Quando le colombaie erano in campagna

di GIOVANNI MEMBOLA

Le torri colombaie erano delle particolari strutture realizzate appositamente per ospitare ed allevare al loro interno anche più di mille coppie di colombi, utili a garantire una importante fonte economica per tante famiglie di contadini, rappresentando talvolta l’espressione della condizione sociale e del potere dei grandi proprietari terrieri. Uno dei primi documenti che testimoniano la presenza di edifici per far nidificare i piccioni è il trattato di falconeria dell’imperatore Federico II “Sull’arte di cacciare con gli uccelli” (XIII secolo), dove compare la miniatura di una torre colombaia a base circolare. Complementari alla masserie, questi pregevoli manufatti di edilizia rurale, oggi quasi del tutto scomparse, hanno caratterizzano visivamente le bellezze architettoniche del paesaggio agricolo salentino.

S’innalzavano maestose, per vanto e per orgoglio dei padroni, non lontano dal fabbricato principale, quasi sempre più alte del necessario e decorate da merlature sulla sommità in modo da conferire l’aspetto di una piccola fortezza al pari di una torre di difesa. Nell’agro di Brindisi ne restano solo pochi esempi tutte a pianta quadrangolare, edifici che spiccavano tra le pertinenze aziendali nel quale si integravano perfettamente, come a Masseria Specchia dove la torre è ancora il fulcro dell’insieme dei fabbricati, o quella di Masseria Mascava a dominare la corte principale.

Caratterizzate dai fori d’ingresso dei colombi, consentivano l’allevamento dei volatili in cellette di circa 20 per 20 cm per 30-40 cm di profondità appositamente ricavate nello spessore delle mura interne. In passato la carne di colombo era un alimento molto apprezzato e ricercato nella nutrizione umana in quanto ricco di proteine. Si faceva mangiare ai bambini, agli ammalati e agli anziani, inoltre il brodo di colombo era solitamente la primo piatto che veniva somministrato alle donne dopo il parto. Considerata “carne reale” dai nobili e dalle classi sociali medio alte, veniva servita nelle grandi occasioni e per le cerimonie ufficiali. La torre colombaia era organizzata in modo da raccogliere con facilità anche gli escrementi prodotti dai piccioni per utilizzarli come fertilizzante naturale del terreno in quanto ricco di colombina, un ottimo concime a base di azoto impiegato perfino nella concia delle pelli. Se si considera la frequenza di riproduzione di questi uccelli, anche sei volte l’anno da marzo a settembre, è facile immaginare l’importanza del loro allevamento nell’economia aziendale. Quasi tutte le masserie e le case rurali possedevano una colombaia anche di tipo minimale, con le nicchie ricavate lungo la facciata degli edifici o in corrispondenza dei ricoveri degli animali, come testimoniano i ruderi delle masserie Baroni Vecchi e Marrazza. Verso la fine dell’800 la masseria Mitrano era famosa per i tanti piccioni selvatici che qui si trovavano, al proprietario Antonio Tarantini furono dedicati i versi del il più illustre tra i poeti dialettali, don Agostino Chimienti: ”E ttu ‘Ntoniu Tarantini, cce llu sa ca stau malatu? Cu mmi mandi li palumbi ti si propria mmurtalatu”. Particolarmente elegante la colombaia di Masseria Pignicedda realizzata nello stesso stile neogotico degli edifici principali, ormai tutti in rovina. Continua ad essere frequentata dai volatili, non in allevamento, la torre integrata nei fabbricati (fatiscenti) della masseria Pignaflores. Con la modifica delle abitudini alimentari, la mancanza di interesse economico e produttivo e l’abbandono delle aziende e delle attività agricole, anche le torri colombaie si sono inesorabilmente svuotate, un patrimonio architettonico che rimane così esposto ai processi di degrado rischiando di scomparire nell’indifferenza senza lasciare il segno del suo prestigio.

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