Facebook li coinvolge, Ask li sconvolge: i ragazzi vanno protetti. Dai genitori

di Giusy Gatti Perlangeli

Si faceva chiamare “Amnesia” la ragazzina di Padova che, in una fredda domenica di febbraio, ha deciso di farla finita. In quel nickname forse il desiderio inconscio di dimenticare le frasi violente come pugni nello stomaco e la consapevolezza di non essere capace di ignorarle. E’ salita fino al decimo piano di un hotel abbandonato, con tutto quel peso dentro. “Le parole sono pietre”, diceva Carlo Levi e Amnesia doveva sentirsi lapidata.

La cattiveria scende in piazza, una piazza virtuale, come tante nel web: questa volta è Ask.fm, network che conta più di 60 milioni di utenti nel mondo, giudicato pericoloso al punto che il primo ministro inglese David Cameron aveva chiesto già in agosto di boicottarlo dopo il suicidio di Hannah Smith, 14enne inglese del Leichestershire.

Ask.fm è una chat basata sul concetto di interazione domanda-risposta sempre più diffusa tra gli adolescenti: protetti dall’anonimato possono fare domande indiscrete e ricevere risposte esplicite. Amnesia aveva letto l’ennesimo commento vile dell’anonimo di turno: “Secondo me tu stai bene da sola! Fai schifo come persona” (riporto solo questo, il meno volgare, ma non il meno pesante). Il branco si è scatenato e l’ha attaccata, giorno dopo giorno. Come in un luna-park dell’odio si sono fatti un giro sul suo account, lasciando minacce, inviti all’autolesionismo, trailers di film violenti. E a 14 anni, se sei fragile, se non hai supporto, ti convinci che forse è vero che non vali niente e non meriti di vivere.

“Basta stupido mondo”, ha scritto in un post il 2 febbraio. Prima di salire sul tetto dell’ex albergo ha lasciato una lettera indirizzata alla nonna, che, leggendola si è allarmata ed ha avvertito i genitori. Qualche dettaglio faceva intuire dove poteva essere andata. Sotto choc si sono precipitati a cercarla, e invece hanno trovato le autorità a indagare su quello che ormai era diventato il luogo del suicidio.

Andrea, “il ragazzo dai pantaloni rosa”, si era tolto la vita il 20 novembre del 2012 a Roma: oggi risultano indagati tre professori e la Preside del Liceo Cavour per aver sottovalutato le offese ricevute dal ragazzo e, sotto accusa per averlo istigato al suicidio e per stalking, sono finiti sei minorenni.

Carolina Picchio, 14enne di Novara è un’altra delle vittime di questo fenomeno che un nome ce l’ha. Si chiama cyberbullismo. È il bullismo elettronico della nuova generazione, che attraverso internet e i cellulari si sta diffondendo in misura preoccupante. Su “Twitter” i suoi amici avevano creato l’hashtag #RIPCarolina per ricordarla e perché, come si può leggere sul sito, “è stata uccisa dal bullismo”. Dagli scritti ritrovati nell’abitazione della ragazza emergeva un senso di malessere, di profonda vergogna e frustrazione, causato appunto da un’oppressione, un disagio che seppure risalente nel tempo, si è fatalmente acuito a seguito degli insulti ricevuti sul social network.

Amanda Todds, 15 anni, canadese, si è suicidata il 10 ottobre 2012, a causa di un “troll”, una presenza fastidiosa, un essere che si muove unicamente per dare fastidio alla pax digitale. Prima di morire ha lasciato un agghiacciante video su Youtube in cui denunciava al mondo il suo caso e la sua solitudine. Flora, 17 anni, liceale, nel dicembre dello scorso anno aveva vinto un concorso a premi: i biglietti per assistere al concerto della sua band preferita, gli One Direction, a New York. Da allora i suoi followers sono passati da 200 a 12.500: insulti, minacce di morte, falsità.

Holly Grogan nel 2009 si era gettata da un ponte tornando dalla sua scuola in un piccolo centro vicino Birmingham. Era caduta in depressione da settimane, e il suo non è stato un gesto improvviso: a casa aveva lasciato una lettera di addio ai genitori. Sui suoi quindici anni pesavano come macigni le continue angherie subite nelle reti sociali.

Orange Country, New York. Il 14enne Kameron Jacobsen ha pensato che la sua vita fosse troppo dolorosa e ha deciso di uccidersi, lasciando i suoi compagni della Monroe Woodbury High School spiazzati e devastati. Gli stessi compagni che a scuola e su Facebook gli indirizzavano insulti omofobi.

Kameron è il secondo ragazzo che in poche settimane ha deciso di togliersi la vita nella sua stessa scuola: poco tempo prima un altro studente del primo anno e giocatore nella squadra di football, si era suicidato.

Cyberbullismo è un neologismo, un termine utilizzato per indicare il fenomeno che si verifica quando bambini o adolescenti si avvalgono dell’utilizzo di internet, dei telefoni o di altri tipi di tecnologia per maltrattare e molestare ripetutamente i propri coetanei.

Secondo i dati diffusi nel convegno «Cyberbullismo e rischio devianza», organizzato dal Ministero dell’Istruzione il 27 Dicembre 2012, uno studente italiano su quattro compie o subisce atti di prevaricazione via web: ne è vittima il 26% di ragazzi, mentre il 23,5% si definirebbe cyberbullo. La ricerca condotta su 2.419 adolescenti dall’Osservatorio Open Eyes – di cui fanno parte anche il Miur e il dipartimento di Psicologia dell’Università di Napoli – arriva addirittura a stilare una top-ten delle persecuzioni online. Secondo lo studio, il 78 per cento degli adolescenti che hanno commesso suicidio sono stati vittime di bullismo sia a scuola che on-line, mentre il 17 per cento sono stati esclusivamente vittime di cyberbullismo. E’ chiaro che dietro ai gesti estremi compiuti dagli adolescenti che abbiamo nominato ci sono disagi non totalmente imputabili a questa tipologia di molestie: situazioni familiari “difficili”, senso di solitudine e di impotenza, fragilità caratteriali, mancanza di confronto e di dialogo con le figure genitoriali e con gli adulti in generale.

I conflitti interiori, le difficoltà nel relazionarsi con gli altri, i complicati rapporti con il mondo che li circonda, le aspettative, i sogni… Forse noi adulti ce lo siamo dimenticato, o forse erano altri tempi, ma essere adolescenti è difficile. Si vive in un continuo contrasto con se stessi e con gli “altri”, la famiglia, la scuola, l’autorità in generale. Non è per niente facile alzarsi al mattino e trovarsi cambiati giorno dopo giorno, anime piccole, talvolta infantili, prese in ostaggio da un corpo che si avvia a diventare adulto, una voce diversa, un’espressione nuova nel volto , un’immagine allo specchio che non corrisponde a quella che si ha nella mente…I genitori, a seconda della situazione, li considerano ancora troppo piccoli o già grandi, li responsabilizzano o li lasciano soli in questo passaggio all’età adulta. Col risultato che i ragazzi si confondono, si disorientano, anche se in questo sapere-non sapere finiscono per cercare e spesso, per fortuna, trovare la loro strada.

Cosa fare per farli sentire meno soli, intercettare in tempo il loro eventuale disagio e aiutarli a venirne fuori? Posto che nessun figlio viene al mondo con libretto di istruzioni e garanzia, siamo noi genitori a non doverci stancare mai di parlare con loro, di questi come di altri fatti che caratterizzano la loro età, senza pontificare, senza dare giudizi approssimativi e superficiali.

Non stancarci di interagire con la scuola, con i professori, che, guardando con occhi diversi, possono aiutare la famiglia ad avere una visione più ampia e oggettiva del mondo dei ragazzi. Dialogo sempre, con le parole, con gli occhi, con gli abbracci. E antenne, sempre sintonizzate a cogliere ogni sentore di malessere o sofferenza, non per evitargliela a tutti i costi, perché si cresce anche e soprattutto attraverso “la cognizione del dolore”, ma per far sentire loro che ci siamo, siamo con loro, uniti da un obiettivo comune che è la loro crescita equilibrata ed armonica.

Sono consapevole che talvolta neanche questa vicinanza di mente e di cuore sia sufficiente per tenere i nostri figli al di qua del baratro, ma vigiliamo affinchè la rete, insostituibile strumento di libertà, non finisca per soffocare i nostri ragazzi, fino a toglier loro il respiro.