Brindisi di fine ’800: il ritratto impietoso (e attuale?) di un giornalista francese

Scritta raccogliendo e riordinando pezzi elaborati a piú riprese fino al 1883, anno in cui si pubblica a Milano, “Le Rive dell´Adriatico e il Montenegro” é un´importante opera odeporica composita, legata alla produzione giornalistica del reportage di viaggio. L´autore é infatti il francese Charles Yriarte, la cui vita si divide tra incarichi istituzionali e produzione letteraria, viaggiando per l´Europa, e svolgendo parallelamente l´attività di scrittore e di giornalista.

L´esteso capitolo che nell´opera è dedicato a Brindisi, ad una prima veloce lettura pare essere null´altro che un “acido” ritratto impietoso della città di quel fine Ottocento, in buona misura peró abbastanza in contrasto con quanto raccontato da altri viaggiatori dell´epoca. Avrà ciò qualcosa a che vedere con la nazionalità dell´autore, nazione alla quale apparteneva la città portuale di Marsiglia, acerrima competitrice di Brindisi per la valigia sulla rotta da Londra a Bombay? Francamente credo proprio di si!

Poi peró, nonostante le intenzioni del giornalista “partigiano”, il quale nel corso del suo scritto finisce infatti con il contradirsi ripetutamente, la lettura si fa piú interessante, conseguenza inevitabile dell´oggettivo fascino che Brindisi emana sopra tutto e sopra tutti ed anche, giusto aggiungerlo, grazie all´altrettanto oggettiva qualitá professionistica dello scrittore.

Ho rintracciato una copia digitale del libro di Yriarte, sfogliando l´incommensurabile e sempre sorprendente biblioteca del web, nella mia ricerca di documenti, racconti e relati, che su Brindisi hanno scritto viaggiatori di tutti i tempi, e che sto raccogliendo per un mio nuovo modesto progetto editoriale sul quale sto lavorando con entusiasmo da qualche tempo.

Ho deciso di raccontarlo quasi integralmente, questo capitolo di Yriarte su Brindisi, oltre che per l´indubbio interesse storico giornalistico che rappresenta, anche perché… “curiosamente, a tratti” sembra quasi di star leggento un articolo -nonostante i 130 anni trascorsi- attuale, scritto appunto ai giorni nostri, magari ancora da un qualche “acido ed interessato” reporter, ma pur sempre “impietosamente” realistico: …da far riflettere!

«…Come città moderna, ed escluso l´interesse che può svegliare tra i cultori della storia, Brindisi non riserva al viaggiatore altro che un disinganno senza compenso. È una grande illusione nazionale, accarezzata per molto tempo e, giova dirlo, ormai svanita in tutti i cervelli pratici. Ma, per essere giusti, basterebbe una circostanza -per esempio una guerra dell´Italia, o di una potenza alleata dell´Italia, in Oriente- per darle di nuovo momentaneamente una grandissima importanza: quella importanza appunto che alcuni economisti e certe menti facili ad accendersi le avevano predetta per sempre.

Il suo porto è vuoto, e costantemente vuoto; in cinque giorni vi ho veduto cinque navi, di cui due vengono a tempo fisso: l´una per il servizio delle Indie, l´altra per quello d´Ancona. La natura ha fatto moltissimo per questo porto, giacchè è ben riparato, e forma un bacino naturale protetto contro l´alto mare da una lingua di terra abbastanza alta per tagliar i venti. La goletta è larga e profonda, e stende, per così dire, la foce alle navi che la cercano; la disposizione è felicissima: rappresenta un corno di cervo rovesciato, di cui la radice figurerebbe l´entrata, e i due rami i due bacini, riparati ciascuno da un promontorio: tra essi si avanza la città. Questa forma naturale della pianta del porto è così spiccata, che Brindisi prese per stemma un corno di cervo; dappoi gli Spagnuoli aggiunsero una colonna tra i due rami. Per altro, in tutte le medaglie antiche da me viste, l´attributo di Brundusium è un arione sopra un delfino. Anche se il simbolo del corno non deve risalire molto addietro nella storia, è curioso che tutti gli antichi scrittori che discorrono del porto di Brindisi, parlando dei due bacini, dicono: il Corno.

La posizione geografica, rispetto all´Oriente, è unica come via rapida di comunicazione; ma è soltanto un passaggio, e un passaggio così rapido, che gl´Inglesi dell´India, i quali, partiti da Sonthampton per Bombay, hanno attraversato la Francia e l´Italia come un lampo, non mettono, per così dire, piede a terra a Brindisi, sopratutto dopo che la valigia si spinge fino alla riva. S´imbarcano senza gettar uno sguardo sulla città; gli abitanti speravano di trattenerli nel ritorno, e avrebbero forse potuto riuscirci; ma quando l´isolano lascia una nave, dove ha vissuto diciassette giorni -durata regolare dei viaggio da Bombay a Brindisi- non prova come noi, deboli continentali, il bisogno di ripigliar forze sulla terraferma; i più anzi non fanno neppur le abluzioni a terra, giacchè escono da una cabina fornita di tutti i comodi; nè sentono nessun desiderio di rifocillarsi, non essendosi privati di nulla. Insomma, nulla li eccita, nè curiosità naturali, nè attrattive procurate dall´industria degli abitanti; e passano oltre.

Due altre circostanze hanno potentemente contribuito a distogliere i viaggiatori dal soggiornare a Brindisi. L´albergo pomposamente intitolato Great Eastern India, che sorge proprio sulla riva, allo sbarco dal piroscafo, vuol essere evitato con cura. Fatto costruire dalla Società delle ferrovie meridionali, ha aspetto decorosissimo; ma, oltrechè i prezzi sono assolutamente inverosimili, mi par impossibile di potervi mangiare: arrivato alle undici di notte, ho dovuto, pur avendo davanti una tavola pulitamente apparecchiata, con arredi decenti e un numeroso personale di camerieri, andarmene a letto senza neppur sgranocchiare un biscotto secco con un pó di formaggio. L´albergo essendo vuoto sette giorni sopra otto, quest´ottavo è un´occasione troppo propizia per scorticare a sangue l´inglese che sbarca di ritorno dalle Indie; se non che l´inglese ha una vendetta pronta: la propaganda ostile, e poichè gl´Inglesi non canzonano su questo punto, i loro compatrioti evitano attentamente l´albergo ormai denunziato.

Non è del resto da dimenticare che i piroscafi della Peninsular and Oriental Company hanno per testa di linea Venezia: i viaggiatori, non assolutamente angustiati dal tempo, preferiscono fermarsi in quest´ultima città, che ha sempre un´attrattiva per gli stranieri; cotesto itinerario permettendo loro inoltre di passar un giorno a Milano, trascurano Brindisi, che non presenta loro nulla. Senza dubbio, il passaggio dei viaggiatori può arricchire una città, massime se è continuo e abbondante; ma Brindisi aveva fatto assegnamento sopratutto sul transito, e, anche da questo lato, la delusione fa non meno grande. Se cerco una ragione pratica, la trovo nella stessa posizione della città, così vantaggiosa per il viaggiatore, ma ben poco per l´esportazione. Infatti, Brindisi è il primo porto all´ingresso del golfo Adriatico, e le mercanzie trovano ogni vantaggio a proseguir il viaggio fin in fondo al golfo, sia a Trieste, sia a Venezia.

La traccia di questa disillusione, così prontamente venuta per Brindisi, lo straniero la scorge ai primi passi che move nelle vie; la città si direbbe danneggiata da un terremoto e, senza nessuna esagerazione, un buon quarto delle case sono cominciate e coperte di paglia. Le costruzioni furono sospese all´altezza dei primi strati di mattoni del primo piano, e moltissime botteghe sono chiuse. Brindisi ha l´aspetto di un grosso villaggio nuovamente tagliato, nella parte moderna, da una larga via che va dalla stazione al porto; ma la sonnolenza e l´abbandono lasciano un´impronta su ogni cosa. Non esistono qui nè monumenti, nè piazze, nè mercati. Le vie sono malissimo tenute; non c´è industria, nè altro commercio fuor di quello dell´olio e del vino: lo stagnamento pare completo.

Il porto deserto vede deserta anche la parte della riva dove approdano i piroscafi. Rompono un pó questa meschina apparenza alcuni antichi stabilimenti, monasteri o palazzi; un´abitazione curiosa, la casa del Montenegro, vicina al porto, rovinata e convertita in tipografia, indica cosa doveva essere un tempo l´abitazione d´un nobile a Brindisi. La parte della fortezza dov´è la galera e alcune vestigia del tempo degli Spagnuoli, parlano all´immaginazione degli amatori della storia; ma è difficile dimenticar la delusione provata.

A questa riva, la mente si figurava di trovare una facciata straordinaria; di vedervi approdare tutte le nazioni viaggianti; inoltre, di contemplarvi io spettacolo di una varietà di vestiarii come a Smirne, un movimento come a Marsiglia, dei facchini affaccendati a scaricar e caricar mercanzie, delle ferrovie, dei carri carichi e scarichi, dei docks; insomma l´Oriente in Europa, e l´Inghilterra attiva in Italia: come appunto aveva promesso l´ammiraglio Ferragut il giorno in cui, gettando gli occhi sulla felice disposizione della entrata e dei bacini del porto, pronosticò l´avvenire di Brindisi.

Personalmente, per altro, abbiamo avuto dei compensi; tutte le nazioni del mondo hanno qui dei consoli, giacchè tutti i principi, più o meno, passano un giorno di qui; e il rappresentante della Francia in questo porto, signor Mahon, un pó nostro confratello, avendo scritto alcuni volumi pieni d´interesse, ci ha consolati alla meglio del nostro disinganno: Brindes o Brundusium ci avrebbe del resto fatto dimenticare la Brindisi dei tempi moderni.

A cinque metri sul porto, sopra un breve terrazzo, sorgono le due colonne monumentali, che indicavano il cominciamento della via Appia. Questa regina viarum, come dice un verso di Stazio, principiando da Roma, andava fino a Benevento, e passando per Venosa e Oria, metteva capo al porto. Gli eserciti romani, movendo alla conquista dell´Oriente, partivano direttamente dalla capitale, per imbarcarsi qui sulle galee: Brundusium era il Brest o il Tolone dell´Italia; innalzare queste due colonne al punto dove la strada riusciva al mare, era far allusione alle colonne d´Ercole, e designar la fronte dell´impero sull´Adriatico con una prospettiva sulla Grecia e le rive di quell´Oriente, che Roma stava per sottomettere, prima di veder sè stessa cancellata dalla superficie del mondo per opera dei Barbari.

Chi in questa celebre Brundusium, prendesse a studiar le antichità, e sopratutto l´epigrafia, giacchè in realtà non ci sono monumenti romani intatti e nemmeno rovine di monumenti salvo le colonne, quali grandi memorie non evocherebbe a Brindisi!

Veggo nella città un pozzo che si chiama Pozzo Trajano e leggo in Pratillo un´iscrizione del Municipio di Brindisi in onore dell´imperatore. Qui si ancorava la flotta romana o di qui partivano tutte le soldatesche per l´Oriente; eravi un arsenale e una scuola navale, nel porto si fabbricavano delle galere come i nostri vascelli da scuola, unicamente per istruire ufficiali e marinai. Pel traffico gli Orientali ci avevano banchi, e fra i cippi che si trovano nel museo, in uno leggiamo il nome d´un negoziante della Bitinia, che qui dimorava: Hostilius Hypatus, Bithynus negotiator.

Allora come adesso si esportavano fichi squisiti, e quando Crasso s´imbarcò per la sua sfortunata spedizione contro i Parti, siccome i merciaiuoli gridavano per le vie: “Cauneas! Cauneas! Dei fichi! Dei fichi!” una certa inflessione nella pronuncia fece credere ai suoi soldati superstiziosi che si gridasse “Cave ne eas” -guardatevi di partire-. Essi ebbero cosí il presentimento del disastro che li attendeva.

Oggi, dal principe di Galles sino a lord Lytton e Midhat pascià, quanti partono per l´Oriente e le Indie passan di qui; ed era lo stesso allora. I generali, i consoli, i questori, gl´imperatori quando si ponevano alla testa degli eserciti, attraversavano la città. Il ricordo di Mecenate, quello di Pacuvio, di Cicerone e di Virgilio è qui vivissimo. Mecenate ci venne a riconciliare Antonio ed Augusto, Marco Pacuvio ci visse tutta la sua vita.

Di Cicerone, si segue giorno per giorno l´itinerario. Egli è esiliato dalla legge Clodia 357 e deve, in forza del testo stesso della legge, dimorare a quattrocento miglia da Roma; viene a imbarcarsi a Brindisi per la Grecia. Quando dico che viene a Brindisi, dovrei dire sotto Brindisi, perchè vi si nasconde finchè Attico sia venuto a raggiungerlo nei giardini di Lenio Placco. Egli parte per Durazzo d´Albania, ove resta un anno soltanto, poi richiamato torna a Brindisi il giorno stesso della festa della colonia, ed è portato in trionfo. Sei anni dopo vi rientra ancora come proconsole, poi come trionfatore coi fasci e il lauro e vi soggiorna ancora tre volte di seguito: l´ultima volta, era la dimane di Farsaglia.

Virgilio mori a Brindisi, e vi mostrano la sua casa: È sul porto, quasi su quel terrazzo donde s´innalzano le colonne. Benché nobile nelle modanature e grave nella sua semplicità, la dimora del poeta, in faccia a quel mare azzurro, a quelle belle coste colorate, a quella natura ridente, con una vista lontana dell´Oriente, par ritratta dall´epoca del Rinascimento -voglio dire di quei begli anni quando le modanature eran sì pure- in guisa che mi è d´uopo interrogare la materia piuttosto che la forma per sapere se mi trovo dinanzi a un monumento antico o ad una costruzione della fine del secolo decimoquinto o dei venti primi anni dell´undicesimo. Infine la tradizione esiste, e certo v´ha qualche cosa, perchè Virgilio ritornò dalla Grecia con Antonio e Augusto; cadde malato a Brindisi per effetto del mare, e mori davanti il porto, il 22 settembre, ventott´anni (?) prima della venuta di Cristo. La casa è segnata nei documenti del tempo quale Domus Virgilii Maronis in loco San Stephani et juxta viam publicam ex Borea.

Si capisce facilmente che cosa fosse allora la città. Già fortificata, poichè Cesare parla di lavori d´assedio dovuti da lui fare al principio della guerra civile, era senza dubbio fornita di monumenti. Ma Federico II, che edificò il grande e forte castello ancora in piedi, dopo i Barbari distrusse ogni cosa, per servirsi dei materiali. La decadenza di Brindisi si spiega benissimo. Dovette cadere d´un colpo il giorno in cui Roma cessò d´essere l´unica capitale dell´impero, e Costantinopoli divenne residenza degli imperatori; per il porto militare l´era finita. Non più flotte, non riunioni di truppe per l´Oriente, non caserme, non arsenali, non magazzini di viveri, e quindi non più esportazione, nè commercio: è la fine d´un mondo, e questo luogo appartato d´Italia non ha ormai più relazioni col mondo esterno.

Nel quarto secolo conserva le proporzioni di città, benché deserta; ma sotto Giustiniano, nel quinto secolo, Procopio la descrive come desolata, mezzo distrutta, e priva delle mura. Brindisi non andò immune dalle devastazioni dei Goti, dei Greci, dei Longobardi e dei Saracini: quest´ultimi ne compirono la rovina. Insomma, di tutti quegli avanzi romani che dovevano essere enormi, resta in piedi soltanto una colonna e il rimanente si rassume in iscrizioni e in pietre d´anfiteatro e di terme. Degli altri periodi, rimangono sopratutto delle costruzioni militari fatte da Federico II di Germania e anche dagli Aragonesi, i cui stemmi decorano le porte e le facciate. Le fosse della città furono convertite in orti e i galeotti vi coltivano legumi.

Non ho ancora toccato della condizione più grave: alludo alla mal´aria, a quell´emanazione sottile che genera la febbre, insidia l´abitante e lo distende sul letto in preda ai brividi, colla tinta livida. Molto fu fatto per migliorare le tristi condizioni di Brindisi rispetto alla salubrità; i pantani d´acque stagnanti furono convertiti in orti; Carlo III, che fu re di Napoli, si adoperò molto al risanamento, e anche Ferdinando II se ne occupò con sollecitudine.

L´eccellente arcidiacono Giovanni Tarentini, che fu nostra guida, ci ricordava il tempo in cui in questo corso dove passeggiavo con lui e col signor Mahon, crescevano i giunchi nei paduli. Si sarebbe potuta vincer la natura, ma a patto che il risultato corrispondesse agli sforzi fatti per rialzar Brindisi; e non essendosi avverata la speranza d´una grande affluenza, la città s´è stancata, la provincia ha rinunziato a spese infruttuose e il governo italiano, così ricco di porti da Venezia fino a Genova, non ha creduto doversi imporre nuovi sacrifizi.

Non posso dire che non ci sia a Brindisi nessun monumento archeologico degno d´interesse. L´arcidiacono Tarentini mi fece gli onori di una scoperta recente: é una cripta di forma quadrata, che si apre nella chiesa di Santa Lucia e rappresenta certamente un antico tempietto dei primi tempi cristiani, dedicato già a San Nicola, vescovo di Mira. La cripta daterebbe senza dubbio dal tempo in cui i Greci introdussero in Italia il culto di San Nicola, cui Giustiniano aveva dedicato un tempio a Costantinopoli ed il cui corpo è conservato nella chiesa di Bari.

Un altro monumento che mi parve degno d´illustrazione, è San Giovanni, una basilica dei primi tempi cristiani: trovasi ridotta a uno scheletro, ma la città di Brindisi dovrebbe conservarne gli avanzi. Dal solo aspetto dei muri e delle colonne di marmo, è evidente esserci qui delle vestigia di tempi vetusti. Le porte non sono più quelle che davano anticamente accesso; il carattere bizantino nasconde le forme romane, incassate nella muraglia; dei grossi rivestimenti impediscono di vedere le commessure a secco, senza calce nè cemento, che indicano una costruzione antica; la pianta circolare, leggermente ovale, denunzia l´origine: sgraziatamente, la volta è rovinata. Sui muri si vedono ancora alcuni affreschi di tempi molto posteriori, e sul suolo giacciono dei frammenti di statue del periodo romano, e dei capitelli spezzati, piamente raccolti dalla mano dell´eccellente canonico…».

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Nelle foto in basso la casa di Virgilio nel 1840 e il tempio di San Giovanni Sepolcro nel 1933