Ore 7,42. Quella mattina non sapevamo

Ci sono delle date, nella vita di ciascuno di noi, che rimangono impresse nella memoria più di altre. Siamo in grado di ricordare esattamente cosa stavamo facendo nel momento in cui la storia ci è passata accanto.

Sono in grado di ricostruire anche i pensieri che mi passavano per la testa il giorno in cui fu ritrovato il cadavere dell’onorevole Aldo Moro nel portabagagli della Renault rossa in via Caetani. Ricordo ogni attimo dell’attacco alle Twin Towers, lo schianto le grida il fumo: so dov’ero, che stavo facendo.

19 maggio 2012, ore 7,40. Ultimi preparativi prima di uscire di casa. Devo accompagnare mio figlio al Classico e andare a scuola a fare lezione.
Ore 7,41. Siamo per le scale. Ci apprestiamo a salire in macchina
Ore 7,42. Un boato squarcia la sonnolenta mattina di un sabato di fine anno scolastico.
Abbiamo pensato all’esplosione di un’auto…poi ad una bomba presso qualche negozio.
Non c’era il tempo per informarsi…Telefonare? A chi? Dove?
Ci immettiamo nel traffico di Viale Aldo Moro. Già qualche sirena in lontananza. Polizia, Vigili del Fuoco, ambulanza. Non si capisce.
Esco dal viale e “taglio” per via Giuseppe di Vittorio, costeggio il Magistrale.
Intuisco solamente il delirio che si sta impossessando della città e di quelle strade piene di studenti e genitori frettolosi.
Proseguo verso il Morvillo Falcone, con l’intento di sbucare al semaforo di via Galanti e percorrere il breve tratto di fronte al tribunale per poi imboccare via Nardelli…
Un’auto della Polizia è messa di traverso a sbarrare il transito. Sinistri lampi azzurri fanno pensare al peggio.
Polizia, Vigili, ambulanze sono concentrati lì, davanti a quella che è anche la “mia” scuola. E quella è l’ora in cui gli studenti si apprestano ad entrare: sono sorridenti, rassegnati ad affrontare l’ultima sfida della settimana. E’ sabato…tutta una giornata e una vita davanti!
I miei alunni dello Scientifico Tecnologico hanno le loro aule al secondo piano dell’edificio. Ma no…i ragazzi non si toccano. Sarà dell’altro.
Non posso proseguire. Torno indietro e cerco di raggiungere la scuola di mio figlio passando dietro alla Marco Pacuvio. Viale San Giovanni Bosco è bloccato. Proseguo per via Villafranca e riesco a passare.
Arriviamo in via Nardelli. Gli studenti, i genitori, i professori del Classico sono tutti fuori. Si guardano attoniti e disorientati. Sono arrivate le prime notizie.

«Mi chiamo Melissa – che è successo?», e poi si è addormentata.
In quel momento è morta la speranza…nel futuro, negli altri…
In quel preciso istante ci siamo guardati negli occhi con i ragazzi, incapaci di dare risposte al loro muto ”Perché?”
Non sapevamo perché, non sapevamo niente…Le ipotesi rutilanti occuparono le nostre giornate per tutto il periodo seguente.
La nostra scuola, il Majorana, aprì le porte fin dal pomeriggio del sabato, e poi la domenica e i giorni successivi agli studenti e ai colleghi del Morvillo Falcone. Siamo stati una scuola sola. Come dev’essere.
Abbiamo sentito Melissa come figlia, sorella, alunna nostra.

Ricordo esattamente cosa facevo alle 7,42 di quel 19 maggio 2012.
Non scorderò mai gli zainetti per terra, l’odore di morte nell’aria, i quaderni e i libri con i fogli bruciati come il futuro di Melissa.

Poi, arrivarono i palchi e i discorsi…

Giusy Gatti Perlangeli