Un libro alla settimana: “Caffè amaro” di Simonetta Agnello Hornby

Entra nel Giardino dell’ex Convento Santa Chiara senza enfasi e senza annunci. 

Il pubblico (numeroso, molta gente è rimasta in piedi) non trattiene l’applauso.
Lei, ai piedi del palco, si gira, ringrazia con un cortese cenno della testa, ma sembra che qualcosa non vada.
Il palco è allestito per la presentazione di “Caffé amaro” (Feltrinelli), il suo ultimo romanzo, ma a Simonetta Agnello Hornby le due poltrone non servono.
Chiede che vengano messe a disposizione del pubblico.

“Gli avvocati parlano stando in piedi”, dice “Così vedo meglio i volti delle persone”. Si vuole accertare del nostro livello di partecipazione. Se vede che ci annoiamo smette di parlare.

Una donna minuta, i capelli brizzolati, di un’eleganza semplice che parla di lei, del suo modo di essere e dei suoi viaggi in India. Ma sul palco giganteggia, sfoderando la sua straordinaria capacità affabulatoria. Salvatore Vetrugno, giornalista e curatore della prestigiosa rassegna “Il Segnalibro” – Punto di lettura (organizzata da La Feltrinelli point con il patrocinio del Comune di Brindisi)le rivolge la prima domanda sul tema centrale del romanzo: l’amore e le sue declinazioni.
Lei decide che si deve cominciare dal caffè: “Maria lo piglia amaro”.

Il pubblico è già conquistato. Si sente come il destinatario di una confidenza. Simonetta racconta gli spunti della sua vita che hanno generato personaggi ed episodi che i lettori troveranno nel romanzo.
“Mia nonna si chiamava Maria. Non l’ho mai conosciuta. Da lei ho preso l’abitudine al caffè amaro”. E poi aggiunge i dettagli: “Nonna Maria era andata sposa a nonno Gaspare a 16 anni. La prima volta che incontrò le cognate le offrirono il caffè, ma persero tempo a recuperare lo zucchero. Lei disse “Va bene così”. Il giorno dopo il tam tam tra le sorelle fu “Maria lo prende amaro”. Il caffè è una questione di famiglia . racconta Simonetta – In Sicilia il caffè lo dà la mamma, fa leccare il cucchiaino vuoto ai bambini”.
Tre generazioni di caffè amaro.

Sento ancora nelle orecchie il suono della sua marcata cadenza siciliana, nonostante viva a Londra dal 1972 dove si è sposata, ha fatto l’avvocato dei minori e, per otto anni, ha ricoperto la carica di presidente part time dello Special Educational Needs and Disability Tribunal. 

Ma torniamo al romanzo,
Attorno al personaggio di Maria Marra ruota tutta la narrazione.
A quindici anni Maria accetta un matrimonio combinato con Pietro Sala, viveur di stampo dannunziano che ha il doppio dei suoi anni e ha avuto un “colpo di fulmine” per lei. «Sposando Pietro, avrebbe dato al padre i mezzi per eseguire le volontà del suo migliore amico e anche per mandare Filippo a studiare Ingegneria all’Università di Catania. La divina provvidenza» (p. 64).
Fa un patto matrimoniale: vuole un pianoforte, curare l’educazione dei figli, comprare libri e riviste. Diventa maestra ma non può esercitare.

Non tarda ad accorgersi, infatti, che non è quella la vita che avrebbe voluto: «Maria si sentiva prigioniera. Non aveva ottenuto quello che desiderava: studiare musica, lavorare, guadagnarsi il pane quotidiano. E l’amore vero e a viso aperto, dichiarato al mondo, non quello negato e nascosto a cui era costretta»  (p. 250).
L’intelligenza di Maria sta nel trasformare la propria condizione, nell’occasione per imparare crescere.
Subisce i tradimenti del marito ricco, ma gradualmente guadagna la propria autonomia, sentendosi libera di amare un altro quando si rende conto di non essere considerata dal fedifrago di un livello superiore alle sue numerose amanti.

Nelle dinamiche conflittuali dei rapporti tra la sua famiglia d’origine e quella acquisita, Maria impara il mestiere di vivere, cercando sempre di «fare la cosa giusta», regola aurea insegnatale di genitori (e da Maricchia, una valdese ospite di casa Marra che le fa da seconda madre) che guida tutte le sue azioni.

Quella di Maria è un’”obbedienza in piedi”: «Maria obbedisce e si sacrifica, ma si sacrifica sempre sapendo che lei vale. Chi si sacrifica ma sa di essere indipendente, e di poter non obbedire, e poi obbedisce tutta la vita, ha una sua dignità», chiarisce l’autrice. Da tutti impara qualcosa con l’avidità di chi vuole migliorare. E’ acuta e capace di autonomia di giudizio. È più dotata intellettualmente dei fratelli, ma non esita a sacrificarsi per loro.

Due esperienze la segnano profondamente.
Il primo: la discesa nell’inferno della miniera Ciatta («Sulle rotaie, scendeva lentamente negli inferi», p. 205), dove scopre un’umanità abbrutita dalla miseria (esperienza autobiografica dell’autrice stessa “Ricordo la vista alla miniera all’età di 5 anni: carrelli nel buio infernale. I “carusi” e i minatori ricoperti di nero. Brutto il passato delle miniere in Sicilia”).
Il secondo: la “rinascita” durante il lavacro nei bagni ebraici di Casa Professa: un rito di iniziazione e di purificazione «Sentiva di “essere nel giusto”, anche se non capiva bene cosa dovesse fare per rimanervi. Era protetta, guidata dall’alto, Non era stato il caso [….] Quando aveva tirato su la testa grondante si era sentita nuova nuova, come un neonato. Pulita. Purificata. Per il suo sposo»» (p. 303).

“E’ un romanzo di formazione – dice la Hornby – in cui tutti sentono di essere profondamente nel giusto”.

La storia parte dall’ultimo decennio dell’Ottocento, con frequenti flashback sulla situazione dell’Italia dopo l’unità, fino al 1948, tra Camagni (luogo inventato), Girgenti e Palermo, con puntate in Italia, durante il viaggio di nozze e i successivi viaggi della protagonista, soprattutto a Roma.

E’ il primo romanzo storico di Simonetta Agnallo Hornby che ha ricostruito con puntualità e rigore scientifico la Sicilia, ferita dal tradimento del sogno garibaldino del riscatto, dalle contraddizioni dell’unità nazionale imposta dal Piemonte, dai moti di ribellione contadini repressi con la violenza, dalla soffocante presenza della mafia. Ma vi trovano posto anche temi come l’emigrazione, il colonialismo, le leggi razziali tra le due guerre mondiali e il fascismo. A Maria, che guarda ben oltre le apparenze della propaganda di regime, «quell’uomo ridicolo e dall’aspetto sgradevole che si trasformava in un Messia quando parlava alla nazione per radio o dal balcone di piazza Venezia» (p. 250), non piace fin da subito.
Violenza, sopruso, corruzione: il passato che dialoga col presente.

La scrittrice si lascia prendere dai personaggi che crea. Li fa nascere e quelli prendono vita e ne fanno ciò che vogliono, guidando la storia e catturando il lettore con la loro complessità.

Nella Storia con la lettera maiuscola s’inserisce la storia dei protagonisti del romanzo: si sente il profumo della macchia mediterranea, del gelsomino, delle zagare e dello zolfo, dei biscotti all’anice e dei dolci dei Morti: una Sicilia bellissima e terribile che affascina il lettore e lo avvolge con la sua malìa.

La sicilianità della scrittura è una caratteristica intrinseca ed immediatamente evidente nel romanzo: “Io sono fiera di essere siciliana. Dovremmo esserlo tutti”. Simonetta Agnello Hornby s’inserisce appieno nel solco della migliore tradizione letteraria siciliana che va da Verga a Pirandello, da Tomasi di Lampedusa a Sciascia e a Vittorini. Il grande Andrea Camilleri ha detto del romanzo: “L’energia vitale di Simonetta Agnello Hornby è un tutt’uno con l’energia trascinante della sua scrittura”.

Il pubblico è incantato da questa donna forte, volitiva e con un senso dell’umorismo fuori dal comune.
La fila per gli autografi è lunghissima. Ha una parola per tutti; per i più fortunati scampoli di altri piccoli racconti familiari (“Mamma diceva che bisogna conservare i bottoni anche dei vestiti che si buttano via…”).

Siamo tornati a casa col retrogusto di un “caffè amaro” che abbiamo imparato ad apprezzare e a cui non rinunceremo più.

Caffè amaro
Simonetta Agnello Hornby
Ed.Feltrinelli
Collana I Narratori
Pagine 352
Prezzo Euro 18,00

Giusy Gatti Perlangeli