L’eroico salvataggio dei profughi serbi: un epigrafe sul palazzo della Capitaneria ricorda l’eroica accoglienza di Brindisi

di Giovanni Membola

Erano trascorsi otto anni dalla conclusione dell’imponente operazione umanitaria di salvataggio dell’esercito serbo, quando l’allora ministro della Marina, l’ammiraglio Thaon de Revel, volle che a Brindisi fosse ricordato con “un segno imperituro dell’eroica impresa” l’opera di soccorso di oltre centomila profughi in fuga dalla sponda orientale dell’Adriatico.
Alle ore 15.30 di domenica 10 febbraio del 1924 si svolse la cerimonia dello scoprimento dell’epigrafe commemorativa che ricorda le numerose operazioni di salvataggio da parte delle navi italiane durante la Grande Guerra, collocata sulla parete della Dogana, nei pressi dell’odierna Capitaneria di porto.
La lapide in marmo è sempre lì, sul quel muro del lungomare, a ricordare uno dei momenti più il tristi del primo conflitto mondiale quando la Regia Marina italiana tanto si prodigò subito per risolvere la tragedia umanitaria che si svolgeva al di là dell’Adriatico, a poche miglia dalla nostra costa. E la città di Brindisi, ancora una volta, dimostrò grande partecipazione nell’accogliere ciò che rimaneva dell’esercito serbo in ritirata. Il testo della targa marmorea commemorativa, definita sul sito ufficiale della Marina Militare “quasi silenziosa, come silenziosa e generosa fu l’opera compiuta in ogni ora e in ogni circostanza dalle unità navali”, ricorda e descrive in poche parole l’importante opera di salvataggio:
“Dal dicembre 1915 al febbraio 1916, le navi d’Italia con 584 crociere protessero l’esodo dell’esercito serbo e con 202 viaggi trassero in salvo 115.000 dei 185.000 profughi, che dall’opposta sponda tendevano la mano”.

Circondati dalle truppe nemiche austro-ungariche tedesche e bulgare, che avevano avviato l’offensiva nell’agosto del 1915, i serbi furono costretti a fuggire dal loro territorio e a cercare salvezza raggiungendo la costa albanese, presidiata dalle navi italiane. Durante la fuga morirono circa trecentomila uomini per il freddo e per le epidemie (tifo e colera si svilupparono rapidamente considerato lo stato di denutrizione e di mancanza d’igiene). A Durazzo giunsero ottantamila uomini, soldati e profughi civili di tutte le classi sociali, mentre altri sessantamila arrivarono a San Giovanni di Medua. Con loro anche gli oltre ventimila prigionieri austriaci catturati nei precedenti combattimenti, trasferiti poi all’Asinara.
Gli italiani avevano creato campi di assistenza sul territorio albanese, uno a Valona e l’altro a Durazzo, con ospedali, alloggi e magazzini, prima di avviare le numerose operazioni di trasbordo dei profughi con unità navali mercantili, scortate da navi militari, che facevano la spola tra la costa orientale e occidentale del mare Adriatico, utilizzando il porto di Brindisi come base logistica e stazione sanitaria marittima. Qui giungevano i viveri inviati anche da Francia, Inghilterra e Stati Uniti prima di essere portate dall’altra parte dell’Adriatico con medicinali, coperte ed indumenti. L’intera azione di sostegno ai serbi fu affidata al Comandante in Capo dell’Armata Navale, il Duca degli Abruzzi, ed al suo sottordine il vice ammiraglio Emanuele Cutinelli-Rendina, che da Brindisi organizzava la suddivisione delle navi in funzione della loro capacità di carico.
Al loro arrivo nel porto pugliese i fuggitivi venivano scortati dai bersaglieri negli ospedali da campo prima di poterli imbarcare sulle navi e trasportarli fino a Corfù, a Biserta e a Marsiglia.
Alle operazioni di salvataggio delle truppe serbe e montenegrine parteciparono anche navi alleate, francesi e inglesi, complessivamente furono impegnati 45 piroscafi italiani, 25 francesi e 11 inglesi, rispettivamente con 202, 101 e 19 viaggi. Durante questi tragitti furono trasferiti in salvo a Brindisi anche i regnanti di Serbia e del Montenegro: il 24 dicembre 1915, a notte inoltrata, proveniente da Valona a bordo del cacciatorpediniere “Abba” sbarcò l’ultrasettantenne re Pietro I Karageorgevich di Serbia, “appoggiandosi al bastone e sorretto da un ufficiale. Si diresse verso l’ospedale di Marina (ora Hotel Internazionale) seguito da sei soldati della Guardia Reale. Il Governo serbo ed i rappresentanti diplomatici delle potenze alleate giungevano pure a Brindisi il 15 gennaio 1916”, qui sostarono alcuni giorni prima di ripartire per Corfù, dove ricomposero l’esercito serbo. Tra loro il principe ereditario Alessandro, che aveva guidato la resistenza serba prima della ritirata, il primo ministro Pasic e i membri del governo nazionale.
Il 22 gennaio 1916 giunse a Brindisi la famiglia reale montenegrina con il vecchio Re Nicola I, suocero di Vittorio Emanuele III, costretto a fuggire su un carro trainato da buoi, la regina Milena e le principesse Vera e Xenia, che a Brindisi si fermarono alcuni giorni prima di trasferirsi in Francia.
La cerimonia del 10 febbraio fu accuratamente preparata ed organizzata dal Comando Militare Marittimo di Brindisi con le autorità civili. I corsi Umberto e Garibaldi furono addobbati con bandiere, come anche la stazione ferroviaria dove in tarda mattinata arrivarono le principali autorità militari, tra cui il Comandante del Corpo d’Armata generale Umberto Montanari e l’addetto militare alla Legazione di Serbia a Roma generale Milan Jetchmenitch, oltre ai prefetti, sindaci e numerose altre autorità civili e militari provenienti dalle principali città pugliesi. Questi si riunirono in colazione nel circolo militare “Principe di Piemonte” nel Castello Svevo.
La commemorazione ebbe inizio nel pomeriggio: su via Marina gremita di gente vennero sistemate tre tribune dove presero posto le associazioni degli ex combattenti, i sindacati, i mutilati e gli orfani di guerra, le famiglie più note della città e le autorità. Non appena l’epigrafe fu scoperta furono intonate le note dall’inno reale e quello serbo, i battaglioni schierati presentarono le armi mentre i marinai allineati sulla nave San Marco – ancorata al molo antistante – lanciarono il triplice grido di “Viva il Re” tra gli applausi del pubblico e le salve delle navi in porto. Gli stessi marinai eseguirono in coro l’Inno al Piave ed altre canzoni patriottiche sotto la direzione del maestro brindisino Angelo Vitale. Dopo la benedizione alla lapide dell’arcivescovo Tommaso Valeri, dal palco davanti la Dogana – addobbato con bandiere italiane e Jugoslave – presero la parola l’ammiraglio Simonetti, il generale Montanari, il pro-sindaco dott. Simone (il primo cittadino Giannelli fu impossibilitato a partecipare per indisposizione) e il generale serbo Jetchmenitch che appose sulla lapide una corona sul cui nastro era scritto: “L’esercito Serbo-Croato- Sloveno alla valorosa Marina Italiana in segno di gratitudine”.
Terminata la cerimonia, le truppe e le associazioni formarono un corteo che dalla marina sfilarono lungo i corsi sino al Teatro Verdi, per rendere omaggio alle autorità qui riunite. Il corteo proseguì su corso Umberto e terminò in via Indipendenza. Nel salone del Verdi fu allestito un ricevimento per le autorità e subito dopo gli invitati si accomodarono all’interno del teatro per seguire gli interventi dell’assessore comunale avv. Fiori e del commendatore Angelo Titi. Alle ore 18,30 gli ospiti furono accompagnati alla stazione per il saluto militare prima del rientro verso le rispettive sedi.

Momenti di vita meno conosciuti che restituiscono l’immagine di una città viva ed attiva, orgogliosa della propria tradizione che merita di non essere dimenticata. Per questo i prossimi 1 e 2 aprile si terrà a Brindisi un importante convegno dove rinomati storici illustreranno nel dettaglio aspetti inediti delle operazioni di salvataggio dei profughi serbi avvenute tra il dicembre 1915 a febbraio del 1916.

Si ringrazia per la preziosa collaborazione l’Archivio di Stato di Brindisi e la Biblioteca Arcivescovile “De Leo”