Oramai non vi è città, paese o frazione che non abbia la sua rassegna estiva, il suo festival o la sua sagra. La musica e la gastronomia segnano le nostre giornate di giugno, luglio ed agosto. Spettacoli folk, jazz e blues si alternano a sagre dell’anguria, delle orecchiette, del polpo e a festival del vino e della birra. Spesso ci si spinge anche oltre. Così non mancano gli autunni musicali o le feste dell’uva, giusto per non farsi mancare nulla.
E’ una vera e propria bulimia da consenso facile quella di cui paiono preda gli Amministratori locali. E maggiore è il numero degli eventi e più fioccano le polemiche sulla qualità o utilità di queste iniziative. Quando non ci mette becco la magistratura. Spesso le rassegne estive fanno da preludio alla festa patronale. Ed anche qui bancarelle, luminarie, fuochi d’artificio e spettacoli a gogò, che riescono a far sbiadire il significato religioso della ricorrenza. Gli appelli come quelli dell’Arcivescovo di Lecce, che invita a risparmiare sugli addobbi per Sant’Oronzo e a destinare quelle risorse per erogare dei microcrediti alle famiglie ed alle imprese in difficoltà, paiono destinati a cadere nel vuoto.
Organizzare eventi è divenuta una vera e propria professione. C’è chi ci campa, ed anche bene, magari sotto le mentite spoglie di una Associazione culturale, rigorosamente senza fini di lucro. Un fenomeno che prese l’avvio dall’Estate Romana, manifestazione organizzata nel 1977 dal defunto Assessore alla Cultura capitolino, Renato Nicolini, Certo, la finalità era ben diversa. L’intento era quello di indurre i cittadini romani a usufruire degli spazi pubblici della metropoli in risposta alla emarginazione delle periferie, prendendo spunto dalla domanda di convivialità e dalla richiesta di cultura, dai “nuovi bisogni” provenienti dal basso, che avevano trovato adesione nella partecipazione di 150 mila persone al festival del proletariato giovanile tenutosi al parco Lambro di Milano l’anno precedente. L’obiettivo di fondo era quello di andare in controtendenza con una storica abitudine italiana di un forte accentramento della cultura e di divisione classista dell’accesso al sapere, di tradizionale appannaggio delle élite.
Cosa sia rimasto di quell’antico spirito, con la trasformazione delle più disparate “Estati” da evento culturale a fenomeno di costume, è difficile dirlo. L’impressione è che il livellamento sia avvenuto verso il basso. E’ vero che anche da noi frotte di persone migrano dalle periferie verso il centro per partecipare agli eventi. Del resto, ancora oggi quanti prendono le mosse da Sant’Elia, il Perrino, il Paradiso o Tuturano, sono soliti dire “andiamo a Brindisi”. Il senso di separatezza c’è tutto e andrebbe colmato. Ma non mi sembra di poter dire che il livello culturale di quanti vivono in periferia si sia arricchito con gli spettacoli organizzati dal Comune. L’impressione è che ad attrarre sia la gratuità dell’evento piuttosto che la sua qualità. Benigni che legge la Divina Commedia in piazza non ha trovato grandi imitatori. E i contenitori culturali restaurati o finalmente aperti al pubblico negli ultimi anni stentano a riempirsi di contenuti. I “manifesti della cultura” di volta in volta elaborati difficilmente divengono patrimonio delle amministrazioni pubbliche e spesso i loro autori non riescono a sottrarsi alla tentazione di farsi coinvolgere. Salvo a pentirsene subito dopo.
Così ci capita di leggere l’accorato invito del Presidente della Comunità Ellenica di Brindisi a riappropriarci della nostra identità! Nel campo musicale non si fa eccezione. Meglio un artista di grido, magari in voga negli anni ’60 o ’70 o ’80: (oramai la tendenza è quella di rivalutare il passato più prossimo) o un complesso che esegue cover di canzoni famose piuttosto che un gruppo locale che cerca di emergere. E’ il caso dei Bordopelle, una band brindisina vincitrice del Videofestival live, che si esibisce a Pescara, Padova e Piacenza; che forse parteciperà a Sanremo giovani, ma che da noi non riesce ad avere cittadinanza. E di esempi probabilmente ve ne sarebbero tanti altri. La giustificazione? I turisti non li conoscono e non li apprezzerebbero. Ma davvero si pensa di attrarre il turismo con qualche sagra o qualche festival, in cui a farla da padrone sono le bancarelle? A Melpignano miscelando tradizioni musicali, artisti locali e star nazionali e internazionali hanno creato un fenomeno che attrae centinaia di migliaia di spettatori. Perché non prendere esempio da lì e cominciare a costruire qualcosa di veramente nuovo?
Giovanni Antonino