Premiare le idee per rivitalizzare la città

1. Anche in momenti di difficoltà politica, economica e sociale come quelli che si trova a vivere Brindisi (e non è una novità) bisogna sforzarsi di parlare di cose concrete, confidando di poter dare un contributo, sia pur modesto, affinché le cose cambino in meglio. Qualcuno mi rimprovera di essere poco graffiante in questi miei interventi. Ma lo spirito con cui ho accettato di fare l’opinionista su questo giornale non era quello di prendermi rivincite, magari speculando sulle disgrazie altrui.

E le verità che mi riguardano mi auguro le scrivano altri, prima o poi. Lo sforzo che mi sono ripromesso di compiere è quello di dare suggerimenti, sulla base della mia esperienza amministrativa e professionale. Che poi qualcuno voglia seguirli o metterli correttamente in pratica è tutta un’altra storia. E’ il caso, ad esempio, del recente avviso pubblico emanato dalla Amministrazione Cittadina per la concessione in fitto dei locali di proprietà comunale. Il bando contiene una clausola per la cui adozione mi ero a lungo battuto in passato. Dapprima, ispirando una mozione che fu inutilmente proposta alla Assise Cittadina dal Consigliere Francesco Cannalire durante la scorsa consiliatura. E poi inserita nel programma elettorale della lista di Alleanza per l’Italia, che mi fu chiesto di scrivere (attendo smentite). Intendo riferirmi alla possibilità di esonerare dal pagamento del canone per un certo periodo di tempo quanti sono privi di occupazione e intendono avviare una iniziativa imprenditoriale.

Orbene, sembrerebbe che questo suggerimento sia stato recepito nel bando di cui parliamo. In realtà è cosi solo parzialmente. Da una lettura dell’avviso pubblico, infatti, traspare con chiarezza che una gestione eccessivamente burocratica di quella che rimane una scelta rivoluzionaria rischia di inficiarne all’origine gli effetti positivi. E tanto per una serie di motivi che mi sforzerò di sintetizzare, essendovi tutto il tempo per porvi rimedio. Cominciamo dai locali posti in fitto. Si tratta sempre dei soliti spazi, più volte in passato messi a bando con esiti negativi. Mi sarei aspettato che il tempo trascorso ad attendere il completamento del censimento dei beni immobili del Comune avesse prodotto un maggiore sforzo di fantasia. Perché non inserire tra i locali di cui si offre il fitto gli spazi che furono creati con i fondi comunitari nell’ex Convento degli Scolopi (più noto come Scuole Pie) o nell’ex Convento delle Clarisse, fino a qualche tempo addietro dato in comodato gratuito ad una Associazione romana?

E perché non anche il foyer del Teatro Verdi, le vasche limarie, il Bastione Carlo V o quello Arruinado? O, ancora, l’ex Teatro Di Giulio, visto la fine ingloriosa della proposta fatta dalla vecchia Amministrazione, con conseguente perdita dei finanziamenti già erogati, di proporre un mutamento delle destinazione pensata quando ne fu disposto l’acquisto, cercando di trasformare quello che era e doveva rimanere un contenitore culturale in un improbabile parcheggio? Perché ipotizzare il solito utilizzo per attività commerciali di cui non si avverte il bisogno di aumentare l’offerta già presente in città (bar, pizzerie, ristoranti) e non aprirsi a prospettive diverse (librerie, mediateche, spazi per il coworking)? Del resto, aver basato il criterio di scelta del contraente unicamente sul quantum offerto a titolo di canone riflette l’assenza di una idea di città (l’espressione non è mia!) che si vuole perseguire e promuovere. Lo stesso esonero dal pagamento del fitto per i primi tre anni, previsto solo per gli under 35, rivela una scarsa conoscenza della composizione della platea di quanti sono privi di occupazione e magari intenderebbero avviare una attività imprenditoriale piuttosto che aspettarsi sussidi dalla collettività.

Se poi si accompagna questa previsione all’obbligo di prestare comunque una fidejussione (bancaria? Assicurativa?) a garanzia della prosecuzione del rapporto per il restante periodo di vigenza contrattuale si mostra chiaramente di non comprendere quanto sia improbabile che una persona priva di quella che gli esperti chiamano “capacità di restituzione” possa procurarsi garanzie reali di quel tipo. Meglio sarebbe stato adottare come criterio di scelta il “miglior progetto”, le “migliori proposte di riutilizzo” dei locali posti a disposizione, premiando le idee capaci di rivitalizzare e rendere più attrattivi i quartieri in cui gli stessi sono collocati, a cominciare dal centro cittadino di cui, a parole, si proclama la volontà di rilancio, arrivando a deprecare il comportamento di quei privati che chiedono un canone eccessivo per l’utilizzo dei locali di cui detengono la proprietà!

2. Ancora, ai proponenti il miglior progetto andrebbe garantita da subito la “disponibilità” del locale, senza dover obbligatoriamente sottoscrivere il relativo contratto di fitto. Ciò consentirebbe agli interessati di poter concorre all’accesso ai benefici previsti da diverse misure legislative a favore di quanti intendono avviare nuove iniziative imprenditoriali. E’ il caso, ad esempio, delle misure previste dal Decreto Legislativo 185/2000 per quanti vogliono intraprendere una nuova attività nel comparto del commercio, dell’artigianato e dei servizi (lavoro autonomo, microimpresa, franchising) e sono privi di occupazione al momento della presentazione della domanda. Analoga disponibilità è necessaria per attingere alle ingenti risorse stanziate dalla Regione Puglia per il cosiddetto “microcredito”, recentemente rifinanziato con l’ampliamento dei settori agevolabili.

3. Si può ancora porre rimedio a queste lacune? Si, se si ha l’umiltà di ascoltare e la pazienza di aprirsi al confronto. Anche a questo serve un giornale che vuole fare non solo opinione ma anche informazione.

Giovanni Antonino