Armistizio, a Brindisi gli incontri con gli alleati

di Giancarlo Sacrestano


Prosegue la rievocazione del tempo che settant’anni fa scandiva per Brindisi il ruolo e la funzione di Capitale. Se da parte dei brindisini non vi fu e non v’è ancora oggi, consapevolezza del ruolo rivestito dalla città, chiara e netta era invece la consapevolezza in testa agli alleati anglo americani, che assai bene sapevano cosa cercavano e come ottenerla dal re, il presidente del consiglio e dal popolo italiano.

Farne memoria, lo ribadisco, non è esercizio di nozionismo storico, bensì rielaborazione perché i cittadini di oggi e quelli di domani, assumano intera la consapevolezza di un passato, da cui traggono origine e ragione, le storture e le iniquità che oggi definiscono per i meridionali in particolare, ma per gli italiani in generale, un “gap” di affidabilità che ci costa sul piano della competitività internazione sia economica che culturale.

Fu una trattativa energica a definire i ruoli inglese, russo ed americano, in ordine alla “liberazione” del territorio italiano. Il braccio di ferro si era concluso a favore delle tesi statunitensi che volevano un’Italia liberata dal fascismo ma anche sgombera dalle possibili pretese imperialiste inglesi e dalle ingerenze comuniste sovietiche. Nasce così la necessità di un’Italia che non può divenire nazione alleata, bensì cobelligerante contro la Germania.
Un passaggio pasticciato per colpa della incertezza dei ruoli e delle funzioni ricoperte dalle nostre dignità più alte, in primis lo stesso re che nella vicenda appare più una pedina nelle mani di uno scacchista mediocre.
Nei giorni successivi alla firma dell’armistizio di Cassibile, (3 settembre ’43) in provincia di Siracusa, gli incontri riservati si tenevano nel triangolo compreso tra le città di Tunisi, Malta e Brindisi.
Presso la città messapica, i rappresentanti alleati Mac Millan, Murphy e Bedell Smith, incontrano i delegati italiani Badoglio, Ambrosio e Acquarone per la messa a punto dell’incontro che avrà Badoglio con Eisenhower a Malta dove verrà firmato l’armistizio lungo.
Nei giorni convulsi delle trattative agostane, gli unici a non avere chiaro in mente cosa fare erano gli italiani alla ricerca febbrile di una strategia, la meno onerosa e sanguinosa possibile per uscire da un pasticcio nel quale loro stessi si erano ficcati.
Risale a quelle giornate la strana storia dei documenti d’armistizio. A loro insaputa, due diversi emissari, il generale Castellano che non parlava e non capiva una parola d’inglese e il generale Zanussi, avevano ricevuto due diversi documenti: Castellano l’armistizio cosiddetto corto e Zanussi segretamente, la bozza dell’armistizio lungo. Strategia messa in atto dagli anglo-americani per evitare di cadere nella facile tentazione, tutta italiana, di tergiversare, così come regolarmente avvenne.
Si può e si deve pensare pertanto che la città di Brindisi non sia stata poi luogo voluto dal destino e meta casuale, ma sito strategicamente individuato dagli americani per consentire la rinascita di un regno che altrimenti, non avrebbe avuto altre possibilità.
Lo stesso sbarco degli inglesi a Taranto è una vera e propria passeggiata, le navi approdano alle banchine ed i militari scendono comodamente le scalette per entrare in città assistiti ed incoraggiati dai militari italiani e dalla popolazione.
Brindisi invece riceve nelle stesse giornate un trattamento privilegiato. La città è libera. L’intero parco degli uomini italiani che contano per gli alleati, vengono lasciati liberi di rifocillarsi, come fossero in un resort.
L’operazione battezzata non a caso “slapstick” traducibile come un eufemistico finto schiaffo, tutto teatrale, non impegna nessuno ad ingaggiare nessuna trattativa, ma a seguire una roadmap, già tracciata ad Algeri dal generale americano Eisenhower.
E’ da Algeri che il generale, invia a Brindisi il 26 settembre il suo emissario, il generale inglese Sir Frank Nöel Mason-MacFarlane che ha un colloquio con Vittorio Emanuele durante il quale il re espone il suo punto di vista sull’imminente convegno Badoglio – Eisenhower.
Dal diario del generale si legge:
“Oggi stesso prima di questo incontro, il re, ha detto a Badoglio di non approvare i progetti del Quartier Generale di Algeri ed ha avuto un vivace scambio di idee in proposito col maresciallo. Al capo della Missione alleata, il sovrano, dice subito di essere contrario ad una immediata dichiarazione di guerra alla Germania. Egli solo, dice Vittorio Emanuele, può dichiarare la guerra ed unicamente se un governo propriamente costituito ne appoggia tale dichiarazione. Lui non si sente di dichiarare la guerra fintantoché non sarà ritornato a Roma e non avrà formato un nuovo governo, altrimenti la guerra sarebbe incostituzionale. Inoltre, è contrario a consentire che il popolo decida sulla forma di governo desiderata. “Sarebbe molto pericoloso – egli dice – lasciare senza riserve, nelle mani del popolo italiano, la scelta del governo dopo la guerra”.
Il re vuole anche sapere se gli Alleati hanno intenzione di insistere sul nome di Badoglio quale capo del governo per l’intera durata della guerra. Quando Mac Farlane gli risponde di ritenere di sì, Vittorio Emanuele sottolinea allora che, in tal caso, sarà assai difficile formare un governo rappresentativo antifascista.
Il sovrano esprime anche il desiderio che le truppe italiane siano tra le prime ad entrare in Roma. In conclusione del colloquio, Mac Farlane fa presente al re che, qualora egli intenda insistere su tali punti, dovrà impartire appropriate istruzioni a Badoglio affinché li sollevi durante la prevista conferenza con Eisenhower.
Il contenuto di questo colloquio aiuta a capire meglio le origini della lettera che il 21 settembre il re ha scritto a Roosvelt ed a Re Giorgio VI per chiedere lo status di alleato.
Al re pertanto andrebbe ascritta una posizione terza rispetto a quelle del suo presidente del consiglio Badoglio, che già non ancora trascorsi neppure 100 giorni dall’insediamento del 25 luglio, non permette al re e alla nazione una benché minima gestione dignitosa della exit strategy dalla guerra con l’alleato tedesco. La malaccorta gestione della trattativa armistiziale, della repentina fuga da Roma e il riparo a Brindisi, sono mal digerite dal re che quindi pone sul piatto della trattativa con il re d’Inghilterra ed il presidente degli Stati Uniti la testa del proprio presidente del consiglio.

(nella foto scattata presso l’ammiragliato di Brindisi, Pietro Badoglio (al centro) tra il generale inglese Mac Ferlane (a sinistra nella foto) e il generale americano Taylor

La prossima puntata verrà pubblicata domenica, 29 settembre 2013