Il gene DRD4-7r presente nel DNA di noi viaggiatori

Probabilmente un po’ tutti abbiamo delle fissazioni o, detto più benevolmente, abbiamo degli argomenti che ci interessano più di altri, e quindi ce ne occupiamo con una certa insistenza e ci torniamo sopra con una maggior frequenza. Ebbene per quello che mi riguarda, il tema del viaggio, del viaggiare, dei viaggiatori, è certamente uno di quelli: diciamo pure che è una, e giammai la sola, delle mie fissazioni. E questa volta mi sento veramente compiaciuto di poter raccontare un aspetto assolutamente speciale, o quanto meno originale, di questo sempre affascinante argomento: una mia scoperta recente, davvero interessante, che mi piace enormemente qui riassumere e condividere.

Ci sono tante persone, e sembra proprio che siano la grande maggioranza, che non sentono il bisogno di fare bagagli e lasciarsi alle spalle la propria casa. Non hanno voglia di viaggiare, sono pienamente soddisfatti del posto in cui vivono e di tutte le loro abitudini di sempre. Altri, i meno invece, da quando siamo nati non riusciamo a stare fermi un solo attimo e siamo sempre pronti a ripartire, a partire magari verso una nuova e sconosciuta destinazione.

Sono comunque molte le persone che sognano di viaggiare per il mondo, vedere luoghi in cui non sono mai stati e vivere esperienze e culture diverse. E c’è chi proprio non ne può fare a meno di viaggiare, anzi, farebbe anche volentieri a meno di una casa fissa e di un lavoro stabile. Gli esseri umani infatti, sono tra le specie più curiose ed esplorative che abbiano mai vissuto sulla terra. Ebbene ho recentemente scoperto, leggendolo, che questa voglia matta di viaggiare a luoghi sconosciuti può essere spiegata attraverso la genetica e, più esplicitamente, che il bisogno di viaggiare e di esplorare il mondo dipenderebbe nientemeno che da un un gene, il cosiddetto “gene del viaggio”: il recettore della dopamina D4 nella sua variante DRD4-7r. Incredibile, eppure sembra che sia proprio vero! La mia fonte primaria di questa lettura? Un articolo pubblicato nel marzo 1999 sulla rivista Evolution and Human Behaviour ed intitolato Population migration and the variation of dopamine D4 receptor (DRD4) allele frequencies around the globe -Migrazioni e frequenze alleliche del recettore della dopamina D4 (DRD4) nel locus genetico delle popolazioni- scritto da Chuansheng Chen, Michael Burton, Ellen Greenberger e Julia Dmitrieva. Un titolo intrigante vero? E, ovviamente, impossibile non andare a leggere subito un articolo con un titolo del genere! Quindi? Detto e fatto.

Questi quattro ricercatori, coordinati da Chen, hanno effettivamente scoperto l’esistenza di un’importante legame tra i livelli di certe frequenze alleliche del recettore della dopamina D4 (DRD4) e i modelli di migrazione delle popolazioni: dopo aver compilato ed elaborato i dati sul DRD4 e le frequenze alleliche di 2320 individui appartenenti a 39 diverse popolazioni e i dati sui modelli di migrazione delle stesse, hanno potuto riscontrare l’esistenza di una sufficientemente chiara proporzionalità tra la percentuale di alleli per DRD4 e la distanza percorsa nella migrazione storica delle popolazioni analizzate. Le popolazioni che sono storicamente migrate percorrendo distanze elevate posseggono una percentuale più alta di alleli per DRD4 rispetto alle popolazioni via via più sedentarie: nelle popolazioni storicamente partecipi di macro-migrazioni, la percentuale di alleli per DRD4 raggiunge lo 0.85, mentre in quelle storicamente partecipi di micro-migrazioni la proporzione di alleli si limita allo 0.52. Causa o conseguenza? Probabilmente causa e conseguenza! Mentre il gene DRD4 è sempre coinvolto nei livelli di dopamina presenti nel cervello umano ed è collegato con la motivazione e il comportamento dell’essere umano, tra gli alleli o varianti di questo gene, il DRD4-7r è portato solamente da alcuni membri della popolazione umana ed è collegato con l’agitazione e la curiosità della persona: è responsabile quindi di indurre e stimolare la gente a prendere grandi rischi, tra i quali anche quelli direttamente legati all’esplorazione di luoghi nuovi o diversi. Ed ecco così svelato perchè mai non tutti sentono il bisogno di viaggiare: semplicemente perchè pochi, solo circa il 20% della popolazione umana, hanno alti livelli di DRD4-7r nel proprio corredo genetico. E quello che lo studio di Chen ha dimostrato è che la maggior parte di tutti questi viaggiatori “per natura” sono localizzati in zone del mondo in cui, storicamente, gli spostamenti sono sempre stati incoraggiati o che, detto in altro modo, è più facile che il gene DRD4-7r si trovi in popoli che nel passato, magari molte e molte centinaia di anni fa, sono migrati percorrendo distanze notevoli. Ed è perciò che si tratta del classico enigma dell’uovo e la gallina, la cui soluzione però, in questo caso, non ha troppa importanza. Quello che infatti qui mi interessa segnalare è invece l’aver scoperto che a svelare se siamo viaggiatori o meno sarebbe, dunque, il nostro DNA.

Il “gene del viaggio” regolerebbe il nostro livello di curiosità e ci renderebbe più o meno sensibili agli stimoli esterni, con una funzione collegata a quella della dopamina, che come risaputo svolge infatti un’azione fondamentale nel determinare gli equilibri dell’umore. Quindi, l’entusiasmo e l’emozione che proviamo prima di intraprendere un viaggio o di avventurarci in mete sconosciute potrebbero essere solo, e forse null’altro che, una “magia” compiuta da questo speciale gene: il DRD4-7r. E cercando di saperne di più, ho trovato che nel 2012 anche un altro ricercatore, David Dobbs, ha pubblicato sulla rivista New Scientist un articolo intitolato Are you an orchid or a dandelion? nel quale conferma che il DRD4-7r è presente in persone che sono più propense a prendere rischi, ad esplorare posti nuovi, a provare nuovi cibi, nuove relazioni, insomma nuove avventure… di ogni tipo. E comparando i geni delle popolazioni più sedentarie con quelle migratorie, anche Dobbs costata che i geni del tipo DRD4-7r sono decisamente più probabili e più numerosi tra quelle popolazioni i cui antenati hanno storicamente percorso lunghe distanze, partendo -nel caso specifico della sua ricerca- dalla lontana Africa. Quegli stessi antenati che molto probabilmente possedevano già questo famigerato gene DRD4-7r, responsabile quindi della motivazione che è dietro il desiderio di viaggiare, di muoversi e di vedere il mondo. Ci ricorda Dobbs che la radice di tutta l’esistenza umana è infatti legata all’Africa, che i primi dei nostri antenati cominciarono a lasciare circa 70000 o 50000 anni fa, e che nessun’altra specie sul pianeta ha viaggiato e si è diffusa in tutto il mondo nello stesso modo gli esseri umani. Una specie, quella di noi esseri umani moderni, che ha viaggiato visitato e abitato ogni continente, ogni paese e ogni angolo del mondo, in soli cinquantamila anni, un periodo di tempo non proprio così tanto lungo.

Molto interessante tutto ciò, vero? Certo, realmente molto interessante, però forse anche un po’ deludente, o comunque riduttivo: Ma allora che fine fa tutto il romanticismo da sempre intessuto intorno al viaggio, al viaggiare e ai viaggiatori? Sarà mai possibile che Ulisse, Marco Polo, Cristoforo Colombo, Vespucci, Magellano e tutti gli altri siano stati solo il frutto di una circostanza genetica? E tutte le decine di personaggi del mio “Brindisi raccontata”, quei miei tanti viaggiatori del tempo e dello spazio, anche loro semplici rapprersentanti di un assieme di individui solo geneticamente accomunati dalla presenza dell’allelo DRD4-7r? Que tristezza! No, per fortuna non è proprio del tutto così. Per fortuna esiste anche un’altra teoria, un’altra spiegazione per la motivazione al viaggio che, infatti, viene da altri autori radicata nella nostra infanzia. Secondo quest’altro filone, sociologico e non biologico, quella motivazione in gran parte la impariamo ed acquisiamo da bambini, attraverso il gioco, la fantasia, l’immaginazione. Rispetto alla maggior parte degli animali, e ad alcuni dei nostri antichi antenati, da bambini trascorriamo più tempo protetti dalle nostre madri, potendo così meglio sviluppare la nostra immaginazione attraverso la fantasia, non avendo altre occupazioni o preoccupazioni più impellenti. Base della fantasia infatti è proprio il creare scenari ipotetici e mondi che potrebbero essere, e la ricerca di tali scenari e di tali mondi è ciò che sta dietro il desiderio e il carburante che, assieme, ci rendono così curiosi e ci spingono ad “andare”.

Domande quali: Cosa c’è oltre quel confine? Cosa dall’altra parte del mare? Sono solo alcune delle domande che hanno spinto e guidato la nostra specie umana ad esplorare tutto il mondo. Ed allora, provo a concludere: Le motivazioni del viaggio e del viaggiare, più o meno presenti in alcuni di noi, devonono essere ricercate sia tra i nostri geni, magari tra gli alleli, e sia nella nostra immaginazione, probabilmente quella alimentata dai giochi dell’infanzia.

I nostri antenati hanno iniziato il nostro viaggio intorno al mondo un cinquantamila anni fa, eventualmente stimolati da alcuni loro geni inquieti, ed hanno trapassato la loro natura curiosa alle successive generazioni fino a noi, che abbiamo imparato a meglio orientarla e coltivarla. E così, tuttora, gli esseri umani continuiamo a viaggiare per esplorare: per esplorare paesi lontani e altri continenti, e poi ancora… per esplorare lo spazio e l’universo tutto, destinati come siamo, a non detenerci mai… perlomeno fin tanto nel nostro DNA ci sia una qualche traccia del DRD4-7r.

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