Le uova della regina Elena

di Giancarlo Sacrestano

Il Regno del Sud, nato il 10 settembre del 1943, di cui Brindisi era la capitale, era formato da quattro province pugliesi: Brindisi, Bari, Lecce e Taranto. Erano gli unici territori concessi dagli Alleati all’amministrazione italiana. Le sole ufficialmente non occupate. Vi risiedevano due milioni di abitanti, una quota minima di un Impero già crollato da anni. Due milioni di persone ignare di tutto quanto stava accadendo intorno.

Al loro arrivo, il re, la regina, il principe ereditario, il presidente del consiglio, parte del governo ed una sequela di almeno 57 generali si erano sistemati alla meglio, da Roma erano partiti, alla svelta, portando soltanto gli abiti che avevano addosso e poche valige. Ma non erano alla fame. Badoglio, per esempio, poco prima di partire da Roma, aveva fatto accreditare la somma di 162 milioni di lire presso la filiale della Banca d’Italia di Bari: una precauzione non proprio inutile.

La stanchezza e i disagi avevano reso strane le sembianze degli importantissimi personaggi venuti da Roma, della cui immagine potente non rimaneva che l’ombra sfatta ed impaurita. Altrettanto strane erano pure le facce increduli dei militari presenti nel picchetto approntato per la rivista del re, che mai si sarebbero sognati di dover svolgere un così onorevole compito. Nessuno però visse la commozione del momento. Tutti erano, per ragioni diverse, inappropriati e storditi.
Vittorio Emanuele III indossava una divisa un po’ troppo larga per la sua corporatura decisamente piccola: sudava, avanzava col passo incerto di un uomo di settantaquattro anni. La Regina Elena era in veli neri. Il Principe Umberto aveva un aspetto disfatto. Soltanto Badoglio esibiva un sorriso che gli spianava la faccia. Sembrava addirittura felice. Gli altri, e in particolare i cinquantasette generali, con ogni probabilità avevano un po’ di vergogna: non avrebbero voluto trovarsi lì.
Giunto nell’ammiragliato presso la residenza del comandante la piazza di Brindisi, l’ammiraglio Luigi Rubartelli, Vittorio Emanuele, dopo aver baciò la mano alla consorte dell’ammiraglio, chiese se poteva avere una tazza di caffè. Quando gliela porsero, la rovesciò sul tappeto. Sorrise mesto. E disse: “Vedete? Ricomincio a fare guai”.
Umberto cercava un cavastivali, da circa settanta ore non era riuscito a togliersi i bellissimi stivaloni di pelle rigida, i piedi erano indolenziti in modo insopportabile. Chi potè, fece un rapido bagno ristoratore, o una doccia rapidissima.
Nelle ore immediatamente successive ognuno degli ospiti inattesi della città ercò di rifare, nel piccolo capoluogo messapico, una copia in scala ridotta del Governo e della Corte di Roma capitale.
L’Ammiragliato divenne un nuovo, striminzito Quirinale. I coniugi Rubartelli cedettero ai Sovrani l’intero piano e si ritirarono al piano sottostante. Di guardia, i cadetti delle navi-scuola “Colombo”, “Palinuro” e “Vespucci” che giunsero a Brindisi già nella giornata del 13 settembre da Venezia e da Pola. Pietro Badoglio, Acquarone e Sandalli si sistemarono nella casermetta dei sommergibilisti. De Courten preferì essere alloggiato a bordo dell’incrociatore da battaglia “Scipione l’Africano”.
In seguito Badoglio trovò una splendida villa presso l’aeroporto e decise di installarvisi. A settantatre anni aveva pure bisogno di qualche comodità. Per i cinquantasette generali, invece, vennero requisiti gli alberghi cittadini “Internazionale” e “Moderno”. Ma subito dopo giunsero gli Alleati e li fecero sloggiare dalla mattina alla sera, costringendoli a trovare alloggio presso le case di alcune famiglie brindisine.
La sera del 10 settembre cenarono tutti insieme. Cucinò il cuoco dell’Ammiraglio, Tommaso; e servì in tavola la governante Lena. Una cena abbastanza frugale. Nessuno pronunciava una parola. Tutti silenziosi con le teste chine e con gli occhi smarriti.
Il giorno seguente il Re si levò molto presto, alle 5,30. Ormai dormiva poco, come tutte le persone anziane. Oltre tutto, c’era un unico bagno ed era necessario fare i turni, gli ospiti si presentavano con l’asciugamano e lo spazzolino da denti. Vittorio Emanuele cavallerescamente cedeva il posto alla cameriera della Regina, dicendo: “Madame, s’il vous plait … “, perché i Savoia parlavano quasi esclusivamente in francese. Quel giorno stesso Vittorio Emanuele convocò il suo aiutante, il generale Puntoni e insieme con lui scese per la consueta passeggiata mattutina, com’era solito fare nei giardini romani di Villa Ada. Riprendeva, nella nuova capitale, la sua abituale routine: al mattino la posta, i giornali, gli incontri con gli Alleati; a mezzogiorno la colazione, poi riposo fino a circa le quattro; in seguito, sedute con Badoglio e con Acquarone e scambio di informazioni sulla situazione presente e sui progetti futuri; alle 20 la cena; alle 21,30 a letto.
Umberto, che andava in giro per ispezionare il microscopico Regno su una vecchia Lancia dalle gomme lise, faceva ritorno con le scatolette americane di “corned beef” e le regalava alla madre.
La città di Brindisi reagiva con curiosità alla presenza di tante personalità capitate all’improvviso. Molte persone si affollavano nelle vicinanze dell’Ammiragliato per vedere il Re, la Regina, Badoglio, fino a quel momento conosciuti soltanto attraverso le fotografie. Il sindaco, il prefetto e persino il provveditore agli studi erano corsi a rendere omaggio al “Governo”: che in realtà non esisteva, perché il Maresciallo d’Italia Badoglio aveva abbandonato a Roma tutti i ministri, senza nemmeno far sapere dove si sarebbe diretto. A parte questo, Brindisi non venne sconvolta più di tanto dall’arrivo dei Savoia e del governo. I ristoranti erano aperti. E così le mense popolari continuavano a lavorare, i cinema a restare attivi, i tram a circolare. Di tanto in tanto transitavano automobili civili a carbonella. E alla sera la gente passeggiava per le vie, a prendere il fresco prima di mettersi a cena.
Badoglio aveva chiamato da Taranto il prefetto di quella città, Innocenti, un funzionario che egli conosceva bene e che stimava, di grandi capacità organizzativa. Innocenti raggiunse Brindisi, si sistemò nel palazzo della Provincia: fu lui, con una decina di impiegati fedeli, a mettere in piedi un minimo di intelaiatura burocratica. Al Castello Svevo si installarono lo Stato Maggiore e il Comando Supremo, in altre parole gli uffici e lo staff di Badoglio, di Ambrosio e di Roatta, perché non si vede come si potessero definire Stato Maggiore e Comando Supremo pochi ufficiali senza alcuna autorità e soprattutto senza disponibilità di truppe.
Nel piccolo Quirinale, le giornate di quell’inizio autunno pieno di sole erano lunghissime e tristi.
La Regina lavorava di cucito con una sartina locale, oppure ricamava; la sera ritagliava figurine per il figlio dell’ammiraglio Rubartelli, o faceva solitari con le carte: ne conosceva una cinquantina. Umberto era quasi sempre assente. La signora Rubartelli si sentiva in imbarazzo, non sapeva proprio come ci si doveva comportare sedendo a tavola con un Re e con una Regina, ascoltando la radio accanto a loro. In un paio di settimane la povera donna aveva perduto sei chili per lo stress. 
Chi più chi meno, intanto, un po’ tutti si erano rimpannucciati: la sera stessa del loro arrivo avevano fatto riaprire l’Unione Militare e si erano provveduto di camicie, fazzoletti, biancheria, qualche giubba kaki. Il Maresciallo Badoglio, che in tasca non aveva uno spicciolo, aveva firmato una cambiale di diecimila lire. Poi aveva mandato a prelevare un milione di lire alla filiale della Banca d’Italia per le prime esigenze amministrative.
Il 13 settembre, arrivò a Brindisi la Missione Alleata incaricata di tenere i contatti con il “Governo” Badoglio: ciò significava, in parole semplici, dargli ordini. Era composta dal generale Mac Farlane e dai consiglieri politici Mac Millan, inglese, e Murphy, americano. C’era anche il generale Taylor, che avrebbe dovuto scendere su Roma l’8 settembre con i suoi paracadutisti, ma ne era stato impedito da Badoglio e da Carboni, sicché la sua stima per i generali italiani aveva subito un durissimo colpo.
Quando i componenti la Commissione scesero dalle jeep, si formò attorno a loro un assembramento di curiosi: non tanto, o non solo, per la novità di quei personaggi, quanto perché la gente non aveva mai avuto occasione di vedere quelle strane vetture militari, e correva ad ammirarle.
I membri della Missione Alleata erano divisi fra di loro: rude fino alla villania Mac Farlane, soprattutto con il vecchio Re, che pure lo ricevette con grande cortesia, rivolgendosi a lui in un inglese perfetto: signorile, ma anche un poco snob, Mac Millan; cordiale e franco Murphy, il quale alla fine del colloquio chiese al Re se potesse fare qualche cosa per lui. E si sentì rispondere: “Le sarei grato se mi potesse procurare una dozzina di uova fresche, alla Regina piacciono tanto e non riusciamo a trovarne”. Ma, con ogni probabilità, si tratta di una battuta inventata. L’aneddotica sulla “Corte” savoiarda a Brindisi, ha fin troppo offeso la realtà storica, e non soltanto a Brindisi.

La tredicesima puntata, domenica 3 novembre 2013