Verde, la speranza mai si perde

Brindisi: da area ad elevato rischio di crisi ambientale a città dei parchi. Non paia un paradosso. Sono almeno 4 le grandi aree di verde urbano aperte alla fruibilità pubblica nell’ultimo decennio: il parco Maniglio, al quartiere Bozzano; il Cesare Braico; il parco Magrone, o Di Giulio che dir si voglia, e, da ultimo, il Parco del Cillarese.

E nell’elenco non sono ricomprese aree meno conosciute, quali quelle che furono realizzate all’interno del Piano di Riqualificazione Urbana del quartiere Sant’Elia. O l’ultima arrivata: l’area a verde creata in contrada Sbitri. Non a tutti piace questo “pollice verde” che sembra caratterizzare l’attività delle Amministrazioni Civiche, senza soluzione di continuità.

Molti si chiedono se oggi ha senso investire nei parchi sotto il cielo di piombo della crisi che stiamo vivendo, così grave e così duratura, almeno da noi, da rendere la stessa parola “crisi” del tutto inadeguata a descriverla.

Con vent’anni di salari fermi al minimo, metà dei giovani senza prospettiva di lavoro, imprenditori preoccupati se non disperati, revisione continua della spesa pubblica, una intera classe politica  avvitata su discussioni che interessano poco la gente e  incapace di disegnare scenari futuri, mettersi a realizzare parchi pare più il tentativo di acquisire consenso facile che non una scommessa su uno sviluppo diverso. Mi permetto di dissentire.

Quello che i parchi tutelano è un capitale fisso e irrinunciabile: la biodiversità e la natura nel suo intreccio con la cultura e con la storia. E’ oro, oro verde, anche dal punto di vista economico, se si fa la semplice operazione di monetizzare la quantità dei servizi offerti dalla natura.

I parchi sono un’arma in più nella competizione economica che oramai contraddistingue le città. Certo, se ne deve saper “vendere” il valore. Così, anche i parchi possono diventare luoghi di avviamento di circuiti economici e di lavoro nuovi e competitivi, da creare attorno ad una ricerca di stili di vita più sobri ma ricchi di soddisfazioni.

Ricordo, ad esempio, che agli imprenditori piaceva la definizione del Cillarese quale “villaggio senza residenze”, coniata dall’architetto Tonino Bruno. Al punto da attrarre l’attenzione degli eredi della famiglia Costa, già gestori del bioparco di Roma, che mi furono presentati da Emanuele Castrignanò. La loro idea era di dar vita nel Cillarese ad un salone del gusto, in cui fossero esaltate le tradizioni  gastronomiche pugliesi.

Del resto, l’aver previsto la somma di tre milioni di euro a disposizione di quanti intendessero riutilizzare i capannoni ex Saca, oramai in rovina, era un modo di conciliare la voglia di salubrità dei brindisini con l’avvio di attività economiche capaci di generare ricchezza e opportunità di lavoro.

Il problema è che con i finanziamenti spesso si perdono anche le idee. Così mi sembra sia stato anche per il parco Di Giulio, inizialmente concepito come un tassello di un progetto urbanistico più vasto, capace di colmare quella cesura, generata dalla ferrovia, tra l’edificato più antico e la zona di prima espansione cittadina.

Noi lo definimmo Piano Innovativo in Ambito Urbano. Firmammo un accordo con le Ferrovie dello Stato, che prevedeva la delocalizzazione del parco merci a Tuturano ed il riutilizzo del sedime liberato dai binari. Ci sembrava che la riqualificazione dell’area ferroviaria e della zona intorno a Via Marche rappresentasse, per complessità, estensione delle aree e ricchezza dei temi, la vera sfida urbanistica della città. All’interno della quale al parco Di Giulio veniva attribuito il ruolo di cerniera. Quell’assunzione del concetto di territorio come “elemento” finito, che ho già richiamato in un altro intervento, mi sembra stia lasciando il posto ad interventi tra loro slegati, quasi che  il lavorio di ricucitura tra il centro cittadino ed i quartieri sorti negli anni 50 e 60 non interessi più.

Infatti, la sopravvenuta incertezza circa lo spostamento dello scalo merci ha tolto concretezza e fattibilità alle operazioni di riassetto del “sistema stazione” come centro di interscambio tra diversi sistemi di trasporto ma, al contempo, come “pezzo di città” capace di  superare l’effetto barriera indotto dalla presenza della ferrovia.

Salvo che non si sia pensato di risolvere tutto con un semplice sottopasso! Così, anche il parco Di Giulio ha perso la sua funzione originaria di elemento unificante.  Certo, ci si va per trascorrere la pasquetta. Ma credo che non sia un caso che i locali che erano stati creati per ospitare un bar ed un ristorante siano rimasti non assegnati.

Per fortuna vi è ancora tutto il tempo per riprendere le fila di un discorso interrotto. Basta volerlo e allora il sistema del verde urbano, creato in questi anni, cesserà di avere solo un valore statistico per diventare il volano di una nuova crescita economica.

GIOVANNI ANTONINO