L’anticipare già nel titolo che si tratta di “riflessioni da un viaggio estivo” vuole in qualche modo annunciare che quelle che seguono sono riflessioni volutamente poco profonde e poco impegnative, sorte nell’atmosfera rilassata ed inevitabilmente un po’ distratta di una vacanza d’agosto. E mi scuso quindi da subito con quei miei amici lettori che magari avrebbero preferito qualcosa di intellettualmente più ragguardevole.
Non penso, infatti, cimentarmi in alcun modo in paragoni storici o socio-culturali e tanto meno antropologici o architettonici tra queste quattro città europee, ma solo voglio provare a chiedermi e quindi rispondermi sul perché le prime due -Roma e Parigi- le ho, con molto dispiacere e malumore, trovate “trascurate, sporche, caotiche, inospite, insicure e mal servite” mentre le altre due città -Varsavia e Cracovia- le ho, con sorpresa e tanta soddisfazione, trovate “curate, pulite, ordinate, accoglienti, sicure ed ottimamente servite”.
Eppure Roma e Parigi sono le celeberrime capitali di due tra le più importanti e ricche nazioni della civilissima, sviluppatissima e ricca Europa, mentre Varsavia e Cracovia sono solo le due principali città di una nazione europea -la Polonia- certamente storicamente e culturalmente importante, ma comunque tra le meno prospere d’Europa e finanche tuttora fuori dall’euro.
Come mai? Quale la possibile o le possibili giustificazioni o, quanto meno, spiegazioni di tali e talmente marcate differenze? Ma prima di tentare qualche risposta aggiungo qualche dettaglio, tanto per spiegare meglio a cosa mi sto riferendo.
Varsavia l’avevo visitata 41 anni fa, in uno dei miei viaggi estivi da universitario, in pieno regime comunista e sovieticamente controllato: era naturalmente “grigia” austera e povera, ma, e ben lo ricordo ancora, con tanto verde, circondata da boschi e piena di parchi boscosi.
In quest’agosto invece, una piacevolissima sorpresa: tuttora circondata da boschi, ancor più visibili dall’aereo, e sempre colma di parchi boscosi, ma adesso “colorata” e luminosa, fiorita e moderna, ma non solo.
E quale l’aspetto più contrastante e impattante della capitale Varsavia, per me che sono un romantico irrimediabilmente innamorato di Roma e che arrivavo dopo essere stato una settimana a Parigi? Ebbene, semplicemente l’impeccabile pulizia: nell’aeroporto, lungo tutte le strade, nelle tante piazze, nei parchi, in centro come in periferia.
Nelle strade e nelle piazze -tutte rigorosamente identificate con targhe chiare, uniformi ed uniformemente collocate- nessun indizio di sporcizia, neanche un mozzicone di sigaretta per terra, neanche una busta con spazzatura, neanche un bidone traboccante di sporcizia. Ma non solo: neanche una buca nell’asfalto, neanche un sampietrino divelto, neanche un marciapiedi sconquassato, neanche un tombino sprofondato, neanche un passaggio pedonale con le strisce sbiadite, neanche un sottopassaggio maleodorante… e, lo ripeto, sia in centro che in periferia.
Eppure di gente, con quasi due milioni di abitanti e tanti turisti -quasi dieci milioni l’anno- inclusi, ne circolava a bizzeffe: le strade e le piazze del centro storico erano colme fino a tarda ora, così come strapieni lo erano gli innumerevoli locali distribuiti tra le tante strade e piazze rigorosamente chiuse al traffico privato.
Le panchine, le aiuole fiorite, i monumenti, i tantissimi tram e i taxi… tutto come nuovo, tutto come fosse stato appena appena pulito: spolverato, lavato e lucidato. Graffiti sui muri degli edifici? Homeless lungo le strade e nei parchi? Neppure un’ombra.
Tra le tante gradite scoperte, a Varsavia e poi anche a Cracovia, una Fondazione di giovani universitari “Free Walking Tour” che con una impeccabile organizzazione e con un perfetto professionismo ed in varie lingue, fanno da guida a turisti e visitanti, conducendo tutti i giorni numerosi tours pedonali tematici (il centro storico, il ghetto, il comunismo, etc.) con una qualità di contenuti sorprendentemente buona, ed il tutto volontariamente e gratuitamente. Un’organizzazione nata 8 anni fa e che oggi conta con circa 50 giovani guide professioniste, autogestite e distribuite tra le quattro principali città polacche, e che si autofinanziano con i soli contributi volontari dei visitatori. Un po’ come i nostri bravissimi giovani del gruppo Archeo di Brindisi, ma su una scala sicuramente molto più vasta.
E, solo per non dilungarmi troppo, passo direttamente alla partenza e al viaggio in treno da Varsavia a Cracovia: una stazione ferroviaria grande, ma accogliente e perfettamente funzionale, informatizzata, ordinata e, naturalmente… pulitissima. Un treno gremito, ma in perfetto orario di partenza e in ottime condizioni fisiche. L’arrivo a Cracovia? Dopo due ore e mezzo, in perfetto orario: tanta gente, tantissimi turisti, ma tutto in gran ordine… con l’ascensore si sale dalla piattaforma d’arrivo direttamente fino al piazzale taxi e… con il tutto, naturalmente, assolutamente pulito!
Ed eccomi a Cracovia, l’antica orgogliosa e bella capitale medievale e rinascente della Polonia, e sua meta turistica per eccellenza: la terra di Giovanni Paolo II, con poco meno di un milione di abitanti e con inoltre circa 200.000 studenti universitari, visitata ogni anno da poco più di 10 milioni di turisti, che non son pochi: più di un quinto di quei 50 milioni che visitano tutta l’Italia ogni anno.
Quindi in agosto gremitissima, eppure, quasi alla stessa stregua di Varsavia: “curata, pulita, ordinata, accogliente, sicura e molto ben servita”. Ah! e con anche un “in più”: tante belle carrozze, trainate ognuna da due cavalli e con una o due ragazze per cocchiere: tutte le carrozze assolutamente bianche, immacolate, inodori e lucide come fossero -colore a parte- delle autentiche Ferrari.
E Roma e Parigi invece? Di Roma e delle sue attuali “riprovevoli” condizioni -sia per i suoi abitanti e sia per i suoi visitatori- non voglio proprio parlarne, anche perché in questi giorni i telegiornali -e non solo- lo stanno facendo con finanche troppa dovizia di dettagli. E allora che dire di Parigi? La sola sorpresa piacevole? Il clima: un inizio di agosto eccezionalmente freddo e addirittura piovoso e quindi, perlomeno in questo, diversamente e molto meglio che Roma!
Ma, quasi come e quanto Roma, anche Parigi questa volta -in questo viaggio d’agosto- mi è apparsa decisamente molto sporca, abbastanza trascurata, caotica e mal servita… diciamo “molto poco accogliente”. Tanto traffico, troppi marciapiedi impraticabili, stracolmi di sedie e tavolini fino quasi a contatto con le innumerevoli auto e motociclette parcheggiate, anzi ammassate, lungo quasi tutte le strade, etc., etc.
Eppure per Roma e per Parigi la fama universale di città meravigliose e mete ambitissime da ogni viaggiatore non è certamente immeritata: non sono infatti trascorsi tantissimi anni da quando giungere e soggiornare a Roma o a Parigi era semplicemente “piacevolissimo”: ci si sentiva accolti e ben serviti, ci si sentiva inevitabilmente coinvolti, assorbiti e finalmente trasportati da un’atmosfera che era pregna di bellezze, tradizioni e cultura.
Ebbene, nonostante quelle bellezze, quelle tradizioni e quella cultura -per fortuna e per ora- ci siano ancora, si fa sempre più fatica a scoprirle e a goderne, mentre si è costretti ad essere intenti a come districarsi tra il traffico, tra i semafori, tra le buche stradali, tra i tavolini sui marciapiedi, tra gli homeless e i venditori ambulanti d’ogni genere e d’ogni cosa, tra targhe stradali sbiadite o inesistenti, o mentre ci si deve preoccupare di come e con quanto anticipo dover raggiungere l’aeroporto o la stazione, sempre congestionati e ormai immancabilmente in preda alle folle turistiche o al caos generato da qualche probabile sciopero selvaggio, come quello degli agricoltori francesi che in pieno agosto hanno deciso di manifestare incolonnando i loro trattori lungo le principali arterie stradali della Francia per protestare contro non so quale loro “diritto parrocchiale violentato”.
Bene, fin qui il racconto è stato facile, però adesso viene la parte difficile: come e cosa rispondere alle domande sul perché di tali scomode e sgradevoli circostanze; perché quei cambiamenti in peggio; da cosa o da chi sono determinati tali così evidenti peggioramenti?
Forse può anche sembrare ovvio, ma io con gli anni me ne sono definitivamente convinto: per tutto ciò che a qualità dei servizi di una moderna città ci si voglia riferire, la quasi totalità delle responsabilità deve essere attribuita -nel bene e nel male- al sindaco di turno (e con lui alla sua squadra amministratrice): ho infatti potuto costatare di persona e in più occasioni, in varie città appartenenti a paesi tra di essi molto differenti, radicali e quasi incredibili trasformazioni positive verificatesi in un lasso di tempo relativamente breve, spesso solo pochi anni corrispondenti a una o due consecutive ripetute amministrazioni comunali, e senza che quel lasso sia coinciso con un qualche altro evento esterno di una qualsiasi natura o entità tale da aver inciso sulla stessa trasformazione.
È mondialmente conosciuta la profonda trasformazione di New York avvenuta tra gli anni 1994 e 2001 -gli otto anni del sindaco Rudolph Giuliani- grazie alla quale la città, tra tanti altri miglioramenti, riuscì a perdere la sua consolidata fama di capitale dell’incuria, della violenza e della pericolosità. Il sindaco Giuliani centrò la sua azione amministrativa su quelli che erano tre aspetti assolutamente critici della città all’epoca della sua elezione: crimine organizzato, sviluppo economico e educazione. Alla fine del mandato di Giuliani, i crimini si erano ridotti del 65% e gli assassinii del 70%, New York che era ben conosciuta nel mondo intero per la pericolosità delle sue strade fu dichiarata dal FBI la citta più sicura degli Stati Uniti. Giuliani intraprese una coraggiosa riforma tributaria municipale e applicò una rigorosa disciplina fiscale trasformando in superavit l’enorme deficit ereditato, e durante la sua amministrazione, i posti di lavoro privati in città s’incrementarono enormemente. Il turismo internazionale riconquistò New York e tutte le scuole della città conobbero radicali miglioramenti.
Anche Miami negli anni ’80 era una città alquanto decadente, caratterizzata dalla diffusa malavita, dall’incuria e dai disservizi: il centro era impraticabile e, semplicemente, brutto e sporco. Ricordo che come turisti ci si andava solo perché aveva l’aeroporto principale della Florida e il più prossimo a Disney Word, ma ci si soggiornava il meno possibile. Poi, a partire dalla fine degli anni ’90, una decisa inversione di tendenza che non si è più arrestata, fino a trasformare la città nell’attuale meta ambitissima e frequentatissima da turisti, e non solo: rinnovata, cosmopolita, bella, allegra, sicura, moderna, alla moda e servitissima. Nel 1998 era stato eletto come governatore della Florida Jeb Bush e nel 2002 rieletto per un secondo mandato non potendo essere rieletto per un terzo, d’accordo con le legge di quello stato.
Un po’ più a Sud, in Colombia, la capitale Bogotá la conobbi nel lontano 1982: una città grigia, provinciale e pericolosa, inospitale, sporca e pessimamente servita. Poi ci ritornai per lavoro più volte e sempre senza troppo entusiasmo, fino a quando, in una mia visita del 2000, mi accorsi che qualcosa era radicalmente cambiato. Antanas Mockus, un professore filosofo matematico -genio per molti e mezzo pazzoide per altri- già rettore dell’Università Nazionale, era stato eletto sindaco di Bogotá nel 1995 e rieletto nel 2003, e con la sua “stravagante” gestione aveva provocato l´incredibile metamorfosi di una città, passata dall’essere definita sul quotidiano francese Le Monde come “la jungle” -la giungla di un mondo di vittime dell’alcool della droga e dell’incessante sfruttamento politico al servizio di una élite corrotta- all’essere definita sul quotidiano statunitense The Washington Post come una “gradevole anomalia” in un continente le cui città capitali costituiscono con frequenza scarni scenari reali da film dell’orrore.
E gli esempi potrebbero continuare, ma non credo sia necessario, tanto io di dubbi ormai non ne avrei proprio più: le città sono inevitabilmente il riflesso dei propri amministratori e purtroppo in troppi casi la classe dirigente degli enti locali è inadeguata o, ancor peggio, incapace e corrotta, non degna o comunque non adatta a governare e amministrare le comunità.
È indubbio che la complessità di gestione delle città, specialmente di alcune grandi e complesse come certamente lo sono Roma e Parigi, sia notevolmente aumentata negli anni. Però è anche vero che molto spesso è stato il degrado del buon governo che ha portato al blocco asfittico di questi ultimi anni, e ancor più spesso l’incapacità, e non di meno la corruzione degli amministratori di turno.
Quello di sindaco e amministratore comunale non è certo un mestiere, una professione, un lavoro e nemmeno si può pensare che qualcuno nasca imparato a ricoprire quel ruolo. Per essere un buon sindaco occorre però avere capacità di leadership, autonomia, responsabilità, onestà e molto coraggio: nessuna di queste materie s’impara a scuola, ma senza di esse i risultati non arrivano, anzi giungono puntuali gli insuccessi.
E quando parlo di coraggio, penso al coraggio delle idee, delle iniziative innovative e magari controcorrente, o meglio detto “contro-interessi”: I centri “storici” delle città, per esempio, devono essere chiusi al traffico privato: non ci può essere vita sociale, vita culturale, vita commerciale, vita cittadina, buona qualità di vita insomma, se alle persone si antepongono le auto, se alle voci si sovrappongono i motori, se all’ossigeno si mescola l’ossido di carbonio.
E non solo i disservizi, ma anche le brutture e la trascuratezza delle città nascono da scelte amministrative sbagliate, e i sindaci dovrebbero rimboccarsi le maniche anche per rendere le città più belle. La gestione corretta delle città non deve passare dalla farcitura ideologica, spesso facile giustificativo di comodo: ai cittadini, agli amministrati comunali, alla gente, le ideologie degli amministratori comunali non interessano più di tanto.
Vorrebbero invece innanzitutto cose molto basiche, quasi elementari: ci sono troppe strade raffazzonate da aggiustature improvvisate e con tante buche, marciapiedi con dislivelli e senza piastrelle, case e interi edifici con facciate che perdono pezzi, targhe stradali illeggibili o inesistenti, mobiliarlo urbano -bagni pubblici inclusi- fatiscente o assente, verde curato un tanto al pezzo, immobili di proprietà incognite chiusi e con erbacce alte e privi di destinazione d’uso, etc.
Le città pulite, non lo sono per opera dello Spirito Santo, ma lo sono per opera di chi ordina pulirle e di chi le pulisce: c’è bisogno di destinare mezzi e uomini in abbondanza e, naturalmente, con organizzazione e supervisione, a tutte le ore del giorno e della notte, sette giorni per settimana.
Certo, con la pulizia delle città c’entrano parecchio anche l’educazione e la collaborazione dei cittadini, ma forse la questione assomiglia un po’ a quella dell’uovo e la gallina. Un mio amico di idee un “po’ estremiste” invece, era solito affermare che la gente è molto più disciplinata in quei paesi in cui durante molti anni hanno governato regimi dittatoriali -di sinistra e di destra indistintamente (la Germania, la Polonia, il Cile, etc.)- e ciò perché le dittature, al contrario delle troppo permissive democrazie, obbligano a comportarsi bene, già che castigano coloro i quali si comportano male, e con ciò alla lunga finiscono con far cambiare in meglio il comportamento comunitario delle persone.
Naturalmente non è per nulla vero: gli americani per esempio -quelli del Nord- sono decisamente molto ben educati in quanto a comportamento comunitario, eppure non hanno mai subito alcun regime dittatoriale. E comunque, tanto per chiudere con una battuta questo capitolo, va anche ricordato che un vecchio detto popolare afferma che “a dire fesserie si fa peccato… ma a volte la si azzecca”.
Vero è invece che, tornando a parlare seriamente, la responsabilità dei tanti disservizi municipali delle nostre città non può che derivare dalla cattiva gestione amministrativa, negli anni recenti ingigantita complicata e peggiorata anche a causa dell’inattiva efficacia delle proliferate aziende municipalizzate, troppo spesso simili a elefanti ingestibili, incontrollabili e non di rado corrotti. E poi, troppi dirigenti, troppi funzionari, spesso dormienti, che rispondono solo a se stessi, e troppi impiegati e operai poco motivati in perenne attesa della busta paga di fine mese e pronti a quanti scioperi, più o meno selvaggi, gli vengano suggeriti.
E a Brindisi, il nostro attuale sindaco, amministra la città in base a farciture prominentemente ideologiche? Preoccupandosi forse principalmente di registrare i vari “tipi” di matrimoni, o pretendendo magari di legiferare in materia di politica immigratoria? Credo proprio che, e per fortuna, non sia il caso nostro, e quindi lasciamo pure che lo facciano a Roma e a Milano, tanto noi non ne sentiamo tanto la mancanza!
E allora, il nostro sindaco si dedica ad abbellire la nostra Brindisi? Si occupa e si preoccupa di mantenerla pulita? Le nostre strade sono senza buche e con i marciapiedi ben pavimentati? I nostri monumenti sono valorizzati curati e protetti? Sono le nostre piazze luminose e ben arredate? E sono i nostri parchi rinnovati fioriti e sorvegliati? I bagni pubblici sono sempre aperti e ben mantenuti? I servizi urbani di trasporto sono efficaci efficienti e ben segnalati? Il Cimitero comunale è in ottimo stato di manutenzione? I Mercati comunali sono ben strutturati e ben equipaggiati?
Probabilmente qualcuno potrebbe rispondere “si, oppure forse, oppure più o meno…” ma ancor più probabilmente molti altri potrebbero rispondere “no, per niente, assolutamente no…”. Certo è comunque, che abbiamo avuto sindaci e amministratori di peggior qualità, così come è anche vero che ne abbiamo avuto di “migliori” e, comunque, sicuramente c’è tantissimo da fare, c’è ancora moltissimo in cui migliorare, tante cose si potrebbero ancora “inventare”. E quindi: forza e… coraggio, con tanta intelligenza e abbastanza onestà!
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