Scrivere in corsivo nell’era digitale

Lo ammetto: non conosco bene i meccanismi attraverso i quali i bambini di oggi imparano a scrivere. In corsivo intendo. Non so come, generazione dopo generazione, il miracolo della scrittura si compia. Né come la modalità più naturale per dare una forma ai nostri pensieri (“carta e penna”) debba oggi cercare una giustificazione per continuare ad esistere e a resistere tra i click più o meno sonori della tastiera di un pc o di un telefono.
Una cosa la so per certo: i ragazzi arrivano alle superiori con l’idea che la scrittura in corsivo sia cosa per ragazzini e che il loro pensiero, dal momento in cui varcano la soglia di un liceo, si concretizzerà quasi esclusivamente attraverso lo schermo di un tablet.
Quando li si sottopone alle prime prove (d’ingresso o di verifica a seconda del periodo) ci si trova di fronte a strani ghirigori, tutti aggrovigliati, criptici che nemmeno Alan Turing sarebbe riuscito a decifrare! E allora noi docenti che ci troviamo di fronte a questa specie di Stele di Rosetta, procediamo piuttosto per intuito che per cognizione, ci sforziamo a decodificare un pensiero, che senza il solido supporto della scrittura a mano, diventa sempre meno profondo, più superficiale e labile, avendo derogato quasi del tutto al suo intento comunicativo.
“Tu, ragazzo che ti confondi in mezzo ai tuoi compagni, tu con i capelli ricci e la felpa blu, adolescente in una classe di adolescenti…come posso conoscerti e creare intorno a te un processo educativo virtuoso, come posso continuare a comunicare con te se, dopo aver interagito in classe, porto con me il tuo compito e non capisco quello che scrivi?” Come si può privare la scrittura del suo scopo comunicativo e rassegnarsi ad un destino di disgrafia che non è l’effetto di un disturbo specifico, né di un’alterazione genetica, ma semplicemente della totale mancanza di un training finalizzato all’acquisizione della motricità fine?
La scuola è cambiata e deve evolversi ancora: su questo siamo tutti d’accordo. Non si può fare archeologia pedagogica, mentre il mondo là fuori accelera. L’abbiamo rinnovata la scuola e ogni giorno noi, docenti appassionati, contribuiamo al suo miglioramento, ma non possiamo cedere completamente alla tecnologia la prassi didattica della quale ancora (e non si sa fino a quando) siamo i detentori e i custodi.
Il mondo scientifico ha studiato il fenomeno e ha scoperto come, alle diverse modalità di scrittura, siano associati schemi cerebrali differenti e separati che producono risultati diversi. La psicologa e ricercatrice dell’università di Washington, Virginia Berninger, ha condotto uno studio interessante, confrontando la scrittura in stampatello, in corsivo e su tastiera di un gruppo di bambini della Scuola Primaria (…) Si sono notate significative differenze tra chi ha utilizzato il carattere corsivo rispetto a coloro che hanno utilizzato lo stampatello. Nei primi bambini si è rivelata una maggiore attivazione delle aree cerebrali associate alla memoria di lavoro con un aumento dell’attivazione delle reti di lettura e scrittura. “I bambini che scrivono a mano libera producono più parole e più rapidamente di quanto facciano coloro che scrivono su una tastiera; inoltre, rispetto a questi ultimi, mostrano una maggiore ricchezza di idee”».
il presidente onorario dell’Accademia della Crusca Francesco Sabatini (che la scorsa settimana è stato a Brindisi per incontrare studenti e insegnanti) ha confermato che «gli studi più recenti, di psicoterapeuti e neurologi, segnalano che la deriva verso la scrittura su tastiera o verso forme semplificate di scrittura manuale (lo stampatello, rispetto al corsivo) riduce gli stimoli di produttività ideativa e linguistica e rallenta la comprensione nella lettura. (…) Insomma, la recente e dilagante tendenza a preferire precocemente la tastiera e a non curare le forme della grafia personale ci fa perdere una parte notevole degli effetti che l’antichissima pratica tattile-cognitiva della mano e delle dita – in mille altre attività prima della scrittura vera e propria e per secoli accanto a questa – ha prodotto filogeneticamente sviluppando funzioni pregiate del cervello!». E ancora: « In una ricerca a lunga verifica temporale, la dott.ssa Laura Dineheart, ricercatrice alla Florida International University, ha accertato che i bambini che avevano imparato a scrivere manualmente nei primi anni di scuola raggiungevano migliori risultati negli studi alle superiori, rispetto ad altri che avevano dato priorità all’uso della scrittura con tastiera».
I miei studenti del Liceo Internazionale Quadriennale utilizzano moltissimo il tablet: tutti nella mia scuola ne siamo dotati e lo riteniamo un indispensabile strumento della quotidiana pratica didattica. Insegno letteratura e storia e cerco di fondere l’istanza irrinunciabile dell’innovazione e dei nuovi linguaggi con il patrimonio storico e letterario che fino a noi arriva da quella tradizione culturale che ci ha distinti nel mondo. Quindi carta-e-penna, ordine sul foglio-ordine mentale, chiarezza grafica-nitore cognitivo. Compiti in classe su foglio protocollo d’ordinanza, ma spazio a tutto ciò a cui possiamo attingere con la strumentazione tecnologica che la scuola ci mette a disposizione. Non è facile, ma ci proviamo.
Quest’anno, nella mia seconda, ho fatto un esperimento che sta diventando un percorso: ho fatto portare a ciascuno studente un taccuino (grande, piccolo, colorato…) di quelli con l’elastico che la nostra generazione almeno una volta nella vita ha tenuto fra le mani. Ho fissato con loro un’ora a settimane alterne nella quale ci saremmo dedicati alla scrittura. La prima volta ho proposto il testo di un grande poeta: Erri De Luca “Valore”. L’ho letto in classe, ho sollecitato l’individuazione del cuore tematico del componimento e ho lasciato liberi i ragazzi di scrivere sul taccuino tutto ciò che ispirava loro la parola “Valore”. Hanno scritto per trenta minuti, senza fermarsi, senza preoccupazioni eccessive di ordine ortografico o sintattico. Ho portato i taccuini a casa, li ho letti, ho dato un feedback positivo e non un voto. Li ho restituiti ai proprietari che li hanno aperti come si apre uno scrigno prezioso. Non vedevano l’ora di ripetere l’esperienza. La settimana successiva ho proposto “Amicizia” (attribuita a Borges), poi l’ultima pagina del Diario di Anna Frank in cui lei confessa di avere due facce (quella vera e la maschera che indossa per gli altri), infine “Emozioni” di Lucio Battisti. E’ venuto fuori un mondo: pensieri, emozioni, sentimenti e sensazioni. Uno scavo interiore profondissimo e la scoperta di un’interiorità che non conoscevano e che solo la scrittura, il corsivo è riuscito a tirar fuori. Anch’io scrivo con loro: anch’io mi concedo, ogni due settimane, una mezz’ora con me stessa, senza maschere, senza ipocrisie. Tra il primo e il quarto testo, senza correzioni né sollecitazioni è migliorata sia la scrittura, sia la grafia. Continueremo in questo cammino alla scoperta di quello che siamo e di quello che proviamo affidando i pensieri alla penna e alla carta di un taccuino con l’elastico.

(le fonti d’ispirazione Italian Writing Teachers -Irene Bertoglio , Giuseppe Rescaldina, Il corsivo encefalogramma dell’anima (La memoria del mondo)