso le quali “alleggerire” l’angoscia che inevitabilmente prende lo spettatore e gli si attacca allo stomaco quando si trattano temi così drammatici, senza mai banalizzare la forza del messaggio che vuole lanciare alla platea. E infatti, quando con i suoi due compagni d’avventura, Daniele Bove e Daniele Guarini intona “My favourite things” nella versione jazz che, a mio avviso, prendeva spunto dall’interpretazione che ne fece John Coltrane, e poi “The sound of silence”, per finire con “Fischia il vento”, magistralmente eseguita a cappella, ha stemperato la tensione degli animi, anche se solo per la durata dei brani. La “pancia” di Oscar che brontola “pilla fami” e che lo spinge a “mettere la firma”, portandolo prima a Pola, poi a Fiume e infine a Venezia è protagonista insieme con lui. E’ affamato Oscar, per la miseria e per la guerra, ma non cederà al richiamo delle sirene della Repubblica di Salò, esclamando fiero: “Meglio prigioniero che fascista!”. Applauso!

Il raccordo con il passato semplice e felice dell’infanzia e dell’adolescenza, di Brindisi com’era “’na vota” è il filo conduttore della storia: Oscar che scappava dalla Perasso ogni volta che il custode si distraeva, non faceva altro che allenarsi a correre per la vita, per portare a compimento quella fuga rocambolesca che lo avrebbe portato, una volta arrivato a Brindisi, davanti ad una madre attonita, a dire “Ma’ mi n’daggiu scappatu!”. Grazie Sara, per averci reso partecipi di un pezzo della nostra storia ed aver scorto negli occhi di un emozionatissimo Oscar la luce di una gioventù ricca di principi e valori! “La gente deve sapere – ha detto – con voi, la mia storia continuerà a vivere dopo di me”.

Il secondo.

Assemblea d’Istituto, Teatro Impero, mercoledì 29 gennaio, ore 8.30. I rappresentanti si sono dati un gran da fare perché quest’assemblea fosse significativa. Molto più facile affittare e proiettare un film, meglio se non di prima visione perché costa meno. Invece da settimane passavano nelle classi a sollecitare, a insistere, perché studenti e docenti intervenissero con un contributo, un progetto ideato ed elaborato da loro. Sono venuti fuori video, composizioni musicali per chitarra e pianoforte, letture e brani imparati a memoria e recitati “dal vivo”. Le immagini, le musiche, un brivido unico per tutti… Sara e Sara, di 3^ hanno trasmesso un’emozione fortissima: mentre una delle due recitava il monologo di Stewart J. Florsheim, Cioccolata vera che rievoca le violenze alle quali erano sottoposte le deportate nei lager da parte dei soldati nazisti “Vidi enormi stivali neri, paia e paia, e il terreno così fangoso da far sprofondare il mio corpo”, l’altra Sara che studia danza, ha improvvisato una coreografia di forte impatto emotivo, vestita con la casacca a righe dei “jüdische Häftlinge”, i prigionieri ebrei. E poi Primo Levi, “Haftling: ho imparato che io sono uno Haftling. Il mio nome è 174517; siamo stati battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro”, letto con grande partecipazione da Noemi, Annapaola e Salvatore di 5^. “Scarpette rosse” di Joyce Lussu “(…) scarpa numero ventiquattro per l’ eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono. C’è un paio di scarpette rosse a Buckenwald quasi nuove perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole”. Chi ha letto il monologo di Shylock, dal Mercante di Venezia di Shakespeare (“Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo? E se ci fate un torto, non ci vendicheremo?”), chi la struggente “La farfalla” di Pavel Friedman (“Ma qui non ho visto nessuna farfalla. Quella dell’altra volta fu l’ultima:le farfalle non vivono nel ghetto”), chi ha composto video, parole, immagini musica… Commovente la testimonianza di Luca, Presidente della Consulta Provinciale degli Studenti, appena tornato dal viaggio ad Auschwitz col “Treno della Memoria” promosso dal MIUR, che ha condiviso con i compagni le sensazioni e i sentimenti provati durante la visita al Lager, che, all’ingresso reca la scritta “Arbeit Macht Frei”, che suona beffarda alla luce dell’inferno che invece si apriva al di là di quel cancello. Una scuola intera si è fermata per studiare, prepararsi, riflettere su uno dei più feroci genocidi del XX secolo.

Una lezione di storia nella quale tutti si sono impegnati ed immedesimati. Una storia che ci appartiene sempre un po’ di più.

Il mondo esiste solo per il respiro dei bambini che vanno a scuola (Talmud babilonese – Shabbath 119b)

Giusy Gatti Perlangeli