2 Novembre, ecco perché non sono andata al cimitero

Il 2 novembre, nonostante l’usanza, non sono andata al Cimitero. Non l’ho fatta la “crianza”.
Ci sono stata nella settimana che è finita ieri, più volte.
Non aspetto il 2 novembre.
Ci vado spesso, almeno una volta a settimana.
Lunedì ho spalancato la cappella di famiglia in Vialetto Santa Brigida. Ho fatto cambiare l’aria. Ho tolto la polvere dall’altare, dal crocifisso, dalle foto dei miei cari. Ho preso l’acqua dalla fontana, ho pulito i vetri.
In quella cappella c’è tutto. Ogni generazione ci ha messo del suo.
La nonna fece istallare uno scaffale a moduli e dei cassetti. Passo i vetri con uno straccio umido. Penso che sarebbero stati necessari quei panni bianchi di cotone, unici nel restituire lucentezza al vetro. Penso che forse avrei dovuto portarmeli da casa.
Apro uno dei cassetti. Ci sono immaginette e vetusti messali con il segnalibro di raso blu; una scatola di fiammiferi di legno, quelli che si compravano al tabacchino con la scatoletta rettangolare. Ne sfrego uno sulla striscetta di carta vetrata apposta su uno dei lati: si accende.
Apro un altro cassetto: in una busta trasparente trovo quattro o cinque panni di cotone bianco con l’occhiello per appenderli e in un angolo, ricamata a mano con il cotone blu in una grafia elementare, la scritta “cimitero”.
La nonna l’aveva lasciati là per noi, era sicura che dopo di lei altri avrebbero tenuto vivo quel luogo di morte. Sapeva che non l’avremmo dimenticata, sapeva che ci saremmo andati…prima noi, piccoli, con la mamma, poi, portata lì sua figlia a farle compagnia, noi nipoti, da soli, orfani a vita delle loro carezze e delle loro risate.
“Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna” e loro l’eredità d’affetti l’hanno lasciata e lo dimostra il fatto che settimana dopo settimana siamo lì, andiamo a trovarli come s’incontra un parente vivo, senza troppa tristezza, ma con un vuoto che altri affetti non riescono a consolare. Perché ogni amore ti riempie in diverso modo, ogni perdita ti svuota in diverso modo.
Ho pulito i vetri e sono venuti una meraviglia, perché il cotone di una volta era un’altra cosa. Ho messo a posto l’altare con le tovaglie che la mamma e la nonna avevano cucito a quello scopo, sagomate, con il merletto calante dai lati.
Pulisco quel luogo con la stessa cura che ci metto per casa mia: “A che vale?” pensano alcuni. “Chi ti vede se la tovaglia è storta o se il pavimento non è perfettamente pulito?” Io mi vedo, mi vedo io! E mentre lo faccio, sento la voce di mia madre che dice “Mi raccomando, non trascurare gli angoli!”. Solo che adesso non sbuffo più come facevo allora… Perché adesso capisco quanto ci serve occuparci delle persone che abbiamo amato e continuiamo ad amare!

Sono tornata due giorni dopo per portare i fiori (non crisantemi, no) e accendere i ceri, quelli grossi che durano tanto perché non sopporto di lasciarli al buio. Negli anni si sono riempiti i cassettoni più in alto, poi, man mano, quelli più in basso, non tutti.
La mamma è ad altezza d’uomo, abbiamo scelto una foto non canonica, uno scatto rubato, in cui sorrideva con gli occhi e il viso. Ed è così che vogliamo tenerla nel cuore: sorridente in eterno.

Il 2 novembre no, non sono andata al cimitero. Per me non è una “crianza”. Per me è un bisogno. Vado da mia madre così come vado da mio padre, consapevole del privilegio di averlo ancora con noi.

Il 2 novembre il mio pensiero va a un’altra mamma, viva, ma alla quale hanno strappato il cuore, travolgendolo con un’auto alle tre di notte alla curva della Lega Navale. Spero che Andrea non abbia sofferto. Ma la sua mamma…come farà?

Piango con lei lo strazio per una perdita che non ha nome, un dolore senza fondo, una voragine oscura che né angeli, né cieli azzurri possono consolare.

“Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…”
(Pier Paolo Pasolini, Supplica a mia madre)

Giusy Gatti Perlangeli