di Giusy Gatti Perlangeli
Siamo a Roma nel febbraio del 1955.
Italo Calvino ha 32 anni. Da dieci collabora con la Casa Editrice Einaudi con cui ha già pubblicato Il sentiero dei nidi di ragno (1947), Ultimo viene il corvo (1949), Il visconte dimezzato (1952) ed è protagonista indiscusso della vita culturale del secondo dopoguerra.
La contessa Elsa De Giorgi (classe 1914), ha poco più di quarant’anni.
La sua è ‹‹una bellezza da madonna rinascimentale, bionda, grandi occhi azzurri, nasetto dritto, viso di un ovale classico›› (Masolino D’Amico): all’epoca dei “telefoni bianchi” era stata un’attrice molto amata. Discendente da una antica famiglia umbra, i Giorgi Alberti nobili di Bevagna e Camerino, patrizi di Spoleto, si era trasferita a Roma poco prima dei diciotto anni, quando, nel 1933 il regista Mario Camerini l’aveva scelta per il suo film T’amerò sempre.
In dieci anni (tanto durò la sua carriera cinematografica) aveva recitato in oltre trenta pellicole (Il fornaretto di Venezia, Capitan Fracassa, La maschera di Cesare Borgia). Poi aveva abbandonato il cinema per dedicarsi alla scrittura, alla scenografia e al teatro, dove viene diretta, fra gli altri, da Luchino Visconti e Orazio Costa, e recita al fianco di Renzo Ricci, Memo Benassi e Tino Carraro.
Gradualmente le sue apparizioni si fanno sporadiche, ad eccezione di una parte importante con Strehler nei Giacobini di Zardi (1957), e di “un ultimo inquietante cammeo” in Salò o le 120 giornate di Sodoma (1977), di Pier Paolo Pasolini.
Elsa è una donna passionale e coraggiosa: durante il Ventennio aveva assunto posizioni nettamente antifasciste che l’avrebbero portata poi a sostenere in modo attivo la Resistenza romana.
Animatrice di un ambito e frequentatissimo salotto romano, Elsa ama circondarsi delle menti più prolifiche del Novecento: ‹‹Scelsi senza esitazione l’amicizia offertami da gente come Trilussa, Savinio, Cecchi, Palazzeschi, Sibilla Aleramo, Lina Pietravalle, la Magnani allora ancora non rivelata. (…) – racconta – l’attrazione verso gli spiriti geniali era istintiva. Il primo lusso cui mi abbandonai, indipendente e padrona di casa, fu l’ospitalità, il piacere di accoglierli, accostarli tra loro. Già allora avevo il gusto di riunire la gente nel più assoluto disinteresse››.
Quando incontra per la prima volta Italo Calvino è il 1955, dicevamo. In alcuni quaderni l’attrice-letterata aveva raccolto i ritratti dei protagonisti dell’antifascismo e della Resistenza romana ed Einaudi aveva deciso di pubblicare quegli appunti.
Per la prefazione viene scelto Gaetano Salvemini; Carlo Levi disegna la copertina, ma il libro ha bisogno di editing e Giulio Einaudi affida questo compito ad uno dei suoi migliori redattori: Italo Calvino appunto. Il libro verrà pubblicato con il titolo I coetanei e quello stesso anno vincerà il Premio Viareggio.
Elsa è una donna bellissima e di grande fascino, con tutti i requisiti e gli atteggiamenti della diva: grande temperamento, passioni, litigi, amori. Il suo fascino ha un effetto fortissimo sul giovane scrittore: scocca il colpo di fulmine.
Da quel giorno, ogni giorno per tre anni, Calvino le scrive più di quattrocento lettere: un carteggio che, per l’intensità della passione che esprime, venne definito da Maria Corti ‹‹l’epistolario più bello del Novecento››.
Elsa però è sposata con il conte fiorentino Alessandro Contini Bonacossi (Sandrino), rampollo di una delle famiglie più in vista della capitale ed erede di una favolosa collezione di dipinti antichi.
In quei giorni, tuttavia, si verifica un fatto davvero misterioso. È il redattore della rubrica “Confidenze italiane” del settimanale L’Espresso, Mino Guerrini (che firmava i suoi pezzi con lo pseudonimo di “Minimo”), a riferire la circostanza: ‹‹Elsa era molto bella quella sera, con un vestitino ampiamente scollato, e Sandrino appariva un po’ eccitato, più innamorato del solito››. Si riferisce alla festa per il loro settimo anniversario di matrimonio. ‹‹La mattina dopo si svegliò presto e disse alla moglie: “Faccio una scappata a Firenze. Tornerò nel pomeriggio.” Invece non tornò né il pomeriggio né il giorno seguente››.
La scomparsa di Sandrino Contini apre un’altra vicenda ancora oggi poco chiara intorno alla collezione d’arte della famiglia Bonacossi, ricca di più di mille capolavori firmati Tiziano, Cimabue, El Greco, Goya, Ghirlandaio, Murillo.
In realtà il conte riappare solo un anno dopo per chiedere il divorzio da Elsa. Lei rifiuta, aprendo un violento e lungo scontro per l’eredità Bonacossi. Poi scompare definitivamente.
Nel 1975 sarebbe stato ritrovato morto nel suo residence di Washington, impiccato con due corde ad un tenda che non avrebbe mai potuto reggere il suo peso, sollecitando ben altre congetture.
Ma torniamo a Calvino.
‹‹La De Giorgi aveva un senso artistico della realtà, un potere fantasioso che riversava nel suo parlare metaforico – dichiarò Maria Corti che aveva letto il carteggio appassionato tra i due – Era difficile che Calvino, conosciutala, non si innamorasse di lei››.
Tra le righe delle lettere viene fuori un Calvino inedito, inaspettato, privato, completamente diverso dall’immagine stereotipata di uomo schivo e timido, intellettuale moralista ed etichettato dai critici come “freddo” (lui, che era nato a Cuba!).
È tenero e appassionato quando scrive: ‹‹ È terribile come la guerra, la felicità che mi dai. E la cosa più esaltante di quel che provo fra le tue braccia è quando penso che chi ti abbraccia non è che sia un altro, sono io››.
È innamorato pazzo di Elsa: la chiama “Paloma”, “Raggio di Sole”. Nelle lettere si spinge fino alla sensualità e all’erotismo.
La loro relazione, nonostante i due cercassero di tenerla nascosta, fu chiacchieratissima nell’ambiente letterario e i giornali scandalistici ne parlarono, sebbene il gossip non fosse ancora un genere vero e proprio. Fu ancora Mino Guerrini de L’Espresso a insinuare che la dedica delle Fiabe Italiane di Calvino, “R.d.s.”, ovvero Raggio di sole, non fosse altro che l’anagramma imperfetto di Elsa De Giorgi. Il giornalista riuscì ad innescare il meccanismo del pettegolezzo, dato il ‹‹morboso desiderio della gente di conoscere ciò che dei personaggi più in vista non si vede››.
Per evitare illazioni e dicerie, in Ho visto partire il tuo treno (pubblicato nel 1992 da Feltrinelli) sarà la stessa Elsa De Giorgi a raccontare la biografia di quell’amore. La diva torna indietro con la memoria al fine di recuperare ‹‹(…) un tempo non perduto, ma vissuto in una storia che non è soltanto d’amore. Una storia che dovevo consegnare alla memoria di altri prima che una mano ignara e presuntuosa ne profanasse la verità››.
E non a caso sceglie di intitolare il libro prendendo la prima riga di una delle lettere di Calvino:
«Ho visto partire il tuo treno, tu al finestrino, t’ho salutata, non visto, dal finestrino del mio treno, bellissima… Il treno che mi sta trascinando su per l’Italia e quello che ti porterà verso il Sud mi paiono un’immagine di feroce violenza, come due cavalli frustati in direzioni opposte, che dilaniano un unico corpo».
È un amore complicato e furioso, fatto di incontri rubati, viaggi proibiti tra Roma e Torino, appuntamenti sui vari treni proprio come nei film o nei romanzi d’appendice, sullo sfondo di un momento storico estremamente delicato in cui la figura e l’opera del grande Calvino emergono in tutta la loro forza espressiva.
«Al termine di un viaggio per raggiungere l’amante – scriverà ne Gli amori difficili – un uomo capisce che la vera notte d’amore è quella che ha passato in uno scomodo scompartimento di seconda classe correndo verso di lei».
«Fu in quel momento, torturato dall’amore, che Calvino cominciò a sognare una vita sugli alberi» scrive Elsa, lasciando intuire di essere stata lei a ispirare a Calvino la fabula de Il barone rampante e le Fiabe. Anche dietro la Bradamante de Il cavaliere inesistente c’è lei.
«Se mi mancasse il tuo amore – le scrive Calvino – tutta la mia vita mi si sgomitolerebbe addosso».
Esigente e geloso della sua bellissima e corteggiata amante, prorompe: «Ho più che mai bisogno di stare fra le tue braccia. E questo tuo ghiribizzo di civettare che ora ti ripiglia, lo giudico un’intrusione di un motivo psicologico completamente estraneo all’ atmosfera che deve regnare fra noi».
«Cara, amore, ho sempre un’apprensione quando apro una tua lettera e uno slancio enorme di gratitudine e amore leggendo le tue parole d’amore. (…) quando parli con me di me ti sto a sentire a bocca aperta, abbacinato un insieme d’ammirazione per l’intelligenza, o incontenibile narcisismo, e di gratitudine amorosa (…)».
Calvino è un uomo pazzamente innamorato, più che mai distante dal cliché riprodotto nelle antologie scolastiche: «Gioia cara, vorrei una stagione in cui non ci fossi per me che tu e carta bianca e voglia di scrivere cose limpide e felici. Una stagione e non la vita? Ora basta, perché ho cominciato così questa lettera, io voglio scrivere del nostro amore, voglio amarti scrivendo, prenderti scrivendo, non altro. È forse anche qui la paura di soffrire che prende il sopravvento? Cara, cara, mi conosci troppo, ma no, troppo poco, devo ancora farmi conoscere da te, devo ancora scoprirmi a te, stupirti, ho bisogno di farmi ammirare da te come io continuamente ti ammiro».
E ancora: «Siamo davvero drogati: non posso vivere fuori dal cerchio magico del nostro amore».
Poi, improvvisamente, nel 1958, la storia s’interrompe.
«Calvino – scrive Elsa – persa la fede in un nostro futuro amoroso, scoraggiato dalla mia accanita difesa di Sandrino, si mise a ripeterne i gesti. Scomparve».
Da quando Sandrino aveva fatto perdere le sue tracce, infatti, Elsa aveva impegnato le sue energie per scoprire il mistero della fuga del marito e per evitare che la collezione andasse dispersa e venduta all’estero dai coeredi, come invece accadde.
È troppo per Calvino che ben presto rinuncia a questa sfida. «Stare accanto a una donna – aveva confidato a Guido Piovene – occupando provvisoriamente il posto di un altro, è vivere su un trapezio senza rete».
Della passione bruciante che li aveva uniti dal ’55 al ‘58 restano le lettere. Essere scrittori, padroneggiare lo “strumento” consente all’amore di non morire neanche quando il sentimento finisce.
Nell’epistolario, conservato nel Fondo Manoscritti di Pavia dal 1994, alcune lettere furono rese note nel ’90 dalla stessa De Giorgi. Lei voleva dimostrare quanto profondamente la loro storia d’amore avesse inciso sul percorso intellettuale e artistico dell’autore.
La “lettura” che del complesso dell’opera letteraria di Italo Calvino fece Maria Corti nel suo volume incompiuto e pubblicato postumo I vuoti del tempo va proprio in questa direzione. La studiosa, considerata «uno dei critici letterari più importanti del secondo Novecento italiano», a cui Elsa De Giorgi aveva affidato le quattrocento lettere d’amore di Calvino, ammette che quell’epistolario le ha consentito di «mettere a fuoco le strategie dello stile» dello scrittore.
Quell’amore, dunque, aveva cambiato la vita e la concezione della letteratura di Calvino. E le epistole rappresentano quella “letteratura nascosta” che, pur apparendo dissonante rispetto all’immagine che si ha dello scrittore, tuttavia, forniscono un contributo prezioso che porta a far luce sul suo complessivo modo di essere e di scrivere.
In un’intervista pubblicata su Il Giorno del 28 gennaio 1995, è la stessa De Giorgi a confermarlo: «Direi che inedite sono soprattutto le idee che Calvino mi espone. Ci sono rivelazioni sui suoi rapporti burrascosi con il Partito comunista, ai tempi dei fatti d’Ungheria, c’è Calvino che parla di Thomas Mann, Calvino che mi racconta il suo incontro con Lukacs».
Ed è Calvino stesso a riconoscere che proprio attraverso la relazione amorosa con Elsa si era compiuta la sua educazione sentimentale: «Da anni – ammetterà – mi consolidavo in una polemica antivitalistica (…). E adesso, da quando sono preso da questo amore che mi scatena come una forza di natura, sono più che mai partecipe di ogni manifestazione che punti su un sapore di vita (…) di frenesia, di passione».
L’‹‹epistolario più bello del Novecento››, testimonianza di una passione fortissima e di una relazione intellettuale prolifica, non è ancora venuto alla luce, custodito com’è in un inaccessibile cofanetto a Pavia.
Il 6 settembre 1985, nella sua villa nella pineta toscana di Roccamare, presso Castiglione della Pescaia, dove trascorreva le vacanze, Calvino viene colpito da un ictus. Morirà il 19 settembre un mese prima di compiere 62 anni per emorragia cerebrale.
Elsa De Giorgi si spegnerà al Policlinico di Roma il 12 settembre del 1997 per le complicazioni di una malattia sopraggiunta dopo un viaggio a Milano dove si era recata per ascoltare un concerto diretto da Riccardo Muti.
Sarebbero bastati 25 anni dalla morte di Calvino perché il carteggio potesse essere pubblicato: ne sono trascorsi 32 e il veto di Esther Judith Singer, sua moglie dal 1962, ancora permane.
Alla morte dello scrittore Elsa De Giorgi aveva detto “Gli intellettuali muoiono soltanto quando decidono di morire“.
Calvino è sui banchi, negli zaini, sui comodini, negli scaffali delle librerie e in quelli delle biblioteche. L’autore della Trilogia, di Marcovaldo, de Le cosmicomiche e Se una notte d’inverno un viaggiatore, attraverso lo spiraglio delle poche lettere giunte sino a noi appare ancora più vicino a chi lo ama da sempre e al cuore dei giovani verso i quali si apre come un’epifania.
‹‹Chi ama vuole solo l’amore, anche a costo del dolore»
‹‹Mi fai soffrire apposta, allora»
‹‹Sì, per vedere se mi ami»
(Il Barone rampante).