“ZAAPATOS ROJAS” (scarpette rosse): l’idea di esporre pubblicamente delle scarpe femminili di colore scarlatto nacque in Messico, a CIUDAD JUAREZ. Una cittadina di frontiera nel nord del Paese centroamericano, dove centinaia di donne vengono stuprate da gang criminali.
Molte finiscono poi assassinate, sotto l’indifferenza di polizia e governo locale e federale, nonostante ciò avvenga con uno stesso rituale che comprende tortura, violenza sessuale, mutilazioni e strangolamento.
Sembrerebbero riti estranei alla nostra civiltà. E invece, specie negli ultimi tempi, anche in Italia sono emersi casi di violenza contro le donne con metodi sempre più efferati. Incredibilmente a portare alla ribalta questo fenomeno non sono state inchieste giornalistiche svolte da noti opinionisti ma trasmissioni come “Chi lo ha visto” o “Quarto Grado”, solitamente snobbate dagli intellettuali di casa nostra. E anche le piazze d’Italia hanno preso a colorarsi di rosso. Le iniziative contro quella che viene definita la violenza di genere oramai si susseguono. Anche l’Assessore al welfare della Regione Puglia ha avviato una serie di incontri conoscitivi (uno di questi si è svolto a Brindisi qualche giorno fa) per mettere a punto un sistema coordinato di norme regionali. Per un Paese in cui, fino a qualche decennio fa, la violenza sulle donne veniva considerata un delitto contro l’onore e non contro la persona, il salto di qualità è senz’altro notevole.
Continua, però, a perpetuarsi l’equivoco di considerare atti di violenza solo quelli a sfondo sessuale. Delle sopraffazioni che le donne patiscono in famiglia e, ancora di più, sui luoghi di lavoro, nessuno parla abbastanza. Salvo quando esplodono casi limite, come quello della segretaria dell’Assessore alla cultura della Regione Abruzzo che, con un contratto privato, si era impegnata a garantire al suo “capo” almeno quattro rapporti sessuali completi al mese! Del resto, i casi di donne che denunciano si contano sulle dita di una mano sola. E quando hanno il coraggio di farlo quasi mai incontrano la solidarietà dei loro colleghi di lavoro e la tutela delle organizzazioni sindacali. Con in più il rischio di farsi la fama di attacca brighe e pregiudicarsi ogni nuova opportunità.
Nella mia pagina facebook ricevo tanti messaggi di donne vittime di soprusi. Di solito si sfogano ma mi pregano di non fare menzione delle loro vicende. Tengono troppo alla loro tranquillità e preferiscono sopportare piuttosto che rischiare di peggio. Non è questo il caso di Marina SCIACOVELLI. Una vita dietro il banco di un supermercato, sempre con lo stesso datore di lavoro. Mai uno screzio o una lamentela. Il viso di una donna che sa prendere la vita dal verso giusto. Con il sorriso pronto, anche di fronte alle avversità. Poi il mutamento improvviso. Un cambio di proprietà. Lo spirito di collaborazione che lascia il passo all’approccio padronale, di tipo ottocentesco. La convinzione di poter chiedere tutto ai propri dipendenti.. Le minacce, le botte, il licenziamento al primo cenno di ribellione. E l’amara scoperta di ritrovarsi sola.
Sola di fronte alle lungaggini della giustizia civile. Sola anche rispetto ai propri colleghi di lavoro, interessati a salvare il loro presente. Anche questo è un effetto della lunga crisi che stiamo vivendo, che comprime i diritti, elimina conquiste che si ritenevano intangibili, ti priva di ogni prospettiva. La lunga attesa del sussidio di disoccupazione, che non prevede scorciatoie per quanti sono stati vittime di una ingiustizia. La depressione che ti assale insieme alla voglia di gridare forte il dolore per l’ingiustizia patita. La voglia di un megafono per farsi sentire. Spero di riuscire a svolgere almeno questo ruolo nella mia breve esperienza di blogger. Dare voce a quanti hanno ancora il coraggio di ribellarsi, non fosse altro che per restituirgli un po’ di serenità in vista del Natale.
Mi auguro che nel quadro normativo che si va delineando per affrontare la violenza di genere si tenga conto anche di queste situazioni, più diffuse di quanto si possa credere nell’Italia del terzo millennio, speso abbarbicata a totem che riguardano un numero limitato di persone (basti pensare alle tante battaglie a difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori) e così distante dai tanti drammi individuali, che spesso sfociano in tragedia. Coraggio Marina. Hai fatto la scelta giusta a ribellarti alla violenza e a denunciare i soprusi. Perché la dignità non ha prezzo ed è un bene che non è ancora in vendita. Per fortuna.
Giovanni Antonino