Qualche Blog fa avevo scritto che nella propria vita “bisogna ricominciare il viaggio… sempre” e adesso mi sono accorto di aver dimenticato di aggiungere che “ogni viaggio deve anche essere completato… sempre”. Puó risultare banale, ma forse non lo é del tutto.
Le difficoltá infatti, o gli eventi, o le circostanze, spesso tramano contro l´obiettivo di completare ció che si inizia, o piú semplicemente… passa la voglia, passa l´entusiasmo, prevalgono i dubbi e la fatica o, peggio ancora, la paura. Personalmente credo sia sempre un errore non completare un percorso voluto ed iniziato, o quanto meno credo sia un errore “non tentare” di completarlo e “non lottare” per concludere un progetto voluto ed iniziato; e tutto ció senza che finalmente importi troppo se il risultato immediato raggiunto sia poi piú o meno positivo o sia addirittura negativo: ogni progetto iniziato infatti, grande o piccolo ambizioso o modesto che sia, se portato a termine é indubbiamente utile alla propria crescita, alla propria maturitá, alla propria esperienza.
Al contratrio, ogni progetto interrotto é solo un´opportunitá persa, un´esperienza perduta per sempre ed assolutamente impossibile da rimpiazzare. Non voglio peró filosofeggiare, non ne ho la preparazione, né avrei l´esprienza sufficiente per poterlo fare. Voglio invece, a proposito di quanto sopra affermato, “raccontare” un racconto che mi accompagna da tantissimo, quasi da sempre direi: un racconto che peró ricordo solo vagamente, un racconto fattomi leggere tantissimi anni fa dal mio stimato e mai dimenticato maestro delle elementari, Angelo Pinto. Un racconto che a ben riflettere, credo proprio sia in qualche modo il principale ed inconscio responsabile di quella mia profonda convinzione, prima commentata, dell´importanza di completare sempre ogni progetto voluto ed iniziato. Provo a trascrivere ció che a memoria ricordo di aver letto in quel racconto: «… Ormai maggiorenne, uomo adulto, sposato e padre di un bel bambino d´etá scolastica, un giorno come tanti altri ero andato a prendere mio figlio a scuola. Faceva appena la prima elementare e frequentava, le circostanze della vita cosí avevano voluto, quella stessa scuola che era stata anche la mia scuola elementari… la San Lorenzo.
Quel giorno peró avevo fatto un pó tardi, un importante impegno di lavoro e poi il traffico e poi, pioveva anche un pó. Fatto sta che quando raggiunsi il marciapiede di fronte al portone della scuola dove normalmente attendevo che mio figlio uscisse con tutti gli altri suoi compagni, ormai non c´era piú nessun altro genitore ad attendere, non c´erano piú scolari che uscivano dalla scuola ed il portone era socchiuso: decisamente avevo fatto molo tardi. Non c´erano altre alternative, e cosí spinsi timidamente il pesante uscio ed entrai… Non avevo mai piú varcato quel portone da quando, varie decine d´anni prima, avevo finito di frequentare le elemtari. Il corridoio era deserto ed in nulla mi sembró cambiato da allora. Istintivamente e lentamente comiciai a dirigermi, a sinistra, fino alla fine di quel primo pezzo di corridoio e poi girai a destra avviandomi nell´altro pezzo di corridoio a metá del quale, lo ricordai benissimo, c´era l´aula che era stata la mia. Fu a quel punto che cominciai a sentire una voce maschile, solida ma allo stesso tempo e per certi versi come se fosse in qualche modo stanca, che annunciava ripetutamente il mio cognome: Perretti… Perretti… Perretti. Ah, stanno chiamando mio figlio pensai, qualcuno mi ha visto entrare e lo stanno cercando per consegnarmelo. Avevo nel frattempo raggiunto la porta di quella che era stata la mia aula; era aperta e cosí intravidi subito la presenza in cattedra di due o tre signori… “Scusatemi” dissi con tono incerto “sono il papá di Perretti, purtroppo ho fatto tardi”. …”Vieni, vieni avanti Perretti, ti stiamo aspettando” esclamó seccamente interrompendomi uno dei tre signori in cattedra. Timidamente entrai e con pochi e lenti passi raggiunsi il centro della cattedra. Ormai ero molto vicino ai tre signori e cosí inevitabilmente cominciai a rendermi conto di certi particolari: erano tutti e tre molto anziani dai capelli tutti bianchi… anzi no, i capelli non erano bianchi, ma lo sembravano perché ricoperti da una spessa coltre di polvere grigiastra, ed anche le loro giacche avevano le spalline ricoperte dalla stessa polvere, ed anche il piano della cattedra era ricoperto dalla polvere… “Vai alla lavagna Perretti, tocca a te, dove t´eri cacciato” esordí un altro dei tre… “É da un bel pó che ti stiamo aspettando per esaminarti, ormai manchi solo tu per completare gli esami finali per la licenza elementare di questa classe” disse il terzo maestro in cattedra. “Bravo Perretti, tranquillo, vedrai che tutto andrá bene, io lo so che sei preparato” irruppe una quarta voce alle mie spalle. Una voce anch´essa antica e stanca, ma familiare. Mi girai e vidi a qualche passo da me l´inconfondibile figura del mio maestro delle elementari, stava in piedi e lo riconobbi subito nonostante fosse adesso molto piú vecchio e nonostante fosse anche lui tutto ricoperto da quella spessa polvere bianca. “Bravo, bravo” proseguí… “Bravo Perretti, io lo sapevo che prima o poi saresti arrivato e che tutti noi stavamo facendo bene ad aspettarti. Adesso che sei arrivato potremo finalmente completare questo nostro impegno ed andare poi tutti, contenti e soddisfatti, a casa per raggiungere i nostri cari, ritrovare i nostri affetti, adempiere alle nostre altre occupazioni. E tu potrai finalmente superare gli esami, raggiungerai questo tuo importante traguardo, sarai promosso e dopo le vacanze andrai alla scuola media, poi al liceo e poi all´universitá. Io ti conosco bene Perretti, con un pó di impegno e con molta buona volontá ne farai tanta di strada tu, ma non dimenticartelo mai peró: la volontá innanzi tutto, la volontá di andare sempre avanti fino a completare ognuno degli impegni che ti vorrai assumere”. Io ero rimasto ammutolito ed ero ormai completamente paralizzato, e tutto d´un tratto mi sentii come traslato a quel giorno di 29 anni prima, a quel venerdí di giugno, a quel mio ultimo giorno di scuola dell´ultimo anno, il quinto quindi, delle elementari.
A quei tempi si dovevano superare gli esami finali per ottenere la licenza elementare; quegli esami erano naturalmente una cosa molo seria, bisognava sostenerli al cospetto di una commissione esterna di tre maestri, ed io avevo studiato molto per prepararmi bene. Quindi, con quella strana paralisi che mi aveva avvolto e come se fosse un vecchio film in bianconero, comiciai a rivedermi in quel lontanissimo giorno: mi trovavo nel corridoio della scuola in nervosa attesa di essere esaminato e quando mancava ormai molto poco al mio turno, venne a chiamarmi il bidello il quale mi disse che al portone c´era ad attendermi mio zio che doveva parlarmi. Raggiunsi mio zio che mi disse di dovermi portare un momento a casa per via di un´urgenza sopravvenuta e che poi sarei tornato a scuola. Una volta giunti a casa peró, mi spiegarono che quell´urgenza era in effetti una disgrazia: mio padre era deceduto. Naturalmente né io né altri in quel giorno pensammo che dovevo tornare a scuola. Poi da quel giorno in avanti, inevitabilmente, tutto in casa cambió. Poi venne l´estate, poi l´autunno e poi cambiammo casa, poi la mamma cominció a lavorare ed io in qualche modo cominciai ad aiutarla, poi trascorsero gli anni e la mia vita proseguí… e mai piú pensai di dover ritornare a scuola. Non so quanto tempo trascorsi in quello stato di paralisi assoluta, ma so che ci rimasi fino a quando sulla porta dell´aula comparve una giovane bidella tenendo per mano mio figlio: “Buongiorno signor Perretti, ecco qui il suo bambino, ha fatto il bravo mentre attendeva il suo arrivo, ma lei cosa ci fa tutto da solo in quest´aula deserta, non ha visto che ormai sono andati tutti via? É giá molto tardi”. Senza rispondere rigirai lo sguardo verso la cattedra e vidi che non c´era piú nessuno, neanche la polvere, e non c´era piú neppure il mio maestro.
E cosí, ancora un pó intontito, presi per mano mio figlio e con una certa fretta mi avviai all´uscita… Non ho mai piú potuto dimenticare nessuna di quelle parole indirizzatemi quel giorno dal mio maestro». Io invece, non ricordo null´altro di quel racconto, e non so se o come continuasse, e non ricordo neanche il suo titolo, né tano meno conosco il nome dell´autore. Certo é peró, che quel racconto mi suggestionó profondamente quando da bambino lo lessi. Cosí come é anche certo che molto probabilmente quel racconto, nella sua semplicitá e magari solo indirettamente, abbia poi in qualche misura influenzato la mia formazione ed il mio carattere. Mi piacerebbe molto poterlo rileggere. Chissá se qualcun altro lo ricorda e ne conosce gli elementi necessari per poterlo rintracciare!