Brindisi Capitale, il re scende a terra. La città pronta a proteggerlo

di GIANCARLO SACRESTANO

 “Dio sia lodato: è proprio lui, Gigione” e così dicendo l’ammiraglio Raffaele De Courten, ministro della Marina, sorrise. Fu quello il suo primo sorriso da quando egli si era imbarcato sulla Baionetta, la piccola, veloce corvetta che prima tra tante unità, aveva risposto all’appello di Supermarina ed era tempestivamente giunta ad Ortona per imbarcare i Sovrani, il Principe Ereditario, il maresciallo Badoglio, i generali Ambrosio, Roatta, Sandalli, Puntoni e numerosi altri ufficiali superiori.

Dal momento del suo imbarco (verso le ore 10 di sera di quel fatale 9 settembre 1943) fino all’arrivo a Brindisi (fino, cioè, alle ore 14,30 del giorno successivo), l’ammiraglio De Courten era rimasto in plancia, assieme con il comandante della nave, tenente di vascello Piero Pedemonte. Non aveva voluto neppure sdraiarsi per qualche ora in aperta, come invece avevano fatto i Sovrani. Ma era rimasto vicino al timoniere, pronto a dare ordini, a suggerire la rotta. Ad un certo momento era parso che il viaggio si trasformasse in una catastrofe.

Due “Junker” in cielo

Era stato verso le undici del mattino, quando due “Junker 88” individuata la corvetta, avevano cominciato a volteggiarle intorno, come se stessero per muovere all’attacco. Poi i due aerei si erano allontanati. L’ammiraglio aveva tirato un respiro di sollievo. Egli sapeva che la responsabilità di quell’eccezionale trasferimento era interamente nelle sue mani. Era stato lui, assieme con Badoglio a consigliare quel viaggio per mare; era stato lui a suggerire come meta Brindisi che sembrava ancora essere in nostra salde mani. Ma era poi vero che la città era ancora italiana? Era poi vero che il porto non era presidiato da truppe germaniche?
La radio di bordo dava come occupati dai tedeschi tutti i porti, Ma quelle erano notizie esatte o erano invece di proposito gonfiate e falsate? Ora però la corvetta era davanti a Brindisi. Bisognava decidere: tentare uno sbarco oppure no? L’ammiraglio aveva ordinato all’incrociatore Scipione l’Africano (giunto incontro alla Baionetta all’altezza di Vieste, nel Gargano) di avvicinarsi all’avamporto di Brindisi fino al massimo suggerito dalla prudenza per osservare se dall’alto del castello avevo, che domina 1a cittadella, sventolasse o no il tricolore. Contemporaneamente l’ammiraglio aveva mandato attraverso la radio di bordo un messaggio non cifrato (alleati e tedeschi avevano a più riprese mostrato ormai di conoscere i nostri cifrari all’ammiraglio di squadra Luigi Rubartelli, comandante la piazzaforte di Brindisi. Nel telegramma, volutamente non molto chiaro, il ministro della Marina ordinava all’ammiraglio di andare incontro alla corvetta con un motoscafo, verso l’avamporto, non specificando i motivi di quell’appuntamento tutt’altro che usuale. Rubartelli (De Courten lo ricordava benissimo) era non solo un ufficiale intelligente ed energico ma anche assolutamente devoto alla Monarchia. Inoltre aveva un aspetto imponente. Alto, massiccio era soprannominato in Marina Gigione.

Un appuntamento singolare

Il messaggio giunse all’Ammiragliato. Rubartelli si stupì non poco ricevendolo, soprattutto a causa di quell’ordine, in realtà singolare: un ministro della Marina non dà appuntamenti in alto mare, fuori del porto. Se De Courten però lo aveva fatto, voleva dire che aveva le sue buone ragioni. D’altronde quelle erano giornate nelle quali l’imprevisto sembrava una normalità in ritardo. Così l’Ammiraglio rispose assicurando di aver ben compreso gli ordini: sarebbe andato incontro alla Baionetta.
Intanto la corvetta era giunta nelle acque di Brindisi. E subito era stata inquadrata dalle artiglierie costiere. A bordo ci fu un attimo di smarrimento. Perché dalle postazioni si cominciava a brandeggiare le lunghe bocche da fuoco, i grossi 381. Perché si seguiva il piccolo scafo, nella splendente luce dell’ora (erano le 14,30 circa) come se si dovesse, da un momento all’altro, colarlo a picco?
L’ammiraglio De Courten  (che aveva con il binocolo seguito l’inconsueta esercitazione) pensò, per un momento che anche Brindisi fosse caduta in mano tedesca; che il telegramma di risposta giunto poco prima a firma dell’ammiraglio Rubartelli fosse falso. E fu solo quando vide un motoscafo avvicinarsi alla Baionetta, fu solo quando scorse l’alta solenne, inconfondibile figura di Gigione Rubartelli che comprese come tutto si fosse svolto nel migliore dei modi.
Dall’alto del barcarizzo il ministro della Marina salutò con una mano l’ammiraglio Rubartelli, appena il motoscafo accostò, salì rapidamente la scaletta, salutò a sua volta – come il regolamento prescrive – prima la bandiera che sventolava sul pennone, poi il ministro della Marina. Avrebbe voluto aggiungere una scherzosa frase, ma De Courten gli disse precipitosamente: “Sua Maestà ti vuole parlare”.
Rubartelli girò lo sguardo. “Vidi allora – ci ha raccontato l’ammiraglio rievocando con noi quelle drammatiche giornate – schierati a poppa, come se dovessero posare per una foto. Badoglio, Roatta, Ambrosio, Puntoni, Sandalli… Al centro in divisa, era il Re. Dietro a lui il Principe Ereditario. Mi avvicinai e mi irrigidii sull’attenti. Il Sovrano rispose al mio saluto e subito cominciò a domandare: “Ci sono tedeschi a Brindisi? , “No, Maestà” – risposi – Gli ultimi reparti germanici hanno lasciato la città la scorsa notte. “Allora sono già arrivate 1e avanguardie alleate?”, tornò a domandare il Re.
“Non ho ancora visto un solo inglese, un american”, risposi. Il Re parve voler aggiungere qualche altra domanda ma si trattenne Ci fu una lunga pausa. Io ne approfittai per guardare gli altri personaggi che stavano davanti a me, tutti inspiegabilmente in borghese. Confesso, anzi, che sulle prime stentai non poco a riconoscerli. Erano pallidi, stanchi, sfiniti. Con la coda dell’occhio sbirciai sulla destra. E fu allora che scorsi, sola, vestita di nero, la Regina. Accennai ad un inchino. Ma il Re tornò a parlare: “C’é possibilità di difendere la città da un eventua1e attacco tedesco?”. Rassicurai il Sovrano e gli illustrai tutte le misure che erano state da me prese perché Brindisi potesse respingere qualsiasi attacco.
La città aveva sempre avuto un efficiente schieramento difensivo che però fino all’8 settembre era stato mantenuto in funzione anti inglese. L’armistizio aveva suggerito di rovesciare il fronte. L’ammiraglio Rubartelli, presi tempestivi accordi con il generale Lerici comandante il 51 Corpo d’Armata, aveva potuto mostrare ai cinquecento e più tedeschi accampati nei pressi dell’aeroporto che a qualsiasi azione di guerra si sarebbe immediatamente risposto, con energiche contromisure. Il colonnello tedesco Fireiherr Von Cablenz comandante i vari reparti della Luftwaffe di stanza a Brindisi, aveva preferito non tentare nessuna azione di forza. Ed aveva ordinato ai suoi uomini di lasciare la città diretti più al Nord, verso l’Ofanto.
I tedeschi però avevano lasciato alle porte di Brindisi, nei pressi della masseria Flaminio un enorme deposito di munizioni. Misurava due chilometri per due e mezzo e comprendeva migliaia e migliaia di tonnellate di munizioni oltre  a 40 mila colpi da 88 e a migliaia  di bombe di grosso e medio calibro per aerei.
Il deposito (così credeva l’ammiraglio Rubartelli) era stato minato non più tardi di un mese prima. A chiedere anzi questa eccezionale misura protettiva era stato lo stesso ammiraglio comandante la piazzaforte di Brindisi. Qualora la città fosse stata per cadere in mano alleata, qualora fosse stato necessario distruggere tutte le installazioni portuali, autoaffondare le navi attraccate alle banchine, anche il deposito di munizioni tedesco non avrebbe dovuto cadere in mano del nemico. Il colonnello Fireiherr von Cablenz aveva accettato il punto di vista dell’Ammiraglio italiano. Pochi giorni dopo aveva telefonicamente confermato che il deposito era stato minato.

Poi l’armistizio aveva sconvolto i piani. I tedeschi si erano allontanati la notte dell’8 settembre. Da allora l’ammiraglio Rubartelli era vissuto con il cuore in gola. Egli era l’unico a conoscere l’esatta consistenza dell’enorme deposito tedesco, era l’unico a sapere che se 1e munizioni abbandonate dalla Luftwaffe, fossero improvvisamente esplose, l’intera città di Brindisi sarebbe stata rasa al suolo.
Ecco perché Rubartelli, partiti i soldati tedeschi aveva immediatamente fatto presidiare il deposito ed ordinato ad un  plotone di artificieri di disinnescare le mine. Ma i marinai avevano invano cercato. Il deposito sembrava non minato. Ma ciò era impossibile; le mine dovevano essere nascoste, chissà mai dove. La ricerca affannosa continuava quando, il 10 settembre alle ore 11,30, l’ammiraglio si recò a bordo della Baionetta.

“Ritenni di non svelare al Re le mie preoccupazioni. Forse se avessi fatto presente che potevamo saltare tutti in aria da un momento all’altro, i Reali non sarebbero scesi in città. E non perché essi avessero paura (anche i nemici più accaniti di Casa Savoia ammettono che il nostro Re non conosceva la paura!) ma perché Badoglio avrebbe portato tutti in qualche altro porto occupato dagli alleati”.
Comunque i Sovrani sbarcarono. Ma solo tre giorni dopo Rubartelli poté mettersi tranquillo. Il deposito tedesco non era stato minato malgrado le assicurazioni date dal colonnello della Luftwaffe, Fireiherr von Cablenz. Perché? E’ un mistero questo che l’ammiraglio Rubartelli non é mai stato in grado di spiegare.
Prima di lasciare la corvetta, il Re volle assicurarsi che tutti a Brindisi avrebbero potuto essere convenientemente ospitati. “La mia casa – assicurò l’ammiraglio – è a disposizione di Vostra Maestà”, Il Re sorrise, poi aggiunse: “Cercheremo, caro ammiraglio, di darle il mimino disturbo”.
Cominciarono così le operazioni di sbarco; i Sovrani assieme con il generale Puntoni, scesero nell’imbarcazione dell’ammiraglio Rubartelli. Mentre il motoscafo attraversava velocemente l’avamporto e il porto, puntando verso la banchina militare, Rubartelli pensò tra sé “Ora i Sovrani sbarcheranno e non si troverà neppure un plotone pronto a rendere gli onori. Dovrò condurre il Re, la Regina, il Principe a casa ma mia moglie sarà presentabile? Non starà riposando? Forse se il Re volesse andare all’Ammiragliato a piedi, io potrei trovare il tempo di avvertire mia moglie.
Rubartelli allora si fece coraggio e domandò a1 Sovrano: “Vostra Maestà non preferirà andare a piedi fino al l’Ammiragliato?”.
“No”, rispose Vittorio Emanuele. “La Regina ed io siamo molto stanchi. Ci serviremo della sua automobile”.

Saluto alla voce

Le sorprese però non erano finite per l’ammiraglio Rubartelli. Mentre il motoscafo attraversava il porto, qualcuno segnalò la presenza dei Sovrani. Allora si videro gli equipaggi delle navi attraccate alle banchine precipitarsi a poppa gridando: “Viva il Re”, “Maestà” – osservò compiaciuto l’ammiraglio – “questa manifestazione non era preparata”.
Il sorriso del Re fu il migliore commento. Ma Rubartelli seguitò ad essere preoccupato. Come avrebbe accolto gli ospiti sua moglie. svegliata all’improvviso dal pisolino pomeridiano? Invece anche quell’«inciampo» si mostrò inesistente. Quando i Sovrani giunsero davanti alla villetta dell’Ammiragliato, trovarono ad attenderli sulla porta la signora Irma Rubartelli vestita con semplicità ed eleganza. A rendere possibile quel “miracolo” era stata l’ordinanza dell’ammiraglio che scorto il Re scendere dal motoscafo: era corso come una lepre su al Castello, dove appunto era la villetta del Comandante la piazzaforte. Così la signora Rubarteli aveva potuto mostrarsi non sorpresa ed accogliere gli augusti ospiti con il più compito degli inchini e con il più aperto dei sorrisi.
Oggi a distanza di quindici anni da quelle drammatiche ore, l’ammiraglio Rubartelli ricorda soprattutto questi particolari intimi anche perché il recente libro del generale Puntoni “Parla Vittorio Emanuele III” fornisce dell’arrivo a Brindisi una versione che non è molto gradita né all’ammiraglio né alla gentile signora. Afferma, infatti Puntoni La signora Rubartelli, svegliata dal riposo pomeridiano, si presentò alle Regina in veste da camera.
“Avevo invece» – afferma la signora – un abito bianco… “. Inezie queste! dirà il lettore. Ma la storia di Brindisi, capitale d’Italia è fatta anche di questi piccoli, segreti episodi. Sono anzi codesti ricordi quelli che rendono viva mia vicenda che ormai appare tanto lontana.
Il primo problema che si presentò all’ammiraglio Rubartelli fu proprio quello logistico. Dove sistemare tutti? Era logico pensare che l’arrivo dei Sovrani avrebbe immediatamente richiamato a Brindisi altra gente. Rubartelli però non avrebbe mai supposto di dover ospitare un numero così grande di militari.

Gli accademisti montano la guardia

Tra i primi a giungere furono gli allievi dell’Accademia Navale. Arrivarono il 13 settembre sul Saturnia dopo una movimentata navigazione. Il loro arrivo parve a tutti di buon auspicio. Quei giovani schierali in coperta che salutavano alla voce il Re non erano forse il simbolo della rinascita della Patria? Vittorio Emanuele chiese per qualche giorno di avere gli accademisti a guardia della villetta da lui occupata. In loro vide la continuità delle nostre tradizioni militari, la speranza di un rapido concludersi di avvenimenti dolorosi. Purtroppo le cose presero a poro a poco, una piega ben diversa. Ma chi avrebbe previsto che dalla partenza del Re da Roma all’arrivo nella capitale degli Alleati sarebbero passati nove mesi? Nessuno. E tanto meno il Re che, come militare, doveva anche lui aver sopravalutato la preparazione strategica degli alleati, Egli era anzi convinto che il momentaneo offuscarsi del prestigio della Monarchia sarebbe cessato non appena, nel giro di qualche che settimana, avrebbe potuto far ritorno loro, a Roma con le nostre truppe.
Invece ben altri trasferimenti il destino, gli stava riservando: Ravello, Napoli, Raito, poi ancora Napoli ed infine l’esilio nella lontana, ospitale terra egiziana.
Comunque, quel giorno, sbarcando a Brindisi, il Sovrano non era preoccupato come a Ortona egli aveva scelto un estremo lembo d’Italia ancora non occupato, dove avrebbe potuto esercitare in piena libertà, le prerogative della corona.

Nella foto, il re con l’ammiraglio Rubartelli e il generale Puntoni nel Comando Marina