Brindisi, autunno ’43: da Capitale di pochi a porta di libertà

di Giancarlo Sacrestano

Biala Podlaska è una città di circa 60mila abitanti della Polonia orientale. A pochi chilometri più ad est si trova l’incrocio di confine tra la nazione polacca, territorio di confine della Unione Europea, la Bielorussia e l’Ucraina. In questi giorni di settanta anni fa, mentre a Brindisi si piantava il seme della democrazia e del futuro assetto internazionale della nazione italiana, a Biala Podlaska giungevano, nel campo di concentramento, che anche in quella città, come in tantissime altre della Polonia, avevano allestito le truppe di occupazione tedesche, migliaia di soldati dell’esercito italiano che, dopo l’armistizio, erano stati dichiarati traditori dagli ex alleati tedeschi.

Dopo lunghissime marce di trasferimento a piedi o trasportate nei carri merci, oltre 700.000 soldati italiani furono internati senza però essere riconosciuti prigionieri di guerra. Rastrellati sui vari fronti di guerra su cui sino all’8 settembre avevano combattuto al fianco dell’alleato tedesco, i soldati italiani appartenenti alle 56 divisioni che erano in battaglia al fianco degli alleati tedeschi, erano rimasti senza ordini dei comandi nazionali che nel frattempo erano scappati da Roma per rifugiarsi parte a Brindisi, parte dissolvendosi tra la popolazione civile. Il risultato di quello stato di confusione fu che un vero e proprio esercito di 700.000 soldati, ma forse il numero è approssimato per difetto, fu internato nelle decine di campi di concentramento suddivi in “Dulag”, (campi di transito), “Oflag” (campi per ufficiali), “Stalag” (campi per militari, “Ilag” (campi per civili), Marlag” (campi per marinai).

Un numero ancora imprecisato e forse non più definibile, ma che si aggira attorno a 80.000, rappresenta i morti per causa di internamento. Non un elenco sterile di date o di nomi, ma storie di dolore e di resistenza. Storie di amore e di passione per una bandiera, una nazione ed un ideale di libertà che in quei campi poteva fare la differenza tra la vita e la morte. A tutti gli internati, i tedeschi offrirono la liberazione in cambio della adesione alla neonata Repubblica Sociale che Mussolini stava istituendo, in quei giorni di novembre del 1943, n Italia settentrionale, per continuare la guerra al fianco di Hitler.

Questo era il testo che era sottoposto al soldato italiano: “DICHIARAZIONE D’IMPEGNO! Aderisco all’idea repubblicana dell’Italia repubblicana fascista e mi dichiaro volontariamente pronto a combattere con le armi nel costituendo nuovo Esercito italiano del Duce, senza riserve, anche sotto il Comando Supremo tedesco, contro il comune nemico dell’Italia repubblicana fascista del Duce e del Grande Reich Germanico. Firma. Data”.

Il 95% dei soldati italiani internati, oppose un un rifiuto categorico. Mai nessuno ha inteso riconoscere ufficialmente a quei ragazzi la dignità di resistenti sentinelle della libertà. Quelli che sono tornati dai campi disseminati in Germania e Polonia, sono rimasti intrappolati in una vita vissuta in un dolore che non ha trovato conforto. Lo Stato, l’istituzione principe a cui tutti guardiamo con rispetto, non ha fatto nulla per quei soldati. Il riconoscimento del loro status di prigionieri di guerra è stato difficile e non per tutti. Un accordo tra Hitler e Mussolini non consentiva il ricorso della Croce Rossa Internazionale in favore di quegli internati che erano invece catalogati sotto la voce “disertori”. Solo dopo la dichiarazione di guerra alla Germania, datata 13 ottobre 1943 che il Presidente del Consiglio Pietro Badoglio firmò da Brindisi Capitale del Regno, si potè cancellare l’accordo tra i due dittatori, ma già i soldati italiani erano incolonnati e caricati sui carri bestiame per essere condotti nei campi di concentramento. Nessuna assistenza internazionale fu permessa a loro sostegno.

A Biala Podlaska era in funzione un campo, lo Stalag 366Z, dove furono “ospitati” migliaia di ufficiali e sottufficiali italiani. Data la sua estrema lontananza dall’Italia, e la pressante vessazione psicologica tedesca, – più ad est solo le desolanti distese dell’Unione Sovietica – è l’unico campo dove si registrò il 95% di adesioni alla Repubblica Sociale di Mussolini. Tra le testimonianze voglio citare quella di Cito solo l’esempio eroico di quei soldati che divisero in pezzi la loro bandiera per evitare di consegnarla ai tedeschi e per nasconderla meglio. Erano 37 ragazzi, di cinque di loro si sono perse le tracce, ma la bandiera è stata ricomposta al rientro in Italia dei restanti 35. Dalla testimonianza di Odoardo Ascari si apprende come il campo fosse denominato “Graziani” e che sventolasse la bandiera fascista. A capo degli italiani un tenente colonnello degli alpini che convinse i suoi commilitoni affermando “Firmiamo tutti, torniamo in Italia, e poi si vedrà”. Ne convinse 2455 su 2600. Quelli che invece si ostinarono a non firmare la dichiarazione in favore di Mussolini e del suo alleato Hitler, dovettero subirè la prigionia “volontaria” sino alla liberazione avvenuta nella primavera del 1945. Dai ricordi di Gabriele Piccerella di San Marco in Lamis in Puglia, che al tempo era un ragazzo di 22 anni, trascrivo: “Il campo di concentramento di Biala Podlaska fu il punto di arrivo. Era una cittadina della parte più ad est della Polonia, non molto distante dal confine con l’Unione Sovietica, sulla linea ferroviaria Varsavia-Brest-Litovsk-Minsk-Mosca. Il lager era immenso, diviso in settori secondo la nazionalità degli internati.

Le baracche erano divise in tre scomparti. A noi toccò quello di sinistra e per darvi una distinzione, in quella infinita baraccopoli, chiamammo la baracca “Trieste” e la camerata “Armonia”, augurandoci un clima simile, come fu. In tempo di disgrazia si è più uniti e più buoni, e così sia i “polentoni” che i “terroni” ci sentimmo solo degli italiani sfortunati”. A Biala Podlaska, nel 1972 venne scoperta una lapide che troneggia il piccolo cimitero militare italiano.

In essa si legge in lingua italiana e replicata in lingua polacca: “ QUI ETERNAMENTE RIPOSANO I SOLDATI DELL’ESERCITO ITALIANO UCCISI DAGLI HITLERIANI NELLA BATTAGLIA PER LA LIBERTA’ DEI POPOLI”. Gli amici di Biala Podlaska già 41 anni fa riconoscevano dignità di eroi a quei ragazzi italiani “mai divenuti nostri padri”. Nel giorno della commemorazione dei defunti una amica di Senza Colonne news, Wanda Lipka, cittadina polacca e residente a Biala Podlaska, con cui ho avuto il piacere di scrivere ben 5 articoli dedicati al “femminicidio” si è recata presso il cimitero italiano ed ha voluto porgere in ricordo delle oltre 200 sepolture presenti, per la stragrande maggioranza anonime, un omaggio floreale volendolo dedicare “agli italiani”.

Il gesto delicato di quelle rose che profumano di libertà, giungono sino a noi quale avvertimento per un dovere a cui ci siamo sottratti per troppo tempo. Dobbiamo rispettare la nostra memoria e chi l’ha costruita. Ricordare, celebrare, omaggiare e non solo nel giorno della commemorazione chi, col sacrificio estremo della vita, ha contribuito a costruire questa nostra libertà, ci permette di capire meglio il nostro progetto di sviluppo e di attenzione agli altri. Dalla Polonia, con amore, ci giunge il messaggio di una nazione che conserva nelle sue ragioni fondative l’Italia e le sue persone. Unico caso al mondo, l’Italia e la Polonia cantano i loro inni con le stesse parole, inneggiano alla medesima libertà.

Da Brindisi partivano i voli “no stop” dei bombardieri del 301° gruppo polacco che soccorrevano gli insorti di Varsavia. Brindisi, Capitale del piccolo Regno di quello che era restato dell’Italia, diventava “porta di libertà per tutti” anche per gli amici polacchi che qui e a Taranto sbarcavano nell’inverno del ’43 con il loro II Corpo d’Armata per liberare l’Italia dalla occupazione nazista. Biala Podlaska, apparentemente così lontana, è invece vicina e forte come il profumo delle rose che il 2 novembre 2013 sono state adagiate dinanzi alla sepoltura militare italiana.