Un libro alla settimana: le “Poesie di Alda Merini”

“Potete vivere tre giorni senza pane – diceva Baudelaire – ma senza poesia in nessun caso”.

Questa volta vi propongo un libro d’avventura, un libro di viaggi.
La poesia di Alda Merini è il racconto di un viaggio dentro e fuori la sua testa e la sua anima. E’ un viaggio all’interno di noi stessi.

Ho scoperto Alda Merini non prestissimo, non da studentessa. L’ho scoperta nelle mie peregrinazioni tra libri e riviste (alla fine degli anni Ottanta per me la RETE era solo quella da pesca), nel tentativo di trovare, per i miei studenti, una poesia alternativa, nuova, al femminile, che potesse affiancare quella della tradizione classica.
Mi sono imbattuta in una donna che oggi è riconosciuta da molti come la più grande poetessa italiana del Novecento, resa ancor più grande e più bella (di una bellezza interiore che nessun canone potrà mai misurare, nè giudicare) dall’esperienza della malattia mentale e dall’internamento in manicomio.
Una donna indomita, che ha lottato sempre e che in uno dei momenti più bui della sua esistenza tormentata si è ostinata a scrivere che “Più bella della poesia è stata la mia vita”.

Per lei la poesia ha una funzione salvifica. E’ una roccia alla quale aggrapparsi per non naufragare definitivamente. La sua è poesia d’amore, sempre, anche quando sembra parli d’altro.

“Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia”.
(da “Alla tua salute, amore mio”)

Ella stessa la definisce “vaniloquio d’amore/che altro non è/che la futile lamentazione/dei manicomi spenti”.
La mancanza d’amore soprattutto la ossessiona, indissolubilmente legata all’esperienza del manicomio: una lacerazione profonda che il successo mediatico ed editoriale non riuscirà a guarire.

“Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti”.
(da “La volpe e il sipario”)


Nata a Milano il 21 marzo 1931 (Sono nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle, / aprire le zolle / potesse scatenar tempesta) Alda Merini inizia a comporre poesie all’età di quindici anni.

Nel 1947 incontra quelle che lei stessa definirà le “prime ombre della sua mente”: viene internata per un mese in un ospedale psichiatrico.
Continua a comporre: ha la sensazione che la poesia sia l’unica via di scampo, una porta da attraversare per uscire dal carcere della propria mente.
Sarà il grande Eugenio Montale a insistere affinché, nel 1951, due suoi inediti venissero inseriti nell’antologia “Poetesse del Novecento”.

Conosce Salvatore Quasimodo, per lavoro ed amicizia.
Scrive, pubblica, si sposa con Ettore Carniti, ha una bambina.
Poi di nuovo silenzio e solitudine: viene internata nuovamente in clinica psichiatrica. «Nonostante umiliazioni e privazioni, in manicomio ero felice e ringraziavo Dio».
Follia e lucidità si alternano. Nascono altre tre figlie.

Nel 1979, la Merini torna a scrivere.
In “La Terra Santa” (1984), racconta le sue sconvolgenti esperienze al manicomio.
«La malattia mentale è una malattia fisica, è dolorosa. L’elettrochoc? Tremendo»

Comporre poesie la tiene stretta al mondo, le impedisce di cedere, di lasciarsi andare alla pazzia:
“Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,
il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola
come una trappola da sacrificio,
è quindi venuto il momento di cantare
una esequie al passato”
(da “La Terra Santa”)

La solitudine dopo la morte del marito è insopportabile.
Sposa il poeta tarantino Michele Pierri nel 1983. Alda si trasferisce a Taranto dove rimarrà tre anni. Qui scrive le “La gazza ladra” (1985) e “L’altra verità. Diario di una diversa”, suo primo libro in prosa.
Anche a Taranto sperimenta ancora una volta l’orrore del manicomio: «Sbaglia chi esalta il mito dell’artista maledetto. In quei lager c’era gente disperata».

Torna a Milano nel 1986 dove continuerà la terapia psichiatrica.
Alda Merini è più serena e scrive tantissimo: «Il poeta scrive per guadagnarsi la solitudine; è duro portare la croce della gloria».
Nel 1993 riceve il Premio Librex-Guggenheim “Eugenio Montale” per la Poesia
Nel 1996 le viene assegnato il “Premio Viareggio” per il volume “La vita facile”; l’anno seguente riceve il “Premio Procida-Elsa Morante”.

Nel 2002 l’editore Salani dà alle stampe un piccolo volume dal titolo “Folle, folle, folle d’amore per te”, con un pensiero di Roberto Vecchioni il quale nel 1999 aveva scritto “Canzone per Alda Merini”.
“Io sono folle, folle, folle d’amore per te .
io gemo di tenerezza perchè sono folle, folle, folle
perchè ti ho perduto .
Stamane il mattino era cosi caldo
che a me dettava quasi confusione
ma io era malata di tormento
ero malata di tua perdizione”.

Nel 2003 la casa editrice Einaudi pubblica un cofanetto con videocassetta e testo dal titolo “Più bella della poesia è stata la mia vita”.
Nel febbraio del 2004 Alda Merini viene ricoverata all’Ospedale San Paolo di Milano.
Nello stesso anno esce un disco con undici brani cantati da Milva  tratti dalle sue poesie.
Il suo ultimo lavoro, “La nera novella” del 2006 verrà pubblicato da Rizzoli.

Alda Merini muore a Milano il 1 novembre 2009 nel reparto di oncologia dell’ospedale San Paolo.
Le sue figlie hanno dato vita al sito internet www.aldamerini.it, un’antologia in ricordo dell'”ape furibonda”, dedicato alla sua figura di poetessa, donna e madre.

Quella di Alda Merini è una poesia che lascia il segno, alla quale non si può restare indifferenti e contiene un importante messaggio che le giovani generazioni devono custodire e divulgare.

“A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruivi tombe,
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.”
/da “La vita facile”)

Vi invito a leggere le poesie di Alda Merini, senza un’indicazione precisa. Qualsiasi sia la raccolta, la poetessa si apre al lettore, mette a nudo la sua anima e lo spinge ad indagare nella propria.

Concludo con un mio “Pensiero per Alda”, scritto di getto alla notizia della sua morte.

“Sei andata via leggera
come per un’ultima passeggiata lungo i Navigli… 
con l’eterna sigaretta tra le mani 
metafora di una vita
che ti presenta il conto
per ogni piacere che ti lascia assaporare 

Magnifica Alda 
voce degli ultimi, 
prima tra gli dèi del Parnaso 

Tra arte e follia 
la tua vita si è attorcigliata 
lungo i fili di una macchina per l’elettroshock

Non hai cercato mai la sofferenza 
mai ti sei crogiolata nel vittimismo 
fiera e coraggiosa della tua dignità di donna
che crede che l’uomo,
ogni uomo, 
sia nato per la felicità. 
E ti eri data un compito.
La poesia”.

Giusy Gatti Perlangeli