Ai giovani servono esempi: il caso Greta Thunberg

Quando si etichettano i ragazzi come indifferenti ai grandi temi che attanagliano questi nostri tempi difficili, quando li si definisce “esercito del selfie”, aspiranti influencer con obiettivi prevalentemente materiali, lo si fa perché non si prova ad andare a fondo, a conoscerli veramente, a sentire chi sono e cosa vogliono.
In questi ultimi giorni la Z Generation ha dimostrato di saper credere e lottare unita, in nome di ideali che volano alti sui piccoli obiettivi della quotidianità. Oggi i ragazzi vivono in una prospettiva internazionale rispetto ai loro genitori e sono immersi nel flusso continuo della rete che, a seconda di come si rapportano ad essa, li soffoca oppure apre i loro orizzonti verso istanze più ampie e globali. Questa volta hanno trovato un punto di riferimento (no, non la Ferragni con marito rapper, villa a L.A. e acqua griffata): è Greta Thunberg il loro simbolo. 16 anni compiuti a gennaio, svedese, affetta dalla sindrome di Asperger, Greta ha saltato la scuola tutti i venerdì mattina dall’agosto 2018 (il mese più caldo nella storia della Svezia), per protestare contro i cambiamenti climatici. Ogni venerdì mattina, Greta si è recata di fronte al Riksdag, il parlamento svedese con un cartello in mano: “Skolstrejk för klimatet”, sciopero scolastico per il clima.
Dopo le elezioni di settembre, Greta non si è fermata: ha coniato lo slogan #fridayforfuture e la sua protesta è diventata virale. “Serve un nuovo modo di pensare – sostiene – noi ragazzi possiamo fare la differenza”.

Il 15 marzo scorso il movimento #StrikeForClimate o #FridaysForFuture ha coinvolto più di 1,4 milioni di persone, 2.083 piazze in 125 Paesi in tutti i continenti.
Gli studenti si sono mobilitati con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di fermare i cambiamenti climatici per salvare il Pianeta.
Non sono mancate le critiche (“meglio che studino” ha sentenziato qualcuno, “bambini climaticamente corretti”, strumentalizzati dagli adulti, li hanno definiti altri), ma il loro desiderio di cercare una voce comune e condividere i propri ideali è davvero un buon segno. C’è chi li ha accusati di “ sbagliare bersaglio” imputando alle multinazionali e ai paesi sviluppati le responsabilità maggiori: certo, la questione dei cambiamenti climatici rappresenta una sfida difficile e complessa. I ragazzi che venerdì hanno contestato, per ora hanno solo chiesto ai governi attenzione verso il problema. Troppo poco? Forse, ma è pur sempre un primo passo, e nella giusta direzione.

Questa generazione è multitasking, in grado di fare tutto: studiare e protestare restando libera. E non ha sbagliato bersaglio: le multinazionali e i paesi industrializzati hanno pesanti responsabilità da molto tempo anche delle emissioni elevatissime di CO2. I ragazzi s’informano: se si sollecita in loro la riflessione critica sulle grandi questioni, sono capaci di andare a fondo. Non sono per nulla superficiali, né approssimativi. Sono interessati al passato, perché dà loro la chiave per decodificare il presente, e progettano il loro futuro in un mondo sano, pulito e accogliente. Studiano e lavorano per questo; danno il loro contributo, sono consapevoli che ciascuno possa essere determinante e fare la differenza. Come Greta.
“Non voglio la vostra speranza, voglio che entriate nel panico – ha detto ai leader riuniti nel Forum Economico Mondiale di Davos – Tutti devono sentire la paura che io provo tutti i giorni. La nostra casa brucia. Sull’ambiente abbiamo fallito. Ma non è troppo tardi per agire”

E ha difeso gli studenti in marcia per il clima da chi li ha criticati: “Se nemmeno gli scienziati, i politici, i media e le Nazioni Unite parlano di cosa esattamente si deve fare per “risolvere” la crisi climatica (in altre parole, abbattere drasticamente e nell’immediato le nostre emissioni), come potremmo saperlo noi? Come potete lasciare a noi questo fardello? (…) Quindi, per favore smettetela di chiedere ai vostri figli le risposte  al casino che avete combinato”.

Noi adulti dovremmo mettere da parte la saccenza sterile che spesso ci contraddistingue e non limitarci a considerare noi e i ragazzi come i protagonisti di un ciclico scontro generazionale. Potremmo da un lato, aiutarli a dare concretezza alle loro proposte da indirizzare ai governi e dall’altro riflettere con i nostri coetanei che i temi della sicurezza, dei flussi migratori e del terrorismo che tanto ci preoccupano, non sono poi così slegati da quelli dei cambiamenti climatici che stanno rendendo inospitali ampie zone dei Paesi in via di sviluppo.

E se proprio non riusciamo a farci contagiare dal loro entusiasmo, dal sorriso con cui vanno incontro al mondo, almeno lasciamoli fare e non giudichiamo con supponenza il loro desiderio di imbarcarsi in una sfida che riteniamo impossibile. Se non possiamo andar loro incontro, facciamo un passo indietro: “Chi dice che una cosa è impossibile – sosteneva Albert Einstein – non dovrebbe disturbare chi la sta facendo”.