Auguri! Bravo! Che invidia! Congratulazioni! Finalmente il traguardo! Complimenti! Evvivaaa!!
Questi alcuni dei numerosissimi commenti che, tutti sullo stesso tono, hanno accompagnato il gioioso annuncio fatto da un amico informandoci “di essere in pensione”. Nulla di male per carità, certo un evento importante nella vita di tanti, un evento da non far passare sottobanco, un traguardo probabilmente meritato. Poi, nel caso specifico, un´aspirazione assolutamente legittima e sofferta, perché legata ad un serio problema di salute, e lo riferisco questo particolare, proprio per voler sottolineare con ció, la quasi sacralità di quello che é un indubbio diritto di ogni lavoratore appartenente ad un paese civile.
Ma la motivazione a voler riflettere sull´episodio non mi é stata indotta dall´annuncio in se, né tanto meno dal piú che giustificato tono gioioso dello stesso, quanto invece mi é stata indotta dal coro unanime e dai toni di quei tantissimi commenti corali, sintomatici evidentemente di un certo qual modo di vedere la vita, lavorativa e non solo, da parte di un´intera società, o quanto meno di una gran parte di essa, e anche, e temo sopratutto, di una buona parte dei giovani di quella società.
Certo, l´aspirazione alla pensione porta implicita con se l´aspirazione ad aver maturato quel diritto alla pensione e quindi l´aspirazione di aver prima acquisito un posto, non precario, di lavoro. Nuovamente quindi si sta parlando di un qualcosa di assolutamente legittimo ed in principio del tutto incontestabile, e comunque chiarisco subito che l´intenzione non é assolutamente quella di voler affrontare una discussione sul complesso e spesso bistrattato tema del diritto al lavoro o del diritto ad una giusta ed opportuna pensione, né tanto meno quello, certamente un pó troppo tecnico per questa sede, relativo ai cavilli dei vari scalini o scaloni, o quello dell´assurdo capitolo delle esodazioni.
Vorrei invece qui trattare, senza voler con ció declassare d´importanza tutti i temi giá citati, dell´atteggiamento che verso la vita lavorativa pare si tenda sempre piú ad assumere nella nostra societá; vorrei trattare, e quindi implicitamente ed esplicitamente criticare, l´atteggiamento che molti dei nostri giovani, e anche meno giovani, sembra vadano oggi maggioritariamente acquisendo nonostante l´oggettiva gravitá del momento socio economico che ci tocca vivere: “continuare ad insistere nel voler considerare come massimo ed addirittura unico traguardo auspicabile, quello del posto di lavoro formale e fisso e quindi del conseguente raggiungimento della pensione”.
Francamente credo che non sia entusiasmante dover costatare che in una societá la massima aspirazione sia quella “di andare in pensione” e non credo di star facendo con ció una affermazione assurda: e visto che non é certo il caso di essere autoreferenziali, cosa che giustamente risulta essere sempre antipatica, voglio peró qui ricordare brevemente mio padre: inzió il suo percorso lavorativo da militare lo stesso giorno in cui compí i 18 anni, partí volontariamente da casa ¨senza altro bagaglio che la sua gioventú e la sua voglia di fare e di lavorare¨ e dopo piú di quarant´anni, lo ricordo molto bene, si rammaricó profondamente quando fu obbligato ad andare in pensione all´etá di 59 anni.
Lui infatti, essendo militare, avendo dovuto fare un paio di guerre ed avendo superato abbondantemente i 40 anni di lavoro, fu obbligato a pensionarsi, nonostante avesse fatto richiesta di restare in servizio perlomeno fino ai 60 anni: per la legge del suo tempo, ci sarebbe dovuto andare a 56 anni in pensione, ma riuscí a restarci 3 anni in piú, ed un suo grande rammarico fú non essere riuscito a lavorare fino ai 60 anni: si sentiva in forma e non lo entusiasmava troppo il pensiero delle pantofole, o quello delle vasche al corso, o delle partite a tresette o, come avrebbe detto oggi, a burraco con gli amici.
Altri tempi, certo si dirá, altra mentalità. Eppure son sicuro che mio padre non costituisse un´eccezione. E non credo neanche che le condizioni di lavoro attuali siano cosí tanto peggiorate rispetto a quelle di qualche decennio fa, da spiegare il perché adesso sembra sia diivenuta una regola il dover festeggiare il raggiungimento della pensione e l´auspicarne il massimo anticipo possibile.
Ma forse quello del miraggio del raggiungimento della propria pensione non é l´aspetto piú preoccupante dell´atteggiamento di molti dei nostri giovani, forse bisogna riflettere ancor di piú su quell´assenza della volontá di lasciare la propria casa a 18, ma anche a 25 o 30, anni “senza altro bagaglio che la propria gioventú e la voglia di fare e di lavorare”.
Ed insisto ancora: son certo di non star affermado assurditá. La mia attivitá lavorativa mi porta infatti a conoscere tanti paesi e tante realtá diverse, e voglio citarne qui una relativamente vicina alla nostra, una realtá che sto costatando di recente, a cavallo come mi trovo adesso, tra la Spagna ed il Sudamerica.
É risaputa la gravitá dell´attuale crisi economica spagnola, il paese europeo che dopo la Grecia ha il piú elevato tasso di disoccupazione giovanile. Ebbene, centinaia e migliaia di giovani e meno giovani tecnici e professionisti spagnoli stanno invadendo il mondo offrendosi per lavorare: in Cile, per fare un esempio che conosco abbastanza bene, in un grosso cantiere minerario gestito da una societá italiana, i giovani geologi ed ingegneri spagnoli presenti sono piú numerosi degli italiani; certo si tratta di un ambiente di lavoro un pó pesante, a tremila metri d´altezza ed in pieno deserto. In Venezuela, un paese oggigiorno tristemente alla ribalta per l´elevato grado di pericolositá ed instabilitá, le societá spagnole non hanno difficoltá ad avere loro giovani tecnici disposti a lavorarci, tutto il contrario sta invece succedendo per molte societá italiane.
E non é certo strettamente necessario per i nostri giovani andare in Sudamerica o in Africa o in Asia o in Australia per poter lavorare, forse si potrebbe anche andare solo un pó lontano da casa, magari in Germania, o in alcuni dei paesi del Nordeuropa: certo, peró bisogna sempre prendere perlomeno un aereo! E se no, in alternativa cosa resta? Quale il futuro che ci attende? Quali saranno le massime aspirazioni delle nostre generazioni future se la pensione, come sembra potrebbe succedere a breve, non potrá piú essere la principale di esse?
Intendiamoci bene: é chiaro che la soluzione del problema no é certo cosí semplice come quella accennata, é chiaro che non si tratta di una soluzione generale valida per tutti. Ed é anche chiaro anche che le colpe principali di questa poco edificante situazione non sono dei singoli, ma sono della societá e dello stato in primo luogo, dello stato a cui spetta in primis il dovere di assolvere alle sacrosante e legittime necessitá della propria popolazione. Su questo non ci sono dubbi, né si tratta di voler depistare il problema di fondo. Peró, la societá é fatta dai singoli e lo stato é per molti aspetti il riflesso della societá. Forse, se i singoli assumessero un atteggiamento diverso, la societá finirebbe col trasformarsi e poi lo stato finirebbe col cambiare. Forse!
Ai nostri giovani, e spero non ai posteri, l´ardua sentenza!