A Brindisi il principale traguardo terrestre della medievale “via Francigena”: una spiritualità da recuperare

Nella storia della civiltà europea, hanno rivestito un ruolo importantissimo le “vie di fede” lungo le quali per secoli si sono svolti pellegrinaggi di natura religiosa, orientati a raggiungere i principali luoghi emblematici del culto cristiano: Santiago di Compostela, poi -e in primis- Roma e quindi, come meta finale, Gerusalemme.
Questi cammini, sorti e sviluppatisi nel corso dell’epoca medievale, rappresentano tuttora un importantissimo riferimento per la storia religiosa e culturale dell’intero continente europeo, anche in considerazione del grande rilievo che in anni recenti stanno assumendo la cosiddetta mobilità lenta e il turismo spirituale verso i luoghi più sacri del Cristianesimo.
Quelle vie, secondo vari documenti conservatisi, nei secoli del medioevo costituirono dei veri e propri percorsi di pellegrinaggio e di fede. Tra le varie attestazioni di quel vasto fenomeno culturale, la più importante è probabilmente quella del vescovo Sigerico, che nel X secolo descrisse il suo percorso spirituale tra Canterbury e Roma, lungo la “vie Francigene”: la via Francigena, nome dal chiaro riferimento all’origine transalpina dei percorsi e detta anche via Romea, che fu, tra quelle vie di fede, non una strada specifica, ma la somma di tanti percorsi terrestri che giungevano a Roma per poi si dirigersi verso il più conveniente porto d’imbarco alla volta di Gerusalemme, percorrendo la via che si denominò “la via Francigena del Sud”.
E quale fu per secoli -praticamente da sempre- il miglior porto d’imbarco per chi, da Roma voleva raggiungere l’Oriente? Naturalmente e quasi inevitabilmente Brindisi. E Brindisi fu, infatti, anche il principale traguardo terrestre per l’imbarco verso Gerusalemme, fatta la dovuta eccezione degli anni compresi tra i secoli VII e IX in cui, a partire dall’avvento dei Longobardi, Brindisi e il suo porto decaddero, mentre i Bizantini riuscirono a conservare unicamente il porto di Otranto e così, la via da Brindisi a Otranto divenne in maniera circostanziale anche un’arteria viaria per i flussi con l’Oriente.
«…Finalmente, dopo che Durazzo nel 1005 tornò a far parte dei domini dell’impero d’Oriente, l’assetto politico del settore meridionale della costa adriatica italiana e anche il suo entroterra, costituirono territori di vitale importanza strategica, ora che la capitale dell’impero poteva essere facilmente raggiunta via terra dopo la breve traversata da Brindisi a Durazzo. Il porto di Brindisi diventò, come lo era stato per tutta l’antichità, il più importante terminale d’Italia della via Egnazia, che collegava Durazzo con Costantinopoli nonché con l’intero Oriente. La città di Brindisi fu così chiamata a svolgere di nuovo, dopo secoli di anonimato, un ruolo di primo piano in un più vasto panorama politico…» -R. Alaggio: Brindisi nel Medioevo, 2015- Ruolo predominante, quello di Brindisi e del suo porto, destinato a crescere oltremodo nei secoli medievali a venire, con l’avvento dei Normanni, degli Svevi, degli Angioini, e così via.
In quel periodo che fu di grande decadenza e di quasi abbandono di Brindisi, comunque, l’insicurezza regnante in taluni tratti delle vie a sud di Roma conseguente al complesso quadro politico di tutto il Mezzogiorno, l’insufficienza delle strutture ricettive e assistenziali, la faticosità del viaggio a motivo della carente manutenzione delle strade, consigliarono spesso ai pellegrini di optare per la via marittima, seguendo una navigazione costiera di cabotaggio, alternata a brevi segmenti di tracciato terrestre. Cosicché, il porto di Otranto fu in effetti solo di rado utilizzato per l’imbarco verso Gerusalemme.
«…Nel loro pellegrinaggio a Gerusalemme scelsero, oltre Roma, un itinerario per gran parte marittimo, sia il vescovo Arculfo nel 670 circa, sia San Willibaldo tra 723 e 726. Il primo, raggiunta Terracina, usando presumibilmente la via Appia, s’imbarcò in quel porto, cabotando le coste tirreniche sino a raggiungere Messina, da dove salpò per Costantinopoli. Il secondo invece, iniziò la navigazione da Terracina e seguì una rotta costiera che lo fece approdare, nell’ordine, a Napoli, Reggio, Catania e Siracusa, punto marittimo di partenza, quest’ultimo, per la Terrasanta…

…Fu però agli inizi del secondo millennio, con l’avvento dei Normanni e col diffuso rifiorire della spiritualità, che il movimento dei pellegrinaggi ai luoghi santi della Cristianità conobbe un prodigioso sviluppo, con un sempre più frequente uso dell’itinerario terrestre da parte dei pellegrini diretti in Terrasanta… Poi, tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII, con le prime crociate, tutto il sud d’Italia venne investito da una intensa corrente di transiti e il sistema viario imperniato sulla ormai ovunque chiamata “via Francesca” o “via Francigena” si consolidò ulteriormente… Nel 1101, ad esempio, fu il principe Guglielmo che si mosse dalla Francia con il suo esercito crociato, percorse longitudinalmente tutta la penisola italiana e giunse a Brindisi, dove s’imbarcò per Valona…
…Nel XII secolo le fonti documentarie si fanno più ricche di dati riguardo agli itinerari, consentendo di ricostruire con maggiore attendibilità il percorso terrestre a sud di Roma e di rilevare puntualmente l’uso della viabilità medievale sovrappostasi al tracciato della Traiana: L’abate Nikulas, nel 1154, percorse l’itinerario completo della via Francigena, dalle Alpi alla Puglia. Oltre Roma usò il tracciato della via Casilina fino a Capua, poi fu la volta di Benevento e quindi di Siponto. Quindi il suo percorso si snodò lungo il litorale, riallacciandosi così al tracciato della Traiana, via Barletta, Trani, Bisceglie, Molfetta, Giovinazzo, Bari, Monopoli e, finalmente, “Brandeis” -Brindisi-…

…Anche per tutto il Duecento la viabilità terrestre nel Mezzogiorno d’Italia continuò ad avere nell’itinerario della via Francigena da Benevento alla Puglia il suo principale asse di scorrimento e, seguendolo, nel 1227 migliaia di crocesegnati convergerono da tutta l’Europa su Brindisi convocati dall’imperatore Federico II alla sesta crociata. Per quanto però attiene al pellegrinaggio in Terrasanta, anche a motivo del miglioramento della navigazione marittima, sempre più i porti pugliesi subirono la concorrenza delle rotte tirreniche transitanti per lo stretto di Messina e facenti scalo ai porti della Sicilia orientale. Tornò così ad essere preferito, per la sua comodità e celerità, il viaggio interamente via mare e in particolare acquisì grande importanza il porto di Messina, magnificato già nel XII secolo dai geografi arabi…

…Nel corso del XIV secolo, il percorso della via Francigena nell’Italia meridionale cessò di essere uno dei principali gangli del sistema di circolazione legato al pellegrinaggio in Terrasanta. L’ulteriore affinamento delle tecniche legate alla navigazione marittima e l’incontrastato predominio di Venezia nelle rotte dirette in Levante, fecero preferire la Serenissima come punto d’imbarco per coloro che intendevano recarsi in Terrasanta. Addirittura quei pellegrini che univano il pellegrinaggio romano con quello di Gerusalemme, dopo essere stati a Roma sceglievano di risalire la penisola onde imbarcarsi a Venezia…
…Si potrebbe quindi affermare che tra i fattori che determinarono la crisi politica, economica e demografica del Mezzogiorno, iniziata nel Trecento, ci sia anche da annoverare il mutamento intervenuto nelle correnti di transito del pellegrinaggio in Terrasanta. Accentuata dalle ricorrenti calamità -carestie ed epidemie- che segnarono quel secolo, la crisi si riflesse a sua volta, sulle comunicazioni, portando ad una contrazione dell’entità dei traffici portuali e dei transiti lungo gli itinerari terrestri, come quello costituito dal segmento meridionale della via Francigena, spesso evitati questi ultimi anche a motivo dell’aumentata loro pericolosità.
…In una situazione generale dominata da un diffuso malessere sociale e da una serpeggiante inquietudine religiosa, è così comprensibile come il Mezzogiorno angioino nel basso medioevo fu invece interessato da un vero e proprio proliferare di santuari locali, per lo più nelle mani del clero secolare, sui quali si riversarono non a caso le indulgenze papali, che ne favorirono la crescita…» -R. Stoppani: La via Appia Traiana nel Medioevo, 2015-

Della via Francigena si finì così col non parlarne quasi più per qualche secolo: di quel percorso francigeno che, lasciata Roma, tappa fondamentale era Benevento che conservava le reliquie di San Bartolomeo, di San Mercurio, di Sant’Eliano e di numerosi altri martiri e confessori venerati nella chiesa di Santa Sofia. Poi, attraversato Benevento, ci si dirigeva verso il litorale Adriatico seguendo le preesistenti strade consolari romane, o almeno quel che ne rimaneva, come la via Appia, la via Latina e la via Traiana, o Appia Traiana come altri dicono, che fu la più grandiosa opera di ingegneria stradale realizzata dai Romani.
«…Il 27 ottobre dell’anno 113 d.C. l’imperatore Traiano intraprese la sua ultima grande impresa militare diretta verso l’Asia Minore: inizialmente verso l’Armenia dove la situazione politica nei riguardi di Roma stava precipitando e proseguendo quindi sull’Assiria e la Mesopotamia. Giunse con la sua legione a Brindisi, per così imbarcarsi nella missione che era destinata a far raggiungere la massima estensione all’impero, ed in quell’occasione dispose il completamento dei grandi lavori di ricondizionamento della vecchia via Minucia -la futura via Traiana- fino a quel porto di Brindisi, che lui ben riconosceva, essere ancora strategicamente molto importante per Roma e per l’impero…» -G. Perri: Brindisi nel contesto della storia, 2016-

In Puglia, importanti tappe della via Francigena furono il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano e quello di San Nicola a Bari, con i tanti centri minori di pellegrinaggio, come quello di Canosa per le reliquie di San Sabino, quello di Lucera per San Bardo e quello di Lesina per i Santi Primiano e Firmiano. Scendendo poi verso Brindisi, si attraversavano diversi luoghi di riferimento storico e religioso, come la chiesa di Sant’Apollinare in agro di Rutigliano, San Michele in Frangesto in agro di Monopoli, il porto di Egnazia, il sito di Seppannibale tra Monopoli ed Egnazia, San Leonardo di Siponto, eccetera.
A Brindisi, finalmente, vi era il santuario di San Leucio e nel pavimento a mosaico -purtroppo andato perduto- della Cattedrale, vi era una importantissima testimonianza figurativa del XII secolo che attestava la diffusione della leggenda di Roncisvalle in Italia, legata alla ricorrente presenza dei Crociati nella città, nonché a quella permanente dei Templari e di tutti gli altri principali ordini monastici e cavallereschi europei.

Ebbene, memore di tutto ciò, il 1º luglio 2013 la Regione Puglia deliberò l’approvazione del tracciato pugliese della Via Francigena, requisito per l’approvazione del Consiglio d’Europa dell’inserimento ufficiale dello stesso, nel tracciato della Via Francigena europea, che va da Canterbury a Gerusalemme. Il tracciato pugliese, ufficialmente certificato, si snoda attraverso le seguenti diciotto località: Celle San Vito – Troia – Lucera – San Severo – San Marco in Lamis – San Giovanni Rotondo – Monte Sant’Angelo – Manfredonia – Barletta – Bisceglie – Molfetta – Giovinazzo – Bari – Mola – Monopoli – Torre Canne – Torre Santa Sabina e “Brindisi”.

Contemporaneamente, il 27 di giugno, il Touring Club Italiano presentò una bella e suggestiva pubblicazione intitolata “La Via Francigena nel Sud. Un percorso di 700 km da Roma a Brindisi”. Trentadue tappe raccontate in una guida: un itinerario trasversale, tra panorami e storia, tra templi e santuari cristiani.

L’Assemblea generale delle Associazioni Europee della Vie Francigene tenuta a Roma il 19 marzo 2015 si espresse a favore di definire un’unica Via Francigena, da Canterbury fino all’imbarco pugliese per Gerusalemme, con diverse direttrici e sempre nel rispetto della storia e della cultura dei territori attraversati e delle popolazioni locali coinvolte. Quindi, di seguito, il Governing Board del Consiglio d’Europa riunito a Lussemburgo il 28 e 29 di aprile 2015, certificò l’estensione del tratto Sud della Vie Francigene: da Roma a Brindisi.

Finalmente, l’Istituto Europeo degli Itinerari Culturali, lo scorso 14 aprile 2016, ha decretato ufficialmente l’estensione della via Francigena da Canterbury fino a Brindisi: una realtà, che con i suoi 2300 chilometri, è diventata l’itinerario culturale più lungo nel programma degli itinerari del Consiglio d’Europa.

Ebbene, nonostante quelle tante e chiare certificazioni che ho qui sinteticamente indicato, si sono susseguiti negli anni anche paralleli tentativi di riaggiustamenti a favore di vari interessi dettati, più che dall’amore per la riscoperta della storia, dall’amore per i potenziali risvolti economici vantaggiosi che il fenomeno delle vie di fede può arrecare alle città da esso coinvolte. Si è persino giunti a pretendere di poter sostenere l’idea, ed è proprio il caso di dirlo “un po’ pellegrina”, che la medievale rotta terrestre europea da Roma a Gerusalemme giungesse fino a Santa Maria di Leuca, come se quei viaggiatori e quei pellegrini non conoscessero la geografia e, soprattutto, la storia e decidessero pertanto di prolungare il loro percorso in più di un centinaio di chilometri, per poi imbarcarsi… ma da che porto?

In tale contesto c’è però da chiedersi, e con urgenza: che ha fatto in tutti questi anni Brindisi? Cosa hanno fatto gli amministratori locali e cosa i cittadini? Temo che purtroppo, e spero sbagliarmi, non abbiano fatto molto in concreto e credo che, invece, molto si potrebbe e si dovrebbe fare per una grande risorsa culturale che bisognerebbe ben riconsiderare e che, ne sono convinto, gioverebbe tanto alla città intera quanto ai suoi abitanti, sia alla loro spiritualità e sia, di riflesso, alla loro economia. Spero quindi ci sia chi, di dovere o di piacere, ci stia già pensando e ci stia già lavorando o, quanto meno, sia d’accordo nel raccogliere al più presto questo mio accorato invito.

Gianfranco Perri