di Giancarlo Sacrestano
Nel ricostruire i fatti e gli accadimenti occorsi a Brindisi esatti 70 anni fa, è necessario guardare ad uno spaccato personale e inedito della figura del futuro re d’Italia, il principe Umberto di Savoia cui il padre, re Vittorio Emanuele III cerca di preservare la vita, vietandogli di rientrare a Roma durante la fuga – emblematica la frase in piemontese “S’at più at massu”, (se ti pigliano, ti ammazzano).
Durante la prima riunione del consiglio della corona, presso l’ìammiragliato di Brindisi, il principe non avrebbe accettato di buon grado la funzione di bella statuina e lasciata per primo la riunione prende la decisione che il suo posto è tra la gente, quel popolo da cui è stato costantemente tenuto alla larga. Prima di addentrarci nella ricostruzione di quei fatti, ritengo necessaria una riflessione legata alla comprensione della figura del principe entro ladinastia dei Savoia che all’Italia ha regalato ben 4 re, ma tutti, molto al di sotto delle esigenze del Paese.
Lo faccio, scopiazzando parte di quanto si legge nel bello e ironico libro uscito nel mese di maggio 2013, per i tipi Guanda editore, di Maria Pagnini (ripubblicazione del titolo “I Savoiardi, storia tragicomica di una dinastia” che l’autrice, nel 2004 aveva scritto per la casa editrice “Soleombra”. Tanto per definire che il libro non è stato scritto in prossimità di ricorrenze storiche – 150enario dello stato unitario – o facendo l’occhiolino a facili speculazionie ideologiche legate al70esimo anniversario dell’8 settembre, ma riveste il ruolo di indagatore romanzato garbatamente ironico e pensato del passato monarchico d’Italia. L’abbozzo delle figure regali, mi permettere di premettere alle vicende brindisine, un quadro di riferimento, i cui connotati sono ampiamente condivisi.
Questo libro comincia con il primo re d’Italia, che tanto per confondere le idee si chiama Vittorio Emanuele II. Parla soprattutto piemontese e francese, e fa errori quando scrive in italiano. Tarchiato e con i baffoni spalancati, sposa la cugina Maria Adelaide, magra e pallida, ma capace di mettere al mondo tanti figli e di non protestare se il marito sembra interessato solo alla caccia e alle altre donne. Divenne re d’Italia per caso il 18 febbraio 1861 in seguito ad una serie di coincidenze e alla grande insistenza di Garibaldi, oltre che grazie alla sagacia politica di Cavour.
Gli succede Umberto I, baffi ad ala di gabbiano, anche lui incline a far fuoco, ma sugli scioperanti più che sulla fauna: non a caso finirà vittima di un attentato. Prima però sposa, per ragioni dinastiche, un’altra cugina, “quella pizza della Margherita” come amava ripetere, “la regina più imperlata d’Italia”. Di lui si ricorda, con una qualche indignazione, il telegramma di una sola parola, “Bravo” inviato nel maggio 1898 al generale Bava Beccaris che a Milano aveva preso a cannonate la povera gente che protestava perché moriva di fame, con l’effetto di più di 80 morti e 500 feriti.
Sarà seguito da Vittorio Emanuele III, detto Dondolo, baffetti all’insù e grande amante di monete da collezione e perfino della moglie. Un po’ meno del Paese, che infatti affiderà a Mussolini e alle sue follie di grandezza. Detto anche “Beppo” è salito al trono nel 1900 grazie all’attentato dell’anarchico Gaetano Bresci.
Quando l’amata Elena non avrà più tempo per lui, perché troppo occupata a curare i feriti di guerra, Dondolo deciderà di liquidare il Duce, per poi consegnare l’Italia nelle mani di Badoglio e abdicando tardivamente in favore del figlio. La montenegrina regina Elena, sorvolando Messina sulla via dell’esilio in Egitto, ebbe la sfacciataggine, dopo una guerra disastrosa di esclamare: “ Ecco la città del terremoto. Nel 1908, io e il re abbiamo aiutato tanta gente, tutti i Savoia hanno aiutato tanta gente!”. Dei morti, centinaia di migliaia di morti che il suo regno ha elargito al Paese, neppure un ricordo, neppure un segno di contrito pensiero.
Di Umberto II, re solo per un mese, alla storia passa infatti come re di maggio (regnò solo nel mese di maggio 1945), si ricorda che la velleitaria iniziativa di retrocedere dalla fuga verso Brindisi, per tornare nella Roma occupata dai nazisti, fu stroncata dal piccolo padre al monito “in casa Savoia si regna uno per volta”. Sin qui, assai poco e male di quello che si può leggere nel libro di Maria Pagnici. Ironizzare sulle storie del Paese, è uno dei compiti alti destinati alla letteratura e se lo sia fa con un pizzico di arguta intelligenza, nessuno ci perde. Se la stessa cultura dell’ironia, l’avessero avuta quelli di casa Savoia, certamente tutto sarebbe stato diverso. Ma tanto è stato. Ora torniamo a Brindisi in quel settembre 19043.
Da sabato 11 settembre 1943, appenas terminata la riunione del consiglio della corona, tenuto nel salotto di casa dell’Ammiraglio Rubartelli, la vita del Principe Umberto è scandita da un bisogno: girare di continuo, senza una meta, alla ricerca di reparti italiani, nel desiderio continuo di avere contatti diretti coli soldati e cittadini. Mesagne Ostuni, Grottaglie. Copertino, Cisternino, Fasano, Locorotondo, Martina Franca, Taranto non sono che alcune delle prime località visitate. Dovunque entusiasmo indicibile.
Le popolazioni si riversano per le strade e improvvisano commoventi manifestazioni. Non meno commoventi sono i contatti che ha il Principe con i nostri soldati che egli incontra per la strada disarmati, laceri, scalzi o con qualche reparto rimasto miracolosamente compatto intorno a un superiore che ha saputo mantenere il prestigio e la fiducia nei suoi uomini. Fa un caldo asfissiante e dappertutto manca l’acqua perché i tedeschi in ritirata hanno fatto saltare in più punti l’acquedotto pugliese. Ogni tanto, si incontrano reparti alleati.
Qualche soldato canadese riconosce il Principe e lo guarda stupito come una bestia rara. Qualche altro, più ardito, ferma la macchina e chiede un autografo. Il Principe è sempre regale e gentile con tutti, tanto che ben presto il suo arrivo è desiderato anche dai soldati alleati. Rientrando a Brindisi, il Principe , indicando ad un aiutante di campo gli enormi cumuli di materiale bellico che si incontrano dovunque ai lati delle strade, osserva: “Se avessimo avuto noi la decima parte di tutta questa roba…”. Vorrebbe aggiungere qualche altra osservazione ma si trattiene.
Il suo aiutante, però, ne indovina i pensieri e a sua volta, conclude: “Se avessimo avuto noi tanto materiale avremmo fatto scappare a gambe levate gli inglesi dal Mediterraneo e dall’Africa”. Umberto di Savoia sorride tristemente, poi dice: “Solo i popoli ricchi possono permettersi il lusso di dichiarare le guerre”. Poi, quasi volendo a tutti i costi scacciare un pensiero che torna assillante, egli aggiunge, indicando qua e là case diroccate, binari divelti, ponti saltati: “Se per liberare l’Italia gli Alleati dovranno usare questo stesso rullo compressore, poveri noi! – Meglio sarebbe stato allora seguitare la lotta fino alla fine completa, dal momento che non avremmo subito rovine maggiori”.
Nella foto il principe Umberto con il re e la regina sulla Baionetta all’arrivo a Brindisi
La prossima puntata domenica 22 settembre