Mi è capitato di leggere qualche giorno addietro sull’inserto regionale del Corriere della Sera che il Comando Marina avrebbe chiesto 130.000,00 Euro per mettere il Castello Svevo a disposizione degli organizzatori del Medieval Festival. Data l’autorevolezza della fonte, non ho motivo di dubitare che la notizia sia rispondente al vero. D’altro canto, non mi pare sia pervenuta alcuna smentita. Sembra che la richiesta sia una diretta conseguenza della spending review, che avrebbe tagliato in modo inesorabile i fondi a disposizione delle Forze armate per la manutenzione dei loro presidi.
Evidentemente si temevano danni alla struttura. Si sa che i brindisini non sono molto rispettosi delle loro antiche vestige. Ricordo tempi in cui tra la città di Brindisi e le diverse armi presenti sul territorio, con le loro ingombranti servitù, si era avviato un percorso di collaborazione. L’idea guida era quella di restituire alla fruizione pubblica parti rilevanti del territorio comunale garantendo, a un tempo, una diversa collocazione per le infrastrutture logistiche necessarie a quanti assicurano la difesa del Paese. Così era stato, ad esempio, per i depositi POL della Marina Militare, collocati nel seno di Levante. Dopo infruttuosi tentativi, si era riusciti nel 1999 a definire un Accordo di Programma che prevedeva lo spostamento dei Depositi nell’area di Capobianco e la restituzione alla Autorità Portuale dell’intera area di via Spalato.
Il Comune, in cambio, avrebbe ceduto gratuitamente i capannoni ex Saca. Il tutto sulla base di un parere dell’Avvocatura dello Stato, che ritenne legittimo questo trasferimento senza una contropartita diretta per l’Amministrazione Civica atteso che vi era comunque un interesse pubblico alla riqualificazione di quell’area e alla sua destinazione al servizio dei traffici portuali, conformemente al piano di valorizzazione del porto interno varato dal Comune. Le risorse per dare le gambe a quell’Accordo furono reperite grazie al cosiddetto “Tavolo D’Alema”, una forma di collaborazione istituzionale avviata dalla Presidenza del Consiglio con la Regione e le municipalità pugliesi per risarcire la nostra terra dall’essere stata meta privilegiata di flussi migratori provenienti dall’Albania.
Per la bonifica e la rimozione dei vecchi serbatoi POL e la loro delocalizzazione a Capobianco furono stanziati e messi a disposizione dell’Autorità Portuale ben 32 miliardi delle vecchie lire. Solo l’insipienza delle gestioni che hanno caratterizzato, fin dalla sua nascita, l’Ente portuale ha fatto si che quelle risorse non fossero mai utilizzate. Fino a quando l’ultima gestione commissariale, nel 2012, ha dato il proprio assenso, in piena campagna elettorale, a un diverso impiego di quel finanziamento, destinato ora all’ampliamento della Caserma Carlotto. In una città in cui si blatera tanto, e spesso a sproposito, di vicende portuali, contro quella scelta non si sono levati gli strali che era lecito attendersi. Mi chiedo se l’Accordo di Programma conservi ancora la sua validità o se ne possa chiedere la revisione.
Magari reclamando la restituzione, questa volta alla città!, di altre parti del territorio vincolate ad attività militari. Penso alla zona ex carbonifera, attigua al piazzale antistante il Monumento al Marinaio, in cui fanno mostra di se delle boe arrugginite, che sarebbe alquanto ardito definire strategica per la difesa della Patria. O all’isola di Sant’Andrea, la cui disponibilità renderebbe senz’altro più credibile una valorizzazione del Castello Alfonsino che sappia prescindere dalle dispute sulla proprietà. O, infine e più modestamente, alla spiaggia della Marina, in cui il tratto di costa e la vecchia piscina sembra siano utilizzati per le esercitazioni del Battaglione San Marco. Del resto, il Comune oggi ha tutte le ragioni per reclamare. I capannoni ex Saca, lungi dall’essere impiegati per motivi di difesa, come pure era stato detto, ospitano le attrezzature delle imprese Teseco e Vittadello, impegnate nella attività di disinquinamento del seno di Ponente. Nel porto interno non ormeggia più alcuna nave e la presenza ingombrante dei vecchi depositi POL rende difficile un suo diverso utilizzo (nautica da diporto? Cantieristica navale?).
Resta difficile immaginare la persistenza dell’interesse pubblico, che giustificò a suo tempo la cessione gratuita di un bene comunale, nell’apertura di un ristorante! Salvo a domandarsi, prima o poi, chi pagherà i danni di una gestione commissariale e di una conduzione dell’Ente portuale così distanti dagli interessi della città.
GIOVANNI ANTONINO